Mario Melazzini: “Ringrazio di questa malattia”

Mario Melazzini è un medico e un malato famoso, ma più famoso come malato che come medico. E’ un ematologo e dirige l’Unità operativa Day Hospital Oncologico della Fondazione Maugeri di Pavia. Come malato è affetto – dall’inizio del 2003 – da sclerosi laterale amiotrofica, una malattia degenerativa del sistema nervoso motorio che lo ha portato progressivamente a perdere la motilità muscolare, la capacità di nutrirsi e la capacità di respirare autonomamente. Continua a fare il medico nonostante sia un malato. Ha raccontato la sua lotta con la malattia in trasmissioni televisive e interviste a ogni tipo di media. Ecco come ne ha parlato nell’aprile del 2004 al Convegno annuale dei medici dell’Oftal, a Tri­no Vercellese:

Da un anno e mezzo mi è stata diagnosticata una malattia, la sclerosi laterale amiotrofica, malattia poco conosciuta, molto particolare, che però ha permesso, a un certo punto della mia vita di uomo e di medico, di iniziare un percorso nuovo. Io ho sempre pensato, e sono più di vent’anni che faccio il me­dico, ho sempre pensato che la professione di medico in qual­che modo mi rendesse un po’ immune dalle malattie. Una grande presunzione la mia… Io c’ero, facevo il medico perché dovevo essere utile agli altri, aiutarli a guarire, o almeno a leni­re le proprie sofferenze.
Con questa malattia ogni muscolo può essere colpito. Io ho cominciato col piede, camminavo a fatica, lo trascinavo, inciam­pavo… poi mi ha costretto, prima con un canadese, poi con l’altro, e nel giro di tre, quattro mesi mi è arrivata proprio eclatante una paraparesi spastica e dovevo usare la carrozzina per muovermi. Io sento tutto, io ho voglia di muovere i piedi, le mani, alzarmi, di tirare su il collo, però ecco, purtroppo manca questa possi­bilità… ecco, qui nasce quella sensazione, che io dico sempre, mi sembra di essere prigioniero del mio corpo (…).
Quello della deglutizione, della disfagia, era uno dei pro­blemi che temevo di più, io, e che purtroppo è arrivato molto presto: nell’agosto dell’anno scorso. E il problema della deglu­tizione è che si arriva a uno stato cachettico, alla disidratazio­ne, e caratteristica della malattia è che si arriva alla distruzione della massa muscolare. Quindi bisogna a ogni costo mante­nere un adeguato apporto di energia perché qui c’è un proble­ma di respirazione. Purtroppo l’unico modo per mantenere per me quell’apporto nutritivo indispensabile è fare l’alimenta­zione parenterale o enterale. C’è voluto due o tre mesi per de­cidere di fare la gastrostomia percutanea. È stato un passaggio difficile, ma alla fine, ho capito che era da fare. Perché convive­re con un tubicino nella pancia non è piacevole.
E poi si arriva alla ventilazione artificiale: io la sto usando: anche questo è stato un passo difficile, però mi sono accorto che ventilando correttamente può migliorare la qualità della vita: la respirazione sarà migliore, la parola sarà migliore, anche se attaccato, e Dio benedica chi ha inventato la macchinetta.
Altro problema grosso è comunicare. Ci sono pazienti che non parlano… E concludo con questa frase, che ho fatto un po’ mia e che è di una mia compagna, pure ammalata di SLA e medico: “Non diamo mai per scontato di poter abbracciare i nostri figli, par­lare e essere capiti, alzarsi dalla sedia e camminare, afferrare un bicchiere d’acqua e rovesciarsela in gola senza aver paura di soffocare”. Ma vi dico comunque che la malattia non riesco a maledirla perché se Dio me l’ha data è giusto che sia così, ma assolutamente, è brutto dire “ti ringrazio” perché non è forse giusto; ma come medico ho veramente capito e sto continuan­do a capire quanto è importante la sofferenza dei nostri pa­zienti e quanto veramente basta poco per poterli aiutare, anche senza essere dei superspecialisti. Basta veramente tanta comprensione e tanta disponibilità.

Due anni più tardi, Mario Melazzini parlava così al convegno dei Giovani Oftal, a Milano («Lourdes», anno 74, n. 1, gennaio 2007):

La prima reazione è stata quella di farla finita e di farmi aiutare da qualcuno per finirla. Ragionavo da medico, non da uomo, ragionavo come corpo che ha l’arroganza di decidere quando iniziare, quando finire, quando continuare… Mi chiedevo: adesso io cosa faccio? Ho in­vestito tutto nella mia fisicità, nella mia carriera, nel mio lavoro e ora, a 45 anni, sono destinato a rimanere immobile, in un letto, completamente bloccato, legato alle macchine, ma soprattutto con la mente sempre lucida… E ho avuto paura: paura di rimanere solo con la malattia. E mi sono rivolto a chi, in Svizzera, poteva aiutarmi ad anticipare la mia morte…
Fu allora che ho scoperto il libro di Giobbe… Capii l’importanza di vivere in qualsiasi condi­zione; l’essenza propria del vivere. Sono sicuro che essermi con­frontato e poi essere stato da solo mi abbia dato la forza e da lì la mia vita è cambiata. Sono stato fortunato anche se è giunta la per­dita delle mie funzioni. Ringrazio Dio — anche se sembra parados­sale — che sia arrivata questa malattia; perché vi posso garantire che si può vivere bene anche con le nostre disabilità accettando quello che si ha in questi momenti.
Noi ammalati abbiamo biso­gno degli altri. Quando qualcuno ci dà una mano è una cosa bel­lissima, significa che esistiamo per loro e siamo importanti. Sono una persona sana dentro e ho la fortuna di aver raggiunto questo equilibrio interiore. Questo lo dico grazie alla preghiera, grazie ai miei pazienti, a chi mi è stato vicino.
Sono stato a Lourdes prima come barelliere, poi come medico e poi come malato: tutti e tre momenti bellissi­mi e incredibilmente formativi; la cosa assurda è che noi esseri umani dobbiamo passare dall’altra parte per capire i bisogni dei malati. La sfida è “trattare il malato indipendentemente dalla patologia che ha e dalle medicine”. Il fatto che nonostante ciò possiamo essere aiutati, che qualcuno ci abbracci perché noi non possiamo farlo; per questi gesti io malato dico – a cuore aperto e a voce alta – grazie.

I due testi di Mario Melazzini, trascritti dal nastro, li ho presi dalle pp. 190-193 del capitolo Testimonianze del volume L’Oftal a Milano. Appunti di cronaca, spunti di riflessione, Ancora, Milano 2009. In collaborazione con Marco Piazza, Melazzini ha pubblicato con le edizioni Lindau nel 2007 il volume Un medico, un malato, un uomo. Come la malattia che mi uccide mi ha insegnato a vivere, pp. 132, 12 euro.

[Gennaio 2010]

 

Aggiornamento settembre 2012:

Mario Melazzini, Emmanuel Exitu, Io sono qui, cofanetto libro+dvd, ed. San Paolo 2011. sottotitoli in inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese, brasiliano. Qui il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=yH7q7K7iKNg

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