Alberto Ablondi: “Toccherà prima a te o a me?”

Ecco un vescovo anziano e malato che parla della morte a una cugina vicina a morire e le parla con le parole d’ogni giorno ad ambedue familiari, essendo egli sceso da ogni cattedra per propria scelta già prima del pensionamento e della malattia. E’ Alberto Ablondi che fu vescovo di Livorno dal 1970 al 2000 e che ora ha 85 anni, non è autosufficiente, ha difficoltà a parlare e a scrivere eppure non cessa dal predicare appassionatamente il Vangelo di Gesù Cristo. Egli svolge una sua originale catechesi attraverso un sito che si intitola A PASSO D’UOMO VERSO IL DIVINO.  Abita in Livorno dove ogni tanto si riunisce una piccola assemblea per la presentazione di qualcuna delle sue catechesi: a questi appuntamenti arriva e partecipa in carrozzina. Una raccolta di quelle “catechesi” on line e cartacee è stata pubblicata dall’editrice Morcelliana con il titolo del sito dove sono apparse. Da esso prendo un testo della primavera 2008, che è intitolato DI FRONTE ALLA MORTE: LA RESPONSABILITA’ DI CHI E’ VICINO. Vi è riportata la lettera che inviò a una cugina di nome Maria Teresa, di dieci anni più giovane e abitante in altra città, giunta al punto decisivo di una malattia inguaribile e non essendoci nessuno – tra i parenti e i conoscenti – che fosse in grado di parlarle con chiarezza della sua situazione.

Ti ricordi, Maria Teresa, quando scendevamo dal villaggio montano dopo aver visitato la mamma, le espressioni che dissi guidando più lentamente la macchina. Me le hai richiamate tante volte: “Ora che la mamma sta volgendo verso la fine, siamo noi a passare in prima linea”. Mi pare doveroso riprendere il discorso “aggiornandolo” però con una domanda difficile: “A chi toccherà per primo?”
Cerco di non essere pessimista o allarmista, ma un amico medico giorni fa mi diceva: “La tua malattia è stata contenuta per ben diciotto anni ma è devastante”. La certezza di questa pesante caratteristica è l’unica che ho a disposizione. Perché non mi piace, di fronte agli ammalati seriamente impegnati, fare il giochino di nascondersi a vicenda la verità e chiedo a chi mi è vicino la forza, la sofferenza e l’amore di farmi guardare al di là del futuro immediato che mi attende.
Ma non è uno sguardo facile, perché entriamo nel margine del mistero. Non ti spaventi questa parola, perché la nascita e ogni momento della vita sono più misteriosi della morte. Nascendo siamo sorpresi dal gratuito dell’esistere, senza altra motivazione di quella di un amore che ci ha voluto liberi, capaci di dire di “no” e di “sì” a quel Dio che ha fatto “gratuito” me e gli altri e tutto il creato.
Diventa più sopportabile la fine della vita quando sappiamo che, pur perdendo il corpo, resta la “coscienza” di continuare a esistere. Dice tanto bene questa preoccupazione un poeta che io amo, Padre Turoldo: “A una cosa non rinuncio, Signore: / a non dovere essere più ‘Coscienza’, / terra che pensa e ama e adora,/ poiché senza, nulla vi è / che abbia un senso, / nulla dell’intera creazione”.
Leggi questa sua bella poesia che ti allego e noterai come, quasi con sfacciataggine, dice a Dio: “Tu non sai, perché non sei un essere umano, / non sai cosa sia una tale rinuncia” e poi è meraviglioso, questo poeta, quando adopra il fascino della natura, la forza stessa dell’amore sessuale e la bellezza delle creature, per vantare diritti di sopravvivenza. Forte di questo amore umano, il credente raggiunge l’Amore di Dio che ci ha voluto e creato.
A questo punto si apre il mistero della morte e della vita; il mistero viene accettato dal cristiano, perché Gesù lo ha illuminato di speranza e la speranza allarga il cuore di fronte al mistero! Non ti spaventi la parola “mistero”, vuole indicare una realtà più grande di noi e il cristiano l’accetta. Il mistero per chi non crede è solo un tragico buco nero, invece, per chi crede, è una profondità reale e luminosa, ma… abbagliante.
Cara Maria Teresa, forse è volontà del Signore che abbia potuto condividere con te un discorso così delicato che nessuno ha il coraggio di fare. Facciamocelo noi questo regalo, accompagnandoci, anche se lontani, a un Signore Risorto. È Lui che chiede a ognuno di noi di facilitarci l’incontro con il suo amore; misterioso, ma pieno di vita.
A queste condizioni non ti pare che abbia ragione Padre Turoldo di dire, quando si fa più vicina l’ora del tramonto: “venga pure”?
† Alberto

