Michele Cargiolli: “Schopenhauer è un vecchio stronzo”

Michele ha vent’anni, è intelligente, sveglio, pieno di amici nella vita e su Facebook, ha fatto la maturità scientifica con la lode nel luglio del 2009; ma deve stare legato a una sedia a rotelle perché non si faccia del male: lo tormenta la sindrome di Lesch-Nyhan, una malattia genetica rara e senza rimedio, che porta il malato a mordersi, a tagliarsi, a battere la testa contro il muro. Come non controlla i movimenti così Michele non controlla la parola e dice tutto quello che pensa, in un effetto sale e pepe che genera equivoci e gli attira le simpatie. Abbandonato alla nascita in un ospedale milanese, è stato accolto da una famiglia di Sampierdarena, Genova, che aveva già tre figli propri. Così parla – anche a nome del marito Franco Cargiolli, ferroviere in pensione – la mamma adottiva, Paola Mazzucchi Cargiolli, in un’intervista a cura di Patrizia Albanese pubblicata il 12 dicembre 2009 dal Secolo XIX:

L’abbiamo preso con noi su istigazione degli altri tre figli. Avevamo letto Avvenire di quella domenica di inizio ottobre 1989 che segnalava un bambino in  attesa di affido terapeutico. E ne avevamo parlato tutti insieme. Il 15ottobre, rivedendo il trafiletto, i ragazzi ci hanno chiesto: “E perché questo bimbo non lo prendiamo noi?”. Era difficile il “no”. Contrastava con tutto quello che avevamo insegnato loro fino a quel momento. Abbiamo telefonato al giudice tutelare dei minorenni di Milano, dicendo ai ragazzi che quel bambino di certo era già stato dato in affido. Invece no. Aspettava noi. Ci ha proprio chiamati. Ci voleva. Come noi volevamo lui.
Nei quattro mesi iniziali medici e magistrati ci terrorizzavano, dicendoci cose terribili della malattia. Il pediatra di famiglia, consultato prima dell’arrivo di Michele, s’era coperto gli occhi con le mani prima che finissi di pronunciare la sindrome, scuotendo la testa e mormorando: “Io non lo farei”. Ma quando hanno capito e finalmente ce l’hanno fatto vedere, quando l’ho avuto fra le braccia, non l’ho più mollato. Era mio figlio. Ed era bellissimo. E l’unico pensiero era che Michele restasse per sempre con noi. E con i suoi fratelli: Chiara, Stefano e Marco, che allora avevano15, 13 e 8 anni.
Michele quand’è stato male soffriva davvero molto. Prima con la dialisi e poi con l’intervento per un trapianto di rene, che l’ha fatto diventare l’unico trapiantato al mondo con la Lesch-Nyhan, ha avuto momenti di sconforto. Diceva che non ce la faceva più. Che soffriva troppo. Ma gli spiegavo che dopo tutta quella sofferenza sarebbe stato bene. E sarebbe tornato a vivere. E lui ama la vita. La vuole vivere. E noi non potremmo mai immaginare una vita senza di lui. Ci ha dato moltissimo. E non sa quanto aiuto ho avuto da lui con gli altri figli. Hanno dato molto e ancor di più dovranno dare in futuro. Ma da Michele i ragazzi hanno avuto moltissimo. Come tutte le persone che l’hanno conosciuto. Anche i suoi compagni di scuola, ai quali è stato spiegato che la sua malattia è senza freni. Fisici e mentali. Non avendo controllo, Michele dice quello che gli viene in mente. Cose non sempre gradevoli. A luglio al liceo scientifico Fermi piangevano tutti quando ha superato l’esame di maturità”.

