Un dibattito familiare sul “corpo tagliato”

Sui trapianti e sulle donazioni vengo raccogliendo un dossier giornalistico che cresce ogni mese. Ho letto le sintesi esemplari che hanno pubblicato — in riferimento alla nuova legge – La Civiltà cattolica (18.9.1999) e Aggiornamenti sociali (settembre-ottobre 1999). Ho dato un’occhiata ai volumi La donazione d’organi di Città Nuova e Il trapianto degli organi dell’AIDO di Treviso. Ho scorso la bella storia di Ugo Ricciarelli che racconta il proprio trapianto cuore-polmoni: Le scarpe appese al cuore. Storia di un trapianto (Feltrinelli, Milano 1997). Mi sono fatto raccontare i film Tutto su mia madre (1999) e Il dono di Nicholas (1998).
Ma quello che più mi ha aiutato a farmi un’opinione sono le parole di chi ha ricevuto il dono (ne riporto alcune in un altro paragrafo di questo capitolo e altre se ne leggono nel citato volumetto di Città Nuova) e le opinioni che ho chiesto di persona a chi vive con me. Consiglio di fare questo esperimento di chiedere: quando si tratta del corpo, della vita e della morte, del corpo dopo la morte e – magari – della vita dopo la morte, non c’è via migliore di quella della conversazione da uomo a uomo.
In casa siamo sette. Io e la mia spo­sa siamo favorevoli alla donazione. E dunque il nostro parere vale per noi due e per le due figlie minori. Perché per i minori di età la legge prevede che la «dichiarazione di volontà» sia manifestata dai genitori, purché con­cordi: «In caso di non accordo tra i due genitori non è possibile procedere alla manife­stazione di disponibilità alla donazione» (articolo 3).
Sono poi favorevoli due dei figli maggiorenni. Ma uno è contrario, donde accese discussioni quando siamo a tavola. Uno dei favorevoli dice a quello contrario: «Ma perché mai devi dire di no? A te non costa nulla e a un altro puoi salvare la vita!»
Faccio osservare che la stessa argomentazione è stata usata dal vescovo di Magonza e presidente dei vescovi tedeschi, Karl Lehmann: «Nessun dono costa meno di questo al donatore, nessun dono reca al ricevente beneficio maggiore di questo».
Ma – dicevo – l’argomento è delica­to e le semplificazioni non giovano.
Anche la faccenda del «silenzio as­senso» («Il prelievo di organi e di tessuti è consentito qualora dai dati inseriti nel siste­ma informativo dei trapianti risulti che il soggetto sia stato informato e non abbia espresso alcuna volontà», art. 4, b) è delicata e sarebbe meglio puntare al «consenso informato», come ammette an­che il ministro Rosy Bindi, forse facendo forza – un poco – al suo carattere di donna forte.
Ascoltiamo dunque le ragioni di chi è contrario e – per quanto è possibile: poniamo, in famiglia – facciamole no­stre.
Il figlio contrario dice: «Non voglio che sia toccato il mio corpo. Tagliato, spezzato, ricomposto. Così come sono contrario all’autopsia e alla cremazione. Voglio che il mio corpo non scompaia, non muti figura». La figlia più convinta – come donatrice – obietta: «Ma guarda che l’autopsia te la fanno d’autorità, la comanda lo stato, an­che solo se muori giovane e non c’è spiega­zione alla morte». E l’altro: «Per quanto posso, io non la voglio». L’altra: «Io per me non vorrei neanche essere vista dopo morta e mi va benissimo la cremazione, o qualsiasi cosa. Ma con la donazione è diverso. Puoi salvare un altro ed è anche un vantaggio per te, se vuoi: tu sei morto e una parte di te continua a vivere».
Interviene un compagno di scuola del figlio contrario e insiste sul corpo da non manomettere: «Certo la donazio­ne è una cosa bella, ma se guardiamo a do­po la morte, penso che il corpo dell’uomo deve restare integro».
Sono colpito da questo argomento che ho trovato citato, nei libri e nei giornali, come «sacralità del corpo» e co­me «prolungamento della persona dopo la morte affidato al corpo».
Insisto a domandare all’amico di mio figlio: «Lo dici perché hai in mente una vita dopo la morte?». Risposta: «No, affatto. Lo dico solo per il significato della persona. Ora si sente dire che possono trapiantare anche una mano o una gamba, non solo il rene che non si vede… Una tua gamba che va in un altro corpo, io penso che ci va di mezzo la persona, la tua immagine».
Un terzo ragazzo di 18 anni, un mio nipote che si definisce «un piccolo ateo», è invece favorevole alla donazione e la motiva rovesciando quel ragionamento sul prolungamento della persona: «Con la morte io penso che per me finisce tutto e dunque non mi interessa nulla di ciò che mi possono fare, mentre mi interessa – ora che sono vivo – decidere qualcosa che ora mi ri­guarda e che è la possibilità di aiutare qual­cuno. E non è solo altruismo, perché a questa idea è legata l’altra, di poterne avere bisogno io».
Ecco che nelle parole dei ragazzi trovo un concetto che ho letto nelle pagine degli esperti: quando per esempio Sandro Spinsanti parla del «circuito della solidarietà», una specie di associazione tra i potenziali donatori che – dichiarandosi donatori – si candidano a fruire della donazione altrui.
«Se tu fossi credente, che diresti?» mia seconda domanda al nipote; così risponde: «Quando ero credente ero favorevole, sempre per lo stesso motivo. Allora del corpo intatto o meno non m’importava perché pensavo che la mia vita dopo la morte non dipendeva dal corpo».
La mamma di questo ragazzo è iscritta all’AIDO ed è catechista in parrocchia: “L’idea del possesso del corpo e dell’identità personale mi mette in crisi. Mi riguarda da viva, non da morta. Tant’è che – pur essendo io così decisa, come risulta dall’iscrizione all’Associazione donatori – credo che non avrei mai autorizzato l’espianto dai miei figli, quando erano minorenni”.
Ecco un altro riscontro tra miei intervistati e la letteratura in materia: la protagonista di Tutto su mia madre è un’infermiera che convince i familiari degli infortunati alla donazione ma poi si ribella (consentendovi dopo grande travaglio) quando l’infortunato è il figlio.
Lascio l’ultima parola alla cognata catechista: «Fai bene a parlarne con i ragazzi. Bisogna convincere ascoltando e rispettando. Mostrando che si può dare – e addirittura che si può dare la vita – oltre l’immaginabile. Oltre la morte. Che puoi dare la vita morendo. Qualcosa che oggi è possibile e ieri non era. Qualcosa che ci fa prossimo con qualcuno che non conosciamo. Una possibilità nuova dell’amore. Ma che vale solo se è capita così. Non se è indotta dalla legge».
La mia cognata dice: «Puoi dare la vita morendo». E’ quasi una sintesi di quanto ha fatto Gesù, secondo la nostra fede. Ed ecco che mi vengono in mente due espressioni bibliche che ho trovato applicate alla donazione di organi e che mi hanno sorpreso: Ezechiele che fa dire al Signore «darò loro un cuore nuovo» (11,19) e – ancor più – Gesù che nell’ultima cena si offre ai dodici con le parole «questo è il mio corpo, questo è il mio sangue».

[Da un articolo pubblicato sul Regno 8/2000 aggiornato nel novembre 2009]

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