Alessandro Ranieri: “La disabilità mi ha messo a nuovo”

Alessandro Ranieri, 33 anni, vive alla periferia di Arezzo con la moglie Katia. Ha sperimentato la disabilità a seguito di un incidente del sabato sera, quando aveva 17 anni. Ha perso l’uso del braccio sinistro ma dice di aver “molto guadagnato” da quell’esperienza che gli ha insegnato ad apprezzare la vita. Mi si è fatto conoscere con una e-mail avendo visto questa pagina del mio blog. Ho visitato il suo blog e gli ho chiesto di farmi un racconto della sua vicenda. Gliel’ho rinviato con delle domande e lui ha riscritto il racconto, che è questo:

Da sedici anni convivo con una emiplegia sinistra che considero ormai un’inseparabile amica. Guardando indietro ringrazio Dio che con quella prova mi ha guidato a scoprire il profumo della vita che forse altrimenti non avrei mai colto nella sua fragranza. Queste parole suonano strane ai miei genitori, che si sono visti portar via il ragazzo promettente che ero, ma io le canto con tutta la voce ben sapendo che senza quell’incidente alla vita non avrei saputo guardare con occhi limpidi perché preoccupato da altre cose. Per i ragazzi spensierati quale ero io ogni futilità è più importante della vita, quella vera.
Avevo diciassette anni ancora da compiere quando un sabato sera, al ritorno dalla discoteca, l’auto guidata da un amico più grande uscì di strada a causa di una guida forse poco responsabile. Ne riportai un trauma cranio encefalico lacero contusivo che mi procurò l’emiparesi sinistra e caddi in coma. In ospedale non poterono operarmi a causa di una frattura cervicale: l’operazione neurochirurgica avrebbe causato con un lieve movimento del collo la fuoriuscita del midollo, tetra paresi assicurata se non morte. Dopo una settimana – calcificato l’osso – i medici tentarono l’operazione con il consenso dei genitori, altrimenti sarei morto comunque.
Mi risvegliai dal coma e iniziai la lunga strada della riabilitazione in diversi centri. Un anno dopo, ottobre 1994, impuntandomi contro chi non voleva,  tornai a scuola e iniziai ad abituarmi alla disabilità. Ricamminavo ma il braccio sinistro era restato inerte anche per il ritardo dell’intervento. I primi tempi furono duri: pensate a un adolescente che da un giorno all’altro si ritrova disabile e trattato come tale dagli altri. La difficoltà maggiore non era nell’accettare la disabilità ma nel discernere se voler tornare come prima o azzerare tutto e ripartire.
L’incidente aveva creato uno spartiacque e io dovevo capire da che parte stare. Occhei – va bene – ero disabile, ma piano piano imparai a cavarmela con una sola mano. Era il resto che non tornava perché io non ero più quello di prima. L’incidente, l’ospedale, la famiglia che mi era stata accanto e altro che non saprei dire avevano come suscitato in me una nuova personalità. Ero diventato più sensibile, maturo, mi ero avvicinato alla fede dopo anni di latitanza, ero cresciuto più in fretta dei coetanei che erano rimasti al semplicismo e al qualunquismo che erano stati anche miei: la loro vita scivolava via come scivolava a me prima dell’incidente.
La mia persona era rinata e non entrava più nell’Alessandro di “prima”. Compresi che era vana la ricerca di tornare indietro e che occorreva tagliare con il passato per costruire qualcosa di nuovo: l’esperienza della disabilità funzionò da leva per catapultarmi dentro alla vita. Lessi la mia vicenda con gli occhi di Dio, che mi aveva avvicinato al dolore perché comprendessi il significato dell’esistenza. Aver visto la vita sfuggire dalle mie mani mi fece comprendere il mio limite, la mia creaturalità.
Si dispiegarono attitudini già presenti in me: sensibilità, amore, gioia, felicità, impegno. Ero divenuto una persona nuova e solo accettandomi come tale potei superare il lutto. Mi sentivo migliore. Mi aprii al Signore in una religiosità mai avuta che mi ha portato all’impegno in parrocchia e in Azione Cattolica.  Uscito dalla fase di recupero decisi di iscrivermi all’Università perché avevo la vocazione dell’educatore.
A Scienze dell’Educazione conobbi amici tra i quali c’era anche Katia, mia futura sposa, che travolta dalla mia personalità non riconobbe la mia disabilità se non un mese dopo che ci frequentavamo. Conclusi gli studi ci sposammo e andammo ad abitare da soli, ognuno con il suo lavoro: lei operatore socio sanitario in una struttura riabilitativa per autistici, io come segretario in una cooperativa sociale e poi alla Provincia di Arezzo.
Non contento del mio lavoro ripresi gli studi e mi iscrissi all’Istituto superiore di scienze religiose per il baccalaureato in Scienze Religiose e l’abilitazione a insegnare religione nelle scuole di ogni ordine. Ad oggi faccio due lavori: l’insegnante nella scuola primaria e l’impiegato nell’ Osservatorio Sociale della provincia. Non tornerei indietro perché non ho perso qualcosa ma ho guadagnato molto e racconto da più di un anno la mia esperienza in un blog, affinché chi vi si accosta possa comprendere che la vita – che è dono di Dio – sa come vincere le limitazioni fisiche e ci può insegnare a volgere al bene le situazioni negative.

(Novembre 2009)

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