Charles de Foucauld, Annalena e don Andrea nuove figure cristiane nella città mondiale

Qui dico la mia felicità per la beatificazione di Charles de Foucauld (13 novembre 2005) e mi avventuro ad affermare che senza di lui non avremmo avuto Annalena Tonelli e don Andrea Santoro. Applico poi lo spirito di frère Charles alla condizione di chi vive non a Tamanrasset ma in Babilonia. Cioè a Bologna, a Roma e dappertutto.
Ero così contento quando sentii annunciare la beatificazione del “piccolo fratello”, che subito proposi un servizio al Corriere della Sera, ma mi dissero “ne parleremo quando arriverà”. Non si potè fare neanche allora e solo potei scrivere trenta righe perché in San Pietro quel giorno comparvero una decina di Tuareg con le loro vesti colorate.

Quella pagina ardente del teologo Ratzinger
Non fecero quasi niente neanche gli altri giornali commerciali e sottotono fu il discorsetto che tenne il papa a conclusione della cerimonia. Eppure tra gli scritti del teologo Ratzinger c’era una pagina ardente su Charles de Foucauld a Nazaret. Eppure il padre Yves Congar aveva detto per lui parole che non si dimenticano: “Alle soglie del secolo atomico la mano di Dio ha acceso due grandi luci: si chiamano Thérèse di Lisieux e Charles de Foucauld“. Altrettanto aveva sentito da Giovanni Battista Montini e von Balthasar era arrivato a paragonarlo a Francesco d’Assisi, il cui esempio di povertà egli ha “chiarito più a fondo nel puro senso evangelico” (Il tutto nel frammento, Jaca Book 1970, p. 110).
Si è arrivati infine al riconoscimento della santità sorprendente del piccolo fratello, ma ci si è arrivati come distratti dal gran numero di beatificazioni degli ultimi vent’anni, senza che quel riconoscimento sia arrivato a costituire un segno per chi non lo conosceva. Mi sarei immaginato che il papa facesse per lui un’eccezione alla nuova regola di non celebrare beatificazioni! Ma forse ha fatto bene a non fare eccezioni, vedendo che cos’era successo a Paolo VI, che volle celebrare la beatificazione di Maximilian Kolbe e non si liberò più dal peso di ogni altra beatificazione: “Se ha celebrato per Kolbe, perché non celebra per il nostro beato”?
Ma davvero Charles meritava d’essere segnalato alto, tra i beati e i santi. Appunto come Kolbe, o come la Stein, o come Madre Teresa. Vera icona evangelica per la nostra epoca.
Mi aspettavo che papa Ratzinger dedicasse al nuovo beato qualcosa della forza di parola che bene aveva trovato per parlarne da teologo, nel volumetto Il Dio di Gesù Cristo (Queriniana 1978, pp. 84-86). Ma con Benedetto abbiamo questa risorsa, che possiamo integrare il papa con il teologo e rileggere il teologo alla luce del papa. Godiamoci dunque quanto Ratzinger scrisse nel 1976 (un anno prima di diventare arcivescovo di Monaco), citando Charles de Foucauld tra i moderni che “riscoprirono il contenuto profondo del mistero autentico di Nazaret”:
Nella ricerca dell’ultimo posto trovò Nazaret. Nel suo pellegrinaggio in Terra Santa fu proprio questo il luogo che maggiormente lo colpì. Egli non si sentì più chiamato a seguire Gesù nella vita pubblica. Nazaret invece lo scosse fin nelle più remore pieghe del cuore. Ora egli intendeva seguire Gesù nel silenzio, nella povertà e nel lavoro (…) In quei luoghi, nella meditazione vitale sulla persona di Gesù, si apriva una nuova via per la Chiesa. Qui lavorare con Gesù lavoratore, immergersi nella realtà di Nazaret, significò un punto di partenza per la nuova figura e la realtà del prete operaio. Fu qui che si scoprì il significato che per la Chiesa riveste la povertà. Nazaret è un messaggio permanente per la Chiesa. La nuova alleanza non ha inizio nel tempio o sul monte santo, bensì nella casupola della Vergine, nella casa dell’Operaio, in una località dimenticata della Galilea dei pagani, da cui nessuno si attendeva qualcosa di buono. La Chiesa può iniziare di continuo solo da qui, solo da qui può riprendere. Essa non riuscirà a dare una risposta corretta a chi, nel nostro secolo, si ribella al potere della ricchezza, fin quando non vivrà in se stessa la realtà di Nazaret.

Testimoni segnati dall’incontro con l’Islam
Ero dunque deluso dal tono della beatificazione. Avevo raccolto qualcosa per parlarne in questa rubrica, ma senza raggiungere il giusto calore. Che si è fatto invece sentire dopo la morte di don Andrea Santoro (5 febbraio). Mi tornò evidente l’intuizione che avevo avuto dopo l’uccisione di Annalena Tonelli (5 ottobre 2003): questi testimoni hanno seguito la sua stella.
Annalena viene uccisa a 60 anni, in Somalia, nell’ospedale che dirigeva, dopo una vita passata in un mondo “rigidamente musulmano”. Questa cristiana di Forlì si considerava un’allieva di Charles de Foucauld “che aveva infiammato la mia vita”.
A sua volta, la vita di Charles era restata ammaliata da Cristo, ma anche segnata dall’incontro con l’Islam: “Il contatto con questa fede e con degli spiriti che vivevano sempre alla presenza di Dio mi aiutò a capire che c’è qualcosa di più grande e di più reale dei piaceri di questo mondo“. E Annalena: “I miei nomadi del deserto mi hanno insegnato a tutto fare, tutto incominciare, tutto operare nel nome di Dio“.

