Rosaria e Domenico Badenchini: amore cieco

Rosaria e Domenico Badenchini sono ciechi ma vedono chiaro nella vita e si amano e non temono di narrare la loro storia d’amore. Li ho incontrati il 6 marzo 2010 al Centro Rai di Saxa Rubra, in un salottino dello Studio 1, Palazzina B, mentre loro e io eravamo in attesa della registrazione di due puntate della trasmissione A sua immagine. Mi sono parsi straordinariamente attivi ed efficienti soprattutto quando agiscono e parlano in coppia. Abili e persino divertiti quando si ingegnano a suggerire espedienti per la vita quotidiana ad altri ciechi, con consigli per le faccende domestiche Rosaria e per il computer Domenico. “Per noi è più facile – argomentano – perché noi siamo ciechi dalla nascita e perciò abbiamo dovuto imparare da subito a cavarcela senza vedere”.
Hanno un computer dotato di voce sintetica che permette loro di leggere la posta elettronica, scannerizzare libri e tanto altro.
Mentre gli parlo Domenico prende appunti in braille con l’apposita tavoletta.
Il momento più vivo della registrazione della loro puntata è quando a sorpresa il conduttore Rosario Carello consegna a Rosaria una poesia che Domenico le ha dedicato per l’occasione e che lei legge speditamente con le dita – per la prima volta – davanti alle telecamere. Eccola:

A Rosaria
Con la faccia rivolta verso il cielo
di quaggiù in un gioco da bambini
contro le nubi gravide di pioggia
soffiamo con speranza commovente
ma il vento neppure se n’accorge
e ci getta addosso goccioloni
che subito diventano fragore:
così avvolto, ogni suono soffoca,
sgomenta e tradisce ma, insieme,
la mano nella mano, trepidanti
stiamo nel temporale senza perderci.

Il verso stiamo nel temporale senza perderci mi pare uno straordinario messaggio di questa coppia all’umanità dotata di sguardo. Chiedo se possono farmi un racconto della loro vicenda e loro me la mandano per e-mail ed è questa che riproduco nella forma esatta con cui me l’hanno inviata, che attesta una piena padronanza della scrittura al computer e della posta elettronica:
Era un fine settimana lungo, con ponte. Una amica comune, Eugenia, aveva invitato noi ed altri amici per una cena in compagnia, niente di sofisticato, giusto quel tanto per trascorrere una serata un po’ diversa. Rosaria mi è piaciuta subito perchè estroversa, prudente ma con una gran voglia di vivere. In famiglia dissi subito “Ho incontrato una ragazza che se mi vuole la sposo. Non ci vede però ce la caveremo”. Rosaria lavorava in comune a Roma come centralinista telefonica, io facevo lo stesso lavoro in comune a Rapallo. Si erano incontrate due solitudini, due persone che pur vivendo una intensa vita di lavoro e amicizie, erano sole e dunque non temevano ostacoli per incontrarsi.
Andai a Frattamaggiore (Napoli) a conoscere la sua famiglia. Lei venne a conoscere la mia a Rapallo. I miei espressero qualche perplessità perchè “due ciechi, come farete?”. Lei 39 anni, io 45; eravamo abbastanza maturi, provati dalla vita, per sapere chiaramente tutto ciò a cui stavamo andando incontro. E poi, ce ne sono tante di coppie non vedenti che vivono benissimo.

Fede religiosa: lei sì, io no.
Rosaria: Voglio sposarmi nel santuario di Pompei.
Domenico: Non sarebbe più semplice in comune? Dieci minuti davanti al sindaco ed è tutto fatto.
Rosaria: Troppo squallido. Senza la chiesa non sembra neppure un matrimonio, sa di freddo contratto notarile.
Domenico: Va bene. Tu sai che non credo, la religione non è nel mio cuore, non vado a messa ma se ti fa piacere ci sposiamo in chiesa. Ma toglimi una curiosità: perchè proprio a Pompei?
Rosaria: Un giorno ho promesso alla Madonna che se mi avesse cambiata la vita mi sarei sposata a Pompei. La Madonna mi ha esaudita. È una grazia e io devo mantenere la promessa. Inoltre, in famiglia siamo devoti a quel santuario per tradizione.
Domenico alquanto perplesso: I miracoli… Ci credi davvero?
Rosaria: Sì, profondamente.
Quando ci incontravamo a Roma prendevo una stanza nel convitto dove lei risiedeva. Le suore sapevano che ci saremmo sposati, anche se non subito per motivi di lavoro, e mi ospitavano volentieri. Passavamo qualche ora insieme la domenica mattina. Andavo a messa con lei per non metterla in imbarazzo di fronte alle suore ma per me non era un sacrificio come non è un sacrificio nemmeno adesso se mi capita di andare a messa con lei. Se le cerimonie religiose sono estranee al mio sentire, non lo sono i tanti valori cristiani che lei ed io condividiamo.
Quando veniva a Rapallo andavo ad incontrarla a Pisa: prendevo il treno sul quale lei stava già viaggiando da Roma e percorrevo le vetture una dopo l’altra finchè riuscivo ad individuarla grazie alla radio che lei teneva accesa mentre mi aspettava di fronte al suo scompartimento:
– Sei tu Rosaria?
– Meno male! Sei arrivato. Temevo non riuscissi a trovarmi.
Ambiente piccolo: la gente si stupisce anche per ciò che altrove è normale.
All’uscita di un bar incontrammo il mio capoufficio: “Allora vi sposate”. Rispondemmo che sì, tra qualche mese appena sistemate alcune cose. “Fate bene”. Da saggio ligure di poche parole ma generoso verso gli altri ci salutò senza aggiungere altro, lasciandoci in cuore gioia e gratitudine.
Arriva anche la solita domanda in tono di meraