Luigi Maverna: “La Chiesa non è nelle grandi cose”

Il vescovo Luigi alla messa di addio fu salutato con il canto dell’Exultet perché poco prima aveva confidato, alla vigilia di Pasqua, che gli sarebbe piaciuto morire mentre la Chiesa intonava quell’inno. Morì accompagnato da tanti che l’avevano amato avendolo conosciuto da vicino: la dimensione amicale era il suo dono. Ma fu lungamente costretto a impegni pubblici per i quali non aveva vocazione e nei quali molto ebbe a soffrire. Espresse quella sofferenza nel Testamento che lo rivelò un grande della Chiesa italiana degli ultimi decenni del secolo scorso. In quel testo scritto davanti a Dio affermò con la sicurezza dei santi che “la Chiesa non è nelle grandi cose” ma dove “due o tre sono riuniti” nel nome di Cristo.
Il vescovo Luigi Maverna (1920-1998) è acceso dentro dalla chiamata evangelica, sempre raccomanda che “nulla venga anteposto a Cristo” e vorrebbe passare le sue giornate gridando “o Dio, Dio mio, Dio del mio cuore”. Questo grido domina la prima parte del Testamento, scritta 26 anni prima della morte. E invece deve fare il vescovo ausiliare a La Spezia (1965), poi il vescovo a Chiavari (1971), subito dopo l’assistente nazionale dell’Azione Cattolica (1972) e a seguire il segretario generale della Cei (1976), infine l’arcivescovo a Ferrara (1982).
Deve decidere nomine, trattare affari, far quadrare bilanci, occuparsi del Concordato, fare dichiarazioni ai media, incontrare il papa: e non è quello che vorrebbe. Un giorno riprende in mano il Testamento e nel Testamento lo scrive, lui sempre obbediente e timorato, quel pensiero ribelle in nome del Vangelo: che le strutture ecclesiastiche sono sì necessarie, ma non bisogna ingannarsi “quasi che la Chiesa sia lì”, perché lei non è nelle grandi cose, ma in quella piccolissima e immensa di cercare Cristo e di stare con i fratelli “riuniti” nel nome di Cristo. Ed è così che dal vescovo più timido tra quanti sono arrivati al vertice della Chiesa italiana nel secolo scorso ci è venuto – dopo la morte – il messaggio più radicale:

Ringrazio il nostro Dio che ha voluto, senz’alcun mio merito e senza molta mia corrispondenza concreta, purtroppo, santificarmi nel servizio della Sua Chiesa, dopo che a Pavia, a La Spezia, a Chiavari, a Roma come Assistente Generale dell’ACI e come Segretario Generale della CEI, e a Ferrara e Comacchio come Arcivescovo e Vescovo. Gli sono immensamente riconoscente di tutte le grazie concesse a me ‘sanctorum minimo” [minimo tra i “santi”, cioè tra i cristiani, ndr]. Riconosco in esse un cammino provvidenzialmente disposto per insegnarmi a staccarmi via via tanto dalle comunità ecclesiali (le diocesi), quanto dalle associazioni (l’ACI ecc.), quanto dalla CEI stessa e dalle visioni di un impiego ampio di me e delle facoltà, che il Signore non fa mancare (Sufficientia nostra ex Deo [E’ Dio che ci fa essere all’altezza, ndr]) per stringermi sempre più a Sé, a Sé solo, a Sé tutto!
Cosa sono le comunità, le aggregazioni, le strutture del potere – direbbe S. Gregorio Magno – pastorale, se non necessarie, anche sacramentali, esteriorità, che devono condurre, assurdamente forse, alla ricerca e all’attaccamento dell’ “unum necessarium” [l’unica cosa necessaria, ndr], di Gesù Cristo? Tutte queste cose compiono la loro vera funzione quando ci staccano dagli uomini, salvo sempre il vincolo profondo della carità, e, mediante le critiche, le difficoltà, le avversità, ci rivolgono e conducono all’abbraccio amoroso con Cristo e il suo Spirito.
Nel governo di una Diocesi, la mente e il cuore devono lasciare tutto e andare a Cristo, pur nel servizio; nell’assistenza a un’organizzazione quale l’ACI, pur nel tessere rete di conoscenze e d’amicizie, quelle stimate dalla vita della Chiesa, al di là di tutti la mente e il cuore devono ricercare appassionatamente e innamoratamente Cristo; nel contributo al funzionamento della CEI, nella Segreteria Generale, anche a contatto con personalità e dicasteri, ecclesiastici e civili, e con il Sommo Pontefice, la mente e il cuore devono procedere oltre, e in tutti e sopra tutti, senza ingannarsi quasi che la Chiesa sia lì, volere Cristo, vivere con Cristo e il suo Spirito, in sé e negli avvenimenti, offrendo tutto per la salute del mondo, ma indifferente a tutto quasi nulla contasse.
La Chiesa, che pur ne ha bisogno, non è nelle grandi cose. La Chiesa è, preparata dalla voce e dall’azione dei Ministri e dei Fedeli investiti di autorità, la Chiesa è dove è, dove sono i cuori umilmente aperti, accoglienti, concordi con Cristo. “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono in mezzo a loro”.
Lì, ad ascoltarlo; lì, a riamarlo; lì, a gustarlo e pregustarlo, lì per l’eternità. Di lì, la fecondità di un amore che raggiunge, spiritualmente, invisibilmente, soprannaturalmente, ma concretamente, i confini del mondo.