Sempre a cura di Patrizia Albanese in quella pagina del Secolo XIX del 12.12.09 è riportata questa breve intervista a Michele:
Micky la scuola ti manca?
«Nooo».
I compagni?
«Loro sì. Specie la Sara, che è bellissima con la mini. Ma non sono i miei soli amici».
Quelli del cuore?
«Ghigò e Giorgio, li conosco da quand’ero piccolo. Anche Cocò, Francesco. Sono i migliori amici del mondo. Vuoi sapere perché?».
Perché?
«Lo scorso fine settimana mi hanno portato a Milano. Insieme siamo stati a San Siro, che è bellissimo. Con un gran bel posto per i disabili: si vede ene la partita lì. Non come a Marassi».
E ti hanno aiutato gli amici?
«Sì».
Ti crea disagio o imbarazzo?
«No. È normale. Naturale».
Se potessi parlare con la tua malattia, che le diresti?
«Vattene.Vattene via».
La speranza è nella ricerca, che faccia avanzare scienza e cure.
«Sì. Vorrei una vita normale».
Che cosa vorresti fare?
«Diventare ricco come Berlusconi».
E che ci faresti con tutti quei soldi? La prima cosa?
«Una piscina. Avrei una piscina tutta per me e per i miei amici».
Se guarissi?
«Vorrei camminare. E giocare a pallone. E fare gol come Cassano».
Lo conosci?
«Sì, l’ho incontrato a Bogliasco. Agli allenamenti. Abbiamo fatto una foto insieme. È il mio eroe».
Il momento più difficile?
«Quando mi do un morso. Non lo voglio fare. Ma è più forte di me. E vorrei morire».
Diminuiscono queste crisi, crescendo?
«No. Purtroppo, no. Mi tormenta (la malattia, ndr). E devo stare legato. Slegato mi faccio del male. Mi dispiace. È brutto. Ma è così».
Come immagini la vita da adulto?
«Vorrei camminare. Anche con le stampelle».
La tua famiglia, in una parola?
«Un tesoro».
Ricordi quando hai saputo d’essere stato adottato? Eri piccolo, la mamma te lo disse per proteggerti. Perché tu lo sapessi da lei e non da altri, brutalmente.
«Ho sempre saputo d’essere stato adottato».
Che sentimento provi, nei confronti della tua madre naturale?
Silenzio. Poi: «Vorrei chiederle perché mi ha lasciato».
E a chi dice di non aver voglia di vivere e si lascia andare?
«Che è un asino. La vita è bella. Bisogna avere fiducia e coraggio».
La vita va vissuta sempre, comunque e a qualunque costo?
«Sì. Studiando filosofia, m’ero arrabbiato con Schopenhauer. È…».
Cos’è Schopenhauer?
«Un vecchio stronzo, che non ha capito niente. La vita è bella comunque. Anche se è fatica, è bella comunque».
Finito il liceo, che vorresti fare?
«Tenere la testa impegnata. Studiare ancora. Filosofia».
Il filosofo che senti più vicino?
«Hegel: sa resistere. Ed è più intelligente di me».
[Intervista di Patrizia Albanese a Michele Cargiolli pubblicata il 12 dicembre 2009 da Il Secolo XIX a p. 7]

Franco e Paola Cargiolli hanno avuto il titolo di “cavalieri al merito della Repubblica” nel giugno del 2007 dal presidente Giorgio Napolitano. Paola – che è insegnante di religione – ha scritto tre libri sull’esperienza di Michele e sulla sua malattia:
Una vita (im)possibile, Edizioni dell’Associazione Malattie Rare Mauro Baschirotto, 1997.
Come Simone, Quaderni sulle malattie rare, Genova 2004: il titolo allude a Simone di Cirene, il Cireneo dei Vangeli, chiamato a portare la croce di Gesù e “figura” dei genitori di bimbi colpiti da malattie invalidanti. Paola l’ha scritto mentre assisteva Michele al Gaslini di Genova in occasione del trapianto di rene.
La Leggenda di fra Jacopo: storia della lotta contro una malattia rara, Quaderni sulle malattie rare, Genova 2009: il titolo fa riferimento a Jacopo da Varagine che nella Leggenda Aurea fu “probabilmente il primo a descrivere la sindrome di cui soffre il mio Michele”, narrando della “maledizione del vescovo di Canterbury” interpretabile come un caso di autolesionismo.

A seguito del titolo di “cavalieri” conferito dal presidente Napolitano i coniugi Cargiolli furono invitati a “Piazza Grande”, la trasmissione di Rai 2 condotta da Giancarlo Magalli, ma con l’avvertenza che Michele “poteva essere presente ma non sarebbe stato inquadrato dalle telecamere”. Con una lettera ad Avvenire pubblicata il 20.12.07 Paola Mazzucchi Cargiolli annunciò che lei e il marito rinunciavano all’invito a motivo della reazione “ferita” di Michele alla notizia che n on sarebbe stato ripreso. Questa la conclusione della lettera, apparsa con il titolo: Mio figlio è disabile ma non sarà invisibile: “L’amore è quello per cui si è disposti a passare attraverso l’inferno. Quello che non chiude e non fa chiudere gli occhi. Quello che non ha paura di ciò che pare brutto, che dà dolore dentro, ma che esiste ed è vero. Quello per cui ti arrabbi, ti indigni, ti si chiude la gola. Quello per cui, senza Michele, non ci vedrete in tv”.

La prima notizia di Michele l’ho avuta da un articolo del quotidiano Il Foglio del 15 dicembre 2009. Qui è l’intero servizio del Secolo XIX da cui ho tratto il grosso delle notizie. Michele su facebook.

[Dicembre 2009]

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