Franca Bossi: “Una Madonna alla quale puoi dare del tu”

Franca, una volontaria dell’Oftal di Milano (Opera Federativa Trasporto Ammalati Lourdes), si racconta a 88 anni con invidiabile vivacità. Il racconto ha a tratti la felicità dei bozzetti milanesi di Carlo Emilio Gadda. La fede vi è intesa secondo la fattiva pietas ambrosiana e i viaggi a Lourdes vi sono celebrati come “gioia dell’amicizia” e – si direbbe – fonte di giovinezza.

Ormai allevati quattro figli, cercai il modo di andare a Lourdes con gli ammalati. Accompagnai mia cognata nel 1964 e conobbi l’Unitalsi (…). Incontrai un amico: quello mi disse: «Tu non sei un tipo da Unitalsi, tu sei un tipo da Oftal». Così entrai nell’Oftal nel 1965. Incontrai la Giuliana, allora soprannominata «prezzemolo» che mi destinò alla «sala gravi». E lì incontrai la mia Pinotta: la si­gnora Pina Caprino, che diffidente — «Questa chi la me darà fa­stidi» – mi assegnò la prima notte e le ore pasti. Sala Sacré Coeur: 57 letti, 54 da imboccare; 16 barelle, il resto carrozzine.
Mi buttai con tutto l’entusiasmo di un neofita e forse esagerai quando, con una bracciata di lenzuola piene di «tutto» scesi nel vecchio lavatoio del vecchio Asile (ora Accueil) per ripulirle. La Pina e la sua Vice, la carissima Eugenia Tavola (quando percor­revano il corridoio fra i letti, una accanto all’altra, era un trionfo di posteriori) mi raggiunsero per vedere come me la cavavo. Spazzola in mano, seccata, le dissi: «Pensava che non ne fossi capace? Con quattro figli si impara presto a lavare». Da quel mo­mento la Pinotta e io diventammo inseparabili (…).
E la mia vita cambiò. La signora che faceva visite inutili divenne una donna presissi­ma. Portai a Lourdes i miei figli, scrollai marito, papà, mam­ma, sorelle, ancelle, amici. Lourdes, per noi, divenne il riposo del cuore, la gioia dell’amicizia, l’incontro con una Madonna non là sull’altare ma una Madonna vera, alla quale puoi dare del tu, che puoi energicamente spronare se sei disperato, quel­la che ti dona il sorriso, la gioia di vivere anche nei guai, la ca­pacità di donare e ti accorgi che, se doni, riesci il doppio, il quintuplo, il centuplo (…)
Infine conobbi la grande Franca di Trino, motore e guida di tutto: se ti diceva «Senti, cara» sapevi che, dopo, ti pelava! Diventammo amiche, ci stimammo e fu lei che mi volle in furgo­ne e in refettorio. E furgone e refettorio divennero la mia gran­de gioia! In furgone vedevo tutto il treno, specie la gioventù: potevo allungare un pezzo di cioccolata, un panino, un frutto, un cuscino, un Filadelfia (don Francesco diceva che la mia borsa era “la borsa dei miracoli”) a un ragazzo stanco, affama­to o assonnato; potevo mandare una bottiglia in più a un re­parto difficile, una coperta, due, tre alle dame o al malato fred­doloso, fare una macedonia ai grandi capi: zio Antonio ne era felice. Potevo anche ricevere, col magone, le scenate e le «chi­tarrate» della Laura Mura e amici; Laura, una ragazza unica: mai ferma, attenta, affettuosa, impegnata, altruista, serena come suo padre, l’indimenticabile Franco Mura. In furgone imparai a dire il Rosario inginocchiata sulle tavolette che ne formavano il pavimento (quanti accidenti insieme alle Ave Maria) e a meditarlo con Pino Villa che… non finiva più… e imparai ad apprezzare «i scigoll» (le cipolle) e «i nervitt» (i nervetti) dell’Ambrogio Mombelli, altro punto fermo in cuci­na. Una volta rifiutò di partire se non vi era un sacco di cipolle: e la grande Franca di Trino dovette cedere e cercare (era dome­nica) i scigoll! Arrivarono in macchina!
E poi il refettorio. Dovetti insegnare alle damine imbarazzate e abituate a essere servite, a usare la scopa o lo scopettone per pulire il pavimento; ad adoperare la spugnetta per lavare i ta­voli; a raccogliere piatti, posate, avanzi; a pelare patate e carote (Ah… quelle unghie laccate che si rompevano…). Tutto fatto con gioia, con allegria, sempre tutte insieme.
Se penso a quegli anni, adesso che ne ho 88, mi pare un sogno incantevole, impossibile! Vi era tanta gioia, allora, all’Oftal. Vi era anche qualche merlo dal becco giallo che ti beccava mala­mente (lo diceva monsignor Ferraris) ma subito vi era il senso del servizio, il sacrificio per la Madonna, la risata spontanea, l’abbraccio amichevole.
L’Oftal mi ha dato tanto e all’Oftal ho voluto tanto bene, specie ai miei ragazzi, che ora la dirigono! Avanti sempre con corag­gio: la Madonna c’è! E come! zia Franca.

Ho trovato la storia di Franca Bossi alle pp. 188-190 – capitolo Testimonianze – del volume L’Oftal a Milano. Appunti di cronaca, spunti di riflessione, Ancora, Milano 2009.

[Gennaio 2010]

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