Questo Testamento è dell’8 settembre 1986. Maverna ha 66 anni. Undici anni più tardi lascerà l’arcidiocesi per limiti d’età e andrà in pensione. Vivrà ancora tre anni presso le suore di Santa Maria a Querceto di Sesto Fiorentino. Colpito da grave infermità, che lo costringe all’amputazione delle gambe, muore nella notte tra il 31 maggio (Pentecoste) e il 1° giugno 1998.
Ho conosciuto abbastanza – nel mio lavoro di giornalista, ma anche nel colloquio da cristiano a cristiano – il vescovo Luigi Maverna. Abbastanza per poter dire che c’era uno stacco brusco tra la sua immagine pubblica, che era come bloccata e la passione evangelica che l’animava. Era straordinariamente timido e usciva male dalle conferenze stampa che teneva quando era segretario della Cei. In privato invece era un altro uomo: capace di un calore e di una vicinanza indimenticabili.
Ricordo un incontro a Ferrara, nel marzo del 1993, un giorno che potei parlargli della mia ricerca di “fatti di Vangelo”: mi incoraggiò a continuarla e mi disse, tenendomi le mani, che “sono queste le cose che contano”. Era commosso e mi parve strano che lo fosse. Leggendo il Testamento, dopo la sua morte, ho capito quella commozione. E sono commosso anch’io e contento che un fratello vescovo, chiamato a “grandi cose”, abbia trovato il modo di dire che la Chiesa non è in esse.

Ho inserito questa memoria del vescovo Maverna nel capitolo CELEBRAZIONE ECCLESIALE DELLA PROPRIA MORTE perché al suo funerale, nella Cattedrale di Ferrara, per decisione del successore Carlo Caffarra fu cantato l’Exultet – l’annuncio esultante della risurrezione di Cristo che si canta nella Veglia Pasquale – in risposta a un suo desiderio espresso così nei giorni dell’ultima Pasqua, sentendo avvicinarsi l’ora della partenza: “Che bello morire al canto dell’Exultet”. Questa sua confidenza è narrata da Avvenire del 4 giugno 1998 nella cronaca della messa esequiale, dove sono anche riferite queste parole pronunciate da Caffarra nell’omelia: “La sua morte con Cristo iniziò la sera del Giovedì Santo, quando subì un nuovo gravissimo intervento chirurgico; fu sacramentalmente significata la mattina del Venerdì Santo, quando lo unsi col santo olio degli infermi; fu portata a termine, non appena tramontato il cinquantesimo giorno, il giorno di Pentecoste”.
Il Testamento è stato letto nella cattedrale di Ferrara durante la celebrazione del trigesimo, in quell’occasione è stato pubblicato dall’arcidiocesi in forma di opuscolo e distribuito ai presenti ed è stato riprodotto integralmente dal quotidiano Avvenire insieme alla cronaca del trigesimo il 3 luglio 1998 con il titolo La mia vita una goccia di amore. Il testamento spirituale di Maverna: “Ho desiderato solo di servire”. L’espressione “goccia di amore” figura nella prima parte del Testamento, che ha la data del 1972:
Perdonami, o Dio, e mi perdoni la Chiesa tutta, di non essere stato che un desiderio! E mi accolga la grandezza della misericordia del Signore, grazie all’intercessione della benignissima Vergine Madre Maria, per quella goccia d’amore che Tu hai racchiuso in questo povero desiderio.
A un anno dalla morte l’arcidiocesi di Ferrara-Comacchio ha pubblicato una raccolta di suoi testi con il titolo Goccia che riflette il cielo. Lettere pasquali 1983-1995, con la prefazione del successore Carlo Caffarra.