Maria Teresa è morta nella notte fra il 25 e il 26 aprile 2009. Il vescovo non era stato autorizzato dai medici a mettersi in viaggio per incontrarla. In una lettera agli amici e ai parenti di Maria Teresa, che ha la data del 7 giugno, “il vescovo Alberto” – come molti lo chiamano a Livorno – così racconta la decisione di scrivere quella lettera a cui fu sollecitato da quanti seguivano la cugina:
Il gesto che mi disponevo a fare nel renderla consapevole della situazione era veramente difficile e per me unico. Nella mia vita di sacerdote e di uomo, tante volte ho dovuto annunziare e preparare il momento finale; anche al Babbo e alla Mamma. Ma altro è parlare a una persona esprimendosi con la parola, con le labbra, con lo sguardo, con la vicinanza; altro è affidare il tutto a un pezzo di carta che faciliti l’apertura della vita all’eterno. La lettera che ho inviato a Maria Teresa voglio che voi la conosciate, perché ebbi il coraggio di inviarla quando una signora amica mi fece sapere il suo giudizio, dicendo che avrebbe desiderato ricevere una simile lettera nelle stesse circostanze. Così questa lettera adempiva due doveri: il primo comunicare la verità, senza fare “il giochino” di nascondersi l’un l’altro quello che ambedue conoscono; il secondo la consapevolezza che il rivelare l’imminenza della morte non esonera da un altro importante dovere: quello di restare vicino a chi è nella sofferenza. Non può essere infatti sbrigato con una notizia, un gesto che deve essere una donazione vicendevole di verità e di fiducia.

Sono amico e frequentatore del vescovo Ablondi da tanti anni. Egli è stato ospite a casa mia e io nella sua. Più volte mi ha chiamato a tenere incontri a Livorno. Di molti insegnamenti gli sono riconoscente e ora anche di questo più raro di altri, essendo ardua e costosa per tutti la parola rivolta ai morenti. Grazie vescovo Alberto, ti mando un abbraccio. Il mio informatore sul sito del vescovo e sulle sue attuali attività è il livornese Ettore Bettinetti.

Ed ecco la poesia di David Maria Turoldo citata nella lettera, intitolata Venga pure, che è nella raccolta O sensi miei, BUR, Milano 2006, 601-603:

Venga pure, Signore!
E venga pure. Ma facciamo l’accordo.
Io rinuncio a quell’ora estiva dell’alba
quando la luce rossa precede il sole
e si stende per le vie solitarie del borgo
ancora fasciato di silenzio.

E non ti dico, non dico a nessuno
la gioia che godo: una gioia
da valere una vita;
né ti dico, Dio, i pensieri
che penso e l’amore
che sento per tutte le creature,
in quell’ora.

Tu non sai, perché non sei un essere umano,
non sai cosa sia una tale rinuncia,
dirsi: ecco, domani
non ci sarò più,
domani questi occhi
non vedranno più sorgere
il sole.

E rinuncio anche alla sera
a non vedere più la stessa luce,
distendersi nella valle e sul fiume.
Rinuncio, come da sempre, agli incontri,
alla gioia di sentire un cuore
battere nella tua mano
ed accogliere in silenzio confidenze
che non si dicono a nessuno,
la gioia di sentirsi vivi
e di donarsi e tacere:
di donarsi a tutte le creature.
E avere occhi di bimbi
e mirare le stelle.

Tu non sai cosa vuol dire essere
Amanti, la sera. Oh,
non tanto per gli amplessi
affannosi e mortali,
ma per il sogno
e il desiderio infinito di attendere,
e disporsi a offrire, e ancora
sognare di offrirsi
in attesa.

E’ questa l’immagine di nozze
Che celebreremo, Signore.
Questo è varcare la soglia, quando
I raggi obliqui feriscono la siepe
(ho scritto) nell’ora
Del Serafino, e di Francesco, e Chiara:
l’ora delle tortore che tubano e non sanno
l’ora dei colombi sopra la torre
che sospirano e non sanno
quando perfino il lupo e la volpe
sono in amore.

A una cosa non rinuncio, Signore:
a non dover essere più “Coscienza”,
terra che pensa e ama e adora,
poichè senza, nulla vi è
che abbia un senso,
nulla dell’intera creazione:
non la luce e i colori
e gli spazi e il tempo;
e tu stesso privo di senso, mio Dio: per te non rinuncio.

Se questo è il male che mi serbi
Già da ora ti dico
Che non ti perdono: è per te
Che chiedo di essere
Questa eterna tua
Indistruttibile Coscienza.

Altro non chiedo. Ora
che l’accordo è fatto, suppongo,
venga pure! Anche se
continueremo a lottare,
mio Signore.

DAVID MARIA TUROLDO – 21 luglio 1983

[Dicembre 2009]

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