Corinna Perrucchini: “Così in Siria ci hanno insegnato l’accoglienza”

Chi ha viaggiato in Medio Oriente sa di che cosa sia capace l’ospitalità di quelle genti, che ci riporta con grande suggestione alla sacralità dell’ospite insegnata dalla Bibbia. Ecco un fresco ragguaglio da chi è appena tornato da laggiù:

Vigilia del ritorno in Italia dal mio viaggio in Siria di un mese fa. Siamo in pullman da Bosra verso Damasco dove il programma prevede il pranzo e successivo tour della città. Viaggiamo sotto il sole cocente del mezzogiorno attraverso un panorama piuttosto desolato. A un certo punto il mezzo si ferma, l’autista scende per fare alcuni accertamenti, quindi ci informa che si tratta di un guasto che non può riparare e deve chiedere aiuti a Damasco da cui ci separa una notevole distanza.
Ci fa scendere tutte (uso il femminile perchè siamo quasi tutte donne e non più giovanissime) perchè altrimenti, senza aria condizionata, si muore di caldo. Ci mettiamo sul ciglio della strada sfruttando la sottile striscia d’ombra del pullman e ammazziamo il tempo che si prospetta lungo con qualche chiacchiera senza nasconderci la preoccupazione per una situazione per niente confortevole e soprattutto imprevista.
A un centinaio di metri dalla strada si vede una casa, bassa a un piano, spoglia come la maggior parte delle case arabe delle zone di campagna, finestre chiuse, nessun movimento. Poi la porta si apre e fa capolino la testa di un bambino, quindi quella di un ragazzo e, in successione, di alcune donne giovani e di una più anziana tutte con velo. Tutti ci guardano incuriositi quando, a un cenno della madre più anziana, il ragazzo si avvia nella nostra direzione, evitando accuratamente di parlare con noi (donne!) e si intrattiene con il guidatore e la guida (uomini!) probabilmente per avere informazioni sulla nostra sosta, quindi ritorna alla casa per relazionare. A quel punto ci fa cenno di andare da loro con grandi segnali.
Timidamente ci avviamo verso la casa con qualche perplessità, siamo una trentina! Tutta la famiglia (il padre non c’è, ci faranno capire – perché parlarsi è un problema – che è al lavoro) ci accoglie sulla soglia con grandi sorrisi, entriamo, ci togliamo tutti le scarpe e ci viene fatto cenno di accomodarci in salotto: una stanza quadrata, freschissima, silenziosa con divani bassi, rasoterra e un grande tappeto al centro. Lasciando la canicola e il rumore della strada fuori ci sediamo tutte sui cuscini lungo le pareti e ci pare di essere in paradiso.
Il ragazzo tenta una minima conversazione in inglese di cui sa qualche parola, la madre sta in disparte e ci sorride, le figlie femmine ci servono acqua fresca in bei bicchieri e il bambino più piccolo porta il vassoio in giro per la stanza. Come se non bastasse ci servono poi biscotti, un facsimile di cocacole e aranciate, penso le loro provviste per un po’. Stiamo lì quasi tre ore, il tempo della riparazione del guasto, ma il tempo non ci preoccupa, il pranzo perso ce lo dimentichiamo, lo shopping delle ultime ore nel suk di Damasco non ci sembra poi così indispensabile.
Parliamo con questa famiglia siriana più con gli occhi che con le parole e ci capiamo benissimo. Quando andiamo via siamo tutti un po’ commossi, noi e loro. Abbiamo toccato con mano cosa vuol dire ospitare lo straniero.

Questo racconto mi è stato inviato il 1° dicembre 2009 da Corinna Perrucchini in risposta alla mia ricerca di “fatti di Vangelo e di umanità”.
[Dicembre 2009]

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