Qui in appendice riproduco il testo integrale del TESTAMENTO, tanto difficile da reperire quanto importante a conoscere:

In spiritu humilitatis et in animo contrito suscipiar a Te, Domine, et sic fiat sarificium mortis meae in conspectu Tuo, ut placeat tibi, Domine Deus!
L’amore con il quale, o Dio, Dio Mio, Dio del mio cuore, mi hai prevenuto e accompagnato sempre, e con quale, confido, fedelmente avvolgerai tutta la mia vita, è immenso, come lo è per ogni creatura.
Di fronte alle meraviglie di questo Tuo amore, o Dio, Dio mio, Padre e Figlio e Spirito Santo, tutto proteso a collocarmi nel tempio della Tua gloria, ed a trasferirmi, anzi, in tempio della Tua gloria, cosa ho fatto durante tutta la mia esistenza di cristiano, di sacerdote, di vescovo?
Cos’ho fatto per costruire veramente in corrispondenza di comunione e di collaborazione, questo tempio della Tua gloria, in me e attorno a me?
Ho desiderato esservi introdotto ed introdurviTi, essere posseduto e possederTi, goderTi ed essere goduto, silenziosamente ed ardentemente, e non per me solo, ma per tutti, per le anime che ho incontrate sul cammino della mia vita, e per tutte le anime del mondo lontano, indigenti e sofferenti, alle quali si è esteso il mio desiderio, Ma non fu che un desiderio, m’accorgo: un desiderio conservato per la Tua grazia, ravvivato dagli interventi materni e costanti e soavi di Maria SS., perdurato tra le lotte dello spirito e le prove del ministero, e sostenuto in vista della fine.
Non fu che un desiderio; ed anch’io, ora, non  mi trovo ad essere stato e ad essere, che un desiderio!
Perdonami, o Dio, e mi perdoni la Chiesa tutta, di non essere stato che un desiderio! E mi accolga la grandezza della misericordia del Signore, grazie all’intercessione della benignissima Vergine Madre Maria, per quella goccia d’amore che Tu hai racchiuso in questo povero desiderio.
O Dio, Tu il mare, ed io un’infima goccia! Perdimi in Te, e riempimi di Te, e, con me, perdi in Te e riempi di Te quanti sono nascosti in questa goccia d’amore, per l’infinita potenza del Tuo amore. Così sia. (…)
Centro Devoto Marrè, Ghirlanda (Gr), 19.6.1972, anniversario della mia ordinazione sacerdotale: come ho pregato per la Prima Santa Messa, meta e gioia della mia giovinezza, così prego ora per la mia morte: In spirito humilitatis et animo contrito suscipiar a Te, Domine…
+ Luigi Maverna

Ps. Riconosco che nelle varie tappe della mia vita, Dio tutto ha permesso e tutto ha disposto per strapparmi al mondo e alle creature e attirarmi solo a sé, Lo ringrazio con tutto il cuore, domando perdono a tutti. In Te Domine, speravi; non confundar in aeternum.
Bologna, 5 luglio 1984, Esercizi Spirituali.
+ Luigi Maverna

