Qui diamo la parola a dieci trapiantati

Italo Calabrò
Parto da un prete che ho conosciuto e che così raccontava — nella fase avanzata del tumore che l’ha ucciso — del bene che gli veniva dalle trasfusioni di sangue: «Ancora ho la forza, la mente è lucida, ho fatto la trasfusione. Quando mi chiedono “come ti senti?” rispondo: il san­gue degli altri rende un po’ più forti» (don Italo Calabrò, uno dei fondatori della Caritas italiana, che muore a Reggio Ca­labria nel 1990).

Agnese
«Al risveglio capii che era avvenuto un miracolo: avevo un nuovo rene e funzionava a meraviglia. “Dio esiste ed è padre fu il primo pensiero. Provai una profonda ricono­scenza verso la persona che mi aveva donato il suo rene e che mai avrei saputo chi fosse. Percepii che aveva dato la vita per me e che – grazie a lei – avevo una nuova opportu­nità: non dovevo e non potevo più perdere un attimo della vita che mi restava da vivere» (Agnese alla rivista Città Nuova 6/1995).

Gerardo D’Ambrosio
Un pensiero somigliante ha espresso il magistrato Gerardo DAmbrosio, che è un trapiantato di cuore dal 1991 e da allora non va più in ferie: «Non posso sprecare neanche un giorno di questa nuova vita che mi è stata regalata. E’ un dovere che sento verso quel ragazzo, il cui cuore ha il diritto di vivere il più a lungo possibile, ver­so mia figlia e tutti quelli che mi hanno aiu­tato» (Il Mattino 21.11.1996).

Leonardo Cioce
«Inizialmente è stato molto difficile ac­cettarmi, sapendo d’essere vivo grazie a quella ragazza che è morta. Anche ora, quando si parla della ‘donatrice’, mi sento triste e a disagio. Mi consola pensare che quella persona oggi continua a vivere dentro di me» (Leonardo Cioce, che ha ricevuto da una ragazza italo-americana fegato, pancreas, stomaco, rene, intestino tenue e intestino crasso, al Corriere della sera 12.1.1996).

Matteo Papa
«Abbiamo pregato per quella ragazza Emanuela. Non riusciamo nemmeno a trovare le parole per dire grazie a chi ha avuto il coraggio di fare un gesto così bello come donare il cuore. Hanno salvato la vita a nostro padre» (i figli di Matteo Papa al Corriere della sera 3.1.1996).

Domenica Virzi
«Benedetto il momento che ho detto sì al cuore di Marta, che per me è oggi come una figlia, o meglio, è il mio angelo custode» dice ad Avvenire il 30.12.1997 Domenica Virzi, che ha ricevuto il cuore di Marta Russo, la studentessa uccisa all’Università di Roma da un proiettile al cervello il 7 maggio di quello stesso anno. Domenica racconta d’essersi decisa leggendo il Vangelo: «Mi sembrava che avrei potuto fare qualcosa di contrario alla fede accettando il cuore di un’altra persona. Lessi una pagina del Vangelo di Luca che mi capitò fra le mani ed ebbi la risposta. Nella parabola della donna che sposa i sette fratelli e non ha figli, il Signore dice che il nostro corpo, nella risurrezione, sarà come quello degli angeli. E andai».

Daniela di Cuneo
«Grazie a Marco che con il suo gesto mi ha ridato la vita» dice con semplicità Daniela di Cuneo, che ha voluto incontrare il donatore di midollo osso «compatibile», che l’ha salvata (La vita del popolo 4.6.1998) .

Anna Solenghi
Con il trapianto ho ritrovato la preghiera e per due motivi. Prima del trapianto io – che ero poco credente – ho cominciato a pregare per la paura di morire, di non farcela. Adesso prego, mattina e sera, per chi morendo mi ha donato uno dei suoi reni. Lo faccio perché provo un’enorme gratitudine ma anche qualche senso di colpa: ogni trapiantato ha infatti dietro la morte e il dolore di una famiglia” (Anna Solenghi ad Avvenire, 21 maggio 2000)

Trapiantato di fegato
Laura Gangeri, psicopedagogista all’Istituto dei tumori di Milano, riferisce questa confidenza di un uomo al quale era stato trapiantato il fegato di un ragazzo morto in un incidente del sabato sera: “Mi ha fatto notare quanti giudizi negativi in genere esprimiamo su questi giovani; e invece lui commosso mi ha detto: Guardi che cosa è riuscito a fare quel ragazzo, mi ha salvato la vita!” (ivi)

Mamma Rosalia
Le possibilità sempre nuove dei trapianti aprono nuove vie al soccorso del prossimo e persino – sembra impensabile, ma è così bello scoprirlo – all’amore materno. Ecco la notizia di mamma Rosalia, 58 anni, che dona un rene al figlio Ignazio, 38 anni e l’intervento avviene – per la prima volta in Italia – in laparoscopia, cioè con tre buchi nell’addome e con una piccola incisione, invece che con il taglio che era necessario prima: “Ho provato più dolore quando ho partorito” dice mamma Rosalia, che è già a casa tre giorni dopo la donazione. E il chirurgo Mosca, di Pisa, che ha fatto il trapianto, annuncia di avere dieci pazienti in lista di attesa: “Dieci figli che riceveranno un rene dalle rispettive madri” (Avvenire del 4 maggio 2000).

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