Per una presenza credente e amica
Don Andrea, infine. E’ un prete diocesano di Roma e quando il cardinale Poletti non l’autorizza ad andare “missionario” in Medio Oriente vive una stagione di folle innamoramento per Charles de Foucauld, passa sei mesi a Gerico nel 1980, a contatto con la comunità dossettiana e vorrebbe farsi “piccolo fratello”. Don Giuseppe Dossetti – mi ha raccontato don Athos Righi, attuale priore della Piccola famiglia dell’Annunziata – lo dissuase, indicandogli come più “confacente” alla sua condizione di “presbitero della Chiesa di Roma” l’obiettivo di “attendere” l’autorizzazione dell’ordinario.
Né Poletti, né poi Ruini volevano lasciarlo andare, dicendogli che anche Roma era “terra di missione”. Don Andrea aveva confidato a don Athos che “dopo molte insistenze, il cardinale Ruini gli disse: ‘Non capisco, però vai’ “.
Dell’insistenza di don Andrea abbiamo avuto un riscontro vivo nell’omelia del cardinale Ruini per la messa di addio. Il cardinale ha narrato il proprio rapporto – che si indovina movimentato – con quel suo prete in cui “ardeva la carità di Cristo”, che “a volte sembrava fargli dimenticare un poco il senso della misura”. Don Andrea insiste per partire missionario e infine il Vicario lo lascia andare in Anatolia, dove “intendeva essere una presenza credente e amica, favorire uno scambio di doni, anzitutto spirituali, tra l’Oriente e Roma, tra cristiani, ebrei e musulmani”.

“Prega tu per l’Europa”
Sono intenzioni e parole simili a quelle che avevamo già sentito sulla bocca di Charles de Foucauld: “Voglio abituare tutti gli abitanti, cristiani, musulmani, ebrei e non credenti, a guardarmi come un loro fratello, il fratello universale”. Ecco come don Andrea parla con ammirazione dei musulmani in preghiera, in perfetta sintonia con Charles e con Annalena, vedendo in loro – oltre le tante “ombre” che pure segnala – “il senso istintivo di Dio e della sua provvidenza, l’abbandono fiducioso alla sua guida, la preghiera quotidiana nel pieno della propria attività e nello scorrere della vita, la certezza dell’aldilà e della risurrezione”.
La beatificazione di Charles de Foucauld è stata anche un’occasione per vedere all’opera l’ottimo vescovo di Viterbo Lorenzo Chiarinelli, che ha avuto il ruolo di “ponente” nella causa. E’ stato bello seguire per televisione papa Ratzinger in San Pietro che frenava la sua camminata sveglia per andare a parlargli. Debbo a don Lorenzo, come lo chiamo dai tempi della Fuci, la segnalazione del dramma di Gilbert Cesbron, E’ mezzanotte dottor Schweiter, che fu scritto nel 1954. L’ho letto con emozione. Mette in scena il dottor Schweitzer e Charles de Foucauld (Il padre Carlo) – uno protestante alsaziano e l’altro cattolico francese, divisi da tutto ma uniti dall’amore cristiano per gli ultimi – che in vita mai s’incontrarono e li fa parlare un linguaggio ecumenico e di pace, allo scoppio della prima guerra mondiale, in un ospedale africano: “Ma non mi dica – dice Schweitzer al padre Carlo – che gli uomini con i quali sono cresciuto, quelli che sono stati compagni della sua infanzia si ammazzano fra di loro, in questo stesso istante nel quale parliamo di Dio!”
Che straordinaria questa immaginazione! Mi ha fatto pensare al poeta Vittorio Sereni che in Diario d’Algeria (Vallecchi 1947), al momento dello sbarco in Normandia, alla data “giugno 1944” canta il primo soldato americano morto sulla spiaggia normanna che nel sonno gli “toccava la spalla mormorando / di pregar per l’Europa” e così gli risponde: “E’ il vento, / il vento che fa musiche bizzarre. /Ma se tu fossi davvero / il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna / prega tu se lo puoi, io sono morto / alla guerra e alla pace“.

A Babilonia come a Tamanrasset
Ho pensato che l’immaginazione può aiutarci a rendere creativa la nostra preghiera. Per esempio – sempre a proposito dell’Europa – potremmo mettere in scena, sul finire della seconda guerra mondiale, un polacco di 25 anni deportato in Germania e un tedesco di 18 anni che ha appena indossato la divisa e sta di guardia al campo e di notte parlano, Karol e Joseph. E pregano per i loro popoli nemici, affratellandoli nel proprio cuore.
Termino questa divagazione sull’amatissimo Charles de Foucauld con un’applicazione a quanti vivono in Babilonia. Anche qui è venuta da von Balthasar la parola più illuminante: egli “non vuole esplicitamente portare nel mondo la Chiesa, ma solo il Signore e il suo amore” (Sponsa Verbi, Morcelliana 1969, p. 22). E’ la missione – io credo – anche dei cristiani comuni di casa nostra in mezzo al mondo profano.

Luigi Accattoli
Da Il Regno 6/2006

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