Rapallo, 8.9.1986
Prego di unire alle premesse del Testamento scritto in anni passati, la presente (cfr. 19.6.1972).
Ringrazio il nostro Dio che ha voluto, senz’alcun mio merito e senza molta mia corrispondenza concreta, purtroppo, santificarmi nel servizio della Sua Chiesa, dopo che a Pavia, a La Spezia, a Chiavari, a Roma come Assistente Generale della ACI e come Segretario Generale della CEI, e a Ferrara e Comacchio come Arcivescovo e Vescovo. Gli sono immensamente riconoscente di tutte le grazie concesse a me “sanctorum minimo”. Riconosco in esse un cammino provvidenzialmente disposto per insegnarmi a staccarmi via via tanto dalle comunità ecclesiali (le diocesi), quanto dalle associazioni (l’ACI ecc.), quanto dalla CEI stessa e dalle visioni di un impiego ampio di me e delle facoltà, che il Signore non fa mancare (Sufficientia nostra ex Deo) per stringermi sempre più a Sé, a Sé solo, a Sé tutto!
Cosa sono le comunità, le aggregazioni, le strutture del potere – direbbe S. Gregorio Magno – pastorale, se non necessarie, anche sacramentali, esteriorità, che devono condurre, assurdamente forse, alla ricerca e all’attaccamento dell’ “unum necessarium”, di Gesù Cristo? Tutte queste cose compiono la loro vera funzione quando ci staccano dagli uomini, salvo sempre il vincolo profondo della carità, e, mediante le critiche, le difficoltà, le avversità, ci rivolgono e conducono all’abbraccio amoroso con Cristo e il suo Spirito.
Nel governo di una Diocesi, la mente e il cuore devono lasciare tutto e andare a Cristo, pur nel servizio; nell’assistenza a un’organizzazione quale l’A.C., pur nel tessere rete di conoscenze e d’amicizie, quelle stimate dalla vita della Chiesa, al di là di tutti la mente e il cuore devono ricercare appassionatamente e innamoratamente Cristo; nel contributo al funzionamento della CEI, nella Segreteria Generale, anche a contatto con personalità e dicasteri, ecclesiastici e civili, e con il Sommo Pontefice, la mente e il cuore devono procedere oltre, e in tutti e sopra tutti, senza ingannarsi quasi che la Chiesa sia lì, volere Cristo, vivere con Cristo e il suo Spirito, in sé e negli avvenimenti, offrendo tutto per la salute del mondo, ma indifferente a tutto quasi nulla contasse.
La Chiesa, che pur ne ha bisogno, non è nelle grandi cose. La Chiesa è, preparata dalla voce e dall’azione dei Ministri e dei Fedeli investiti di autorità, la Chiesa è dove è, dove sono i cuori umilmente aperti, accoglienti, concordi con Cristo. “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono in mezzo a loro”.
Lì, ad ascoltarlo; lì, a riamarlo; lì, a gustarlo e pregustarlo, lì per l’eternità. Di lì, la fecondità di un amore che raggiunge, spiritualmente, invisibilmente, soprannaturalmente, ma concretamente, i confini del mondo …
Grazie, Signore, dell’itinerario a te, da te inventato dall’eternità, attraverso le tappe che mi hai fatto percorrere. Ho cercato di percorrerle come un desiderio di amore, come un atto di puro amore, come un perfetto atto di perfetto amore. Avrei voluto la mia vita una lode, un canto a te, Gesù, con lo Spirito e con il Padre.
Avvolgimi nel tuo amore, e avvolgimi del perdono di quanti non hanno ricevuto da me quanto dovevano in amore, attenzione, perdono.
Maria SS., S. Giuseppe, S. Luigi, S. Giovanni, S. Paolo… intercedete per me e strappate a Dio, per le anime affidatemi nel corso della mia esistenza, le grazie che io non sono riuscito anche per le mie colpe ad ottenere per la loro salvezza, santificazione, e gioia. Amen.
+ Luigi Maverna

[Testo pubblicato dall’Eco di San Gabriele nel settembre del 1998, aggiornato nel dicembre 2009, parzialmente ripreso nel volume “Cerco Fatti di Vangelo 2”, EDB 2011, alle pagine 98-102]

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