Teresa e Giovanni Giorgi: “Perdoniamo e ci vestiamo di bianco”

Chiare parole di perdono e donne vestite di bianco invece che di nero: a San Luca, paesino della Locride, nell’Aspromonte, la famiglia Giorgi manifesta così la sua reazione cristiana all’uccisione di Francesco, 16 anni, nella strage di Duisburg, in Germania, nel ferragosto del 2007, quando la ‘ndrangheta uccise sei persone in terra straniera e fece conoscere al mondo la sua ferocia. Francesco era il più giovane dei cinque. Don Pino Strangio, parroco di San Luca, ci vede “il segno di una svolta” per quel martoriato paese, simbolo delle faide che si trasmettono di generazione in generazione e ne parla con commozione durante la celebrazione funebre del 23 agosto: “Una mamma trafitta come l’Addolorata, espropriata del dono più caro, invoca il perdono verso gli uccisori del figlio. Il vestito non è quello del lutto ma quello di ogni giorno ed è bianco, che è il colore della pace: anche questo è un segnale del perdono”.
Queste le parole di Teresa Strangio in Giorgi alla vigilia del funerale del figlio Francesco e del fratello Sebastiano Strangio: «Voglio dire a tutti che perdono coloro che hanno provocato questo dolore a me e a tutta la mia famiglia. Ho perso mio figlio, un amore di ragazzo, e anche mio fratello che era tra le persone più importanti della mia vita. L’odio porta altro odio e la vendetta porta ad altra vendetta. Noi vogliamo che si smetta di far versare tutto questo sangue di innocenti».
Giovanni Giorgi – marito di Teresa e padre di Francesco – condivide la decisione della moglie e chiede e ottiene un funerale normale e non “privato” come pareva avessero disposto le autorità in un primo momento: «Ci auguriamo di poter celebrare dei funerali normali. Francesco non era un delinquente e non ha mai fatto nulla di male. Saremmo ulteriormente addolorati se ci costringessero a celebrarli in forma privata e senza poterci stringere con tutti coloro che hanno voluto bene a nostro figlio. Quella che viviamo in queste ore è un’amara attesa. Anche le mie figlie si augurano che il corpo di Francesco torni al più presto nel nostro paese. Almeno così avremo un luogo dove poter piangere e dove poter pregare. Nei nostri cuori c’è un profondo dolore ma c’è anche la serenità di persone che hanno perdonato e che ora sperano che si interrompa questa scia di sangue».
I familiari di Francesco annunciano che non si vestiranno di nero e mantengono la promessa. Perchè il loro “non dev’essere un lutto come i tanti, i troppi, che ci sono sempre a San Luca per i morti ammazzati”. Funerali nei quali vestire di nero vuol dire anche impegnarsi a vendicare l’ucciso. Il loro figlio – giurano – «non c’entrava con la faida». Era al ristorante DA BRUNO a lavorare con lo zio Sabastiano. «Una vittima innocente»: per questo scelgono di vestirsi di bianco e perché intendono «chiedere giustizia e non vendetta». Il “colore della pace” – come lo chiama il parroco – lo indossano Teresa e tutta la famiglia: il marito, le tre figlie, le cugine, le sorelle. Anche la figlia Elisa, che guida il coro della chiesa di Santa Maria della Pietà, suona l’organo vestita di bianco.
Una cugina di Francesco, Antonella, legge durante il rito una lettera che rivendica la estraneità del ragazzo alla malavita: «Avessimo sognato la tua morte per mano nemica ci saremmo messi a ridere, perché tu non avevi nemici. Nel nostro vocabolario parole come vendetta e odio non esistono. Perciò noi perdoniamo».
Lo stesso giorno del funerale il vescovo di Locri Giancarlo Maria Bregantini (ora arcivescovo di Campobasso) tiene a San Luca un incontro con il clero della diocesi sul tema del perdono: «E’ la forza della mitezza evangelica il grande e reale antidoto alla faida. Vivere il perdono e poi insegnarlo diviene così il primo dei nostri impegni». Rivolto agli ‘ndranghetisti, Bregantini dice: «Dio vi ha visti e vi chiederà conto del sangue che avete versato. A voi che avete compiuto questo orribile male dico che la mano di Dio vi seguirà fino alla vostra conversione e non lascerà impunito il male che avete fatto». Il vescovo loda il gesto di “pace” guidato dalle donne. Nella sua predicazione della mitezza evangelica egli è solito affermare che “sono le donne che hanno nel cuore o il perdono o la vendetta”.

L’omelia del parroco è citata da Avvenire del 24 agosto 2007. Le parole di perdono di Teresa e Giovanni Giorgi le ho prese dal Quotidiano di Calabria del 22 agosto. Della lettera della cugina Antonella parla il Corriere della Sera del 24 agosto. Mi ha aiutato nella ricerca il collega Andrea Gualtieri del Quotidiano di Calabria.

[Dicembre 2009]

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