Giovanni Cristini e “il segreto della felicità”

Il fatto di Vangelo stavolta è un poeta cristiano che canta l’amore: che racconta ai figli il dono, l’avventura e il comandamento (usa tutte queste parole) dell’amore sponsale e dell’amore paterno e di ogni amore vero, inteso come prima culla e ultimo rifugio del mistero dell’uomo «che resta aperto sul mistero di Dio».
Il poeta è Giovanni Cristini, bresciano (1925-1995). Uno dei più immediatamente fruibili tra i poeti cristiani del nostro Novecento, che sono tanti e alcuni davvero grandi: da Ungaretti e Luzi a Cristina Campo, ai Rebora e Turoldo, ai Betocchi e Caproni. Nella grande famiglia, Cristini è uno dei meno noti ma dei più comunicativi.
L’opera è il volumetto Lettera ai figli, uno scritto dichiaratamente familiare e privato, testamento di un padre, che la sposa Annamaria ha consegnato all’editore San Paolo. E sia lodata questa donna che ha avuto il coraggio di pubblicare un testo privato, donandolo a tutti. Esso infatti è un grande dono. Ecco una pagina:

«Cari figli, che cosa possiamo darvi vostra madre ed io?
«C’è in un film di Chaplin, definito il suo “canto del cigno”, una sequenza indimenticabile come il famoso balletto dei panini e che potrebbe intitolarsi il balletto delle aringhe. Calvero, il vecchio clown dal viso infarinato e dal cuore tenero, si aggira con il suo buffo passo claudicante attorno al letto della giovane ballerina che per miracolo ha strappato alla morte per suicidio. Egli cerca di spiegarle il valore della vita e il segreto della felicità. E intanto tiene in mano per la coda due aringhe affumicate che dovrebbero servire per la povera cena. Nella foga della sua perorazione, il vecchio clown sbatacchia le aringhe a destra e a sinistra, come i capponi di Renzo. La felicità, dice il vecchio clown, sta qui, nella testa, il vero giocattolo è quello della fantasia, il giocattolo della mente. E così dicendo si sbatte le aringhe puzzolenti sotto il naso.
«Le aringhe di Charlot. Il giocattolo della fantasia. ecco quello che possiamo darvi, vostra madre e io. Poco e moltissimo. Un inno alla vita, all’amore, alla speranza, con molta allegria e un pizzico d’ironia. Perchè la vita è anche questo. Le aringhe di Charlot. Una tempesta di emozioni e di lacrime. Anche lacrime di gioia».
(da Giovanni Cristini, «Lettera ai figli e altri scritti familiari», edizioni San Paolo, Milano 1998, pp. 37-38)

Cristini si rivolge ai figli Jacopo, Nicola, Luca e Giovanna e li invita a fare memoria, per la vita, della vocazione cristiana che – insieme alla mamma – ha tentato di trasmettere loro.
Racconta le scelte che ha compiuto con la sposa: quella di avere tanti figli («Quattro figli, in una città come Milano, sono un atto di disperata fiducia nella vita»), di volerli sobri e liberi, di puntare – nella loro formazione – sull’essenziale dell’onestà e della fiducia in Dio. E ricorda loro che dobbiamo sempre «obbedire alla nostra coscienza», ma dobbiamo anche fare in modo che essa sia informata al bene: e cioè che non dobbiamo mai cessare dal «discutere, approfondire, verificare, con onestà e con spirito critico» il nostro modo di pensare.
Ma oltre a tutto questo egli raccomanda ai figli di mettere l’amore – a partire dall’amore sponsale – prima di tutto e sopra a tutto, di farne il segreto della felicità, di una felicità che non cede neanche di fronte al dolore.
E’ per le pagine sull’amore che segnalo questo libretto e invito i miei lettori a procurarselo, a regalarlo ai figli che crescono, o al proprio sposo o sposa, ragazzo o ragazza. Perchè è raro che l’amore degli sposi venga raccontato, benchè sia proprio questo amore che rende abitabile la vita e che genera figli alla Chiesa. Ogni volta che lo trovo raccontato esulto e cerco di divulgarlo.

Dovrei riportare i tre «sogni» con i quali Cristini racconta il «mito» dell’uomo che scopre l’amore. Cito solo qualche frase, per invogliare a leggere il libretto.
Primo sogno: «Fu così che egli, un giorno, incontrò una ragazza nei cui occhi si specchiava tutta la bellezza del mondo. Aveva una figuretta slanciata, esuberante, di una straordinaria dolcezza e vitalità…».
Secondo sogno: «Stava accarezzando l’amata. La baciava sugli occhi e il suo sguardo si confondeva nello sguardo di lei. Contemplava la sua bellezza in uno stato di estasi…».
Nel terzo sogno l’uomo s’identifica con Adamo e vede il Signore che gli presenta la compagna con cui è destinato a essere «una sola carne e un’anima sola»: «Allora l’uomo si svegliò dall’uno e dall’altro sonno (cioè da quello del sogno e da quello che nel sogno gli è stato mandato dal Signore, ndr) e comprese che Dio lo aveva fatto partecipe della sua creazione comandandogli l’amore».
Termino con un brano riassuntivo, sull’amore che genera altri amori: «Quando l’uomo e la donna si uniscono nell’amore riscoprono l’estasi del paradiso perduto, e quando nasce un bambino l’intero universo se ne arricchisce. Un bambino che nasce è un miracolo dell’amore che stringe nelle sue piccole mani il miracolo della vita. Quasi un presagio di vittoria sulla morte, un anticipo dell’immortalità».

Di Cristini sono tornato a occuparmi ultimamente (estate 2009) indagando sul catalogo della Casa editrice “La Locusta”. In esso figura al numero 21, come pubblicato nel 1961, il volumetto di Giovanni I chiodi e i dadi, che riproduce il poemetto Il grande grido che Cristini aveva scritto in memoria di don Mazzolari nel 1959, subito dopo la morte del parroco di Bozzolo, al quale si era legato in amicizia già nei primi anni del giornale Adesso. Insieme al poemetto per Mazzolari in quel libretto veniva ripubblicato La strada della croce, il primo libro di poesie di Cristini apparso nel 1950 per le edizioni Il Gallo di Genova. La nota finale al poemetto mazzolariano precisa che esso vorrebbe essere “L’addio ad un uomo che ingenuamente sognava un mondo più giusto e cristiano”.

[Testo pubblicato dall’Eco di San Gabriele nel febbraio 1999, aggiornato nel novembre 2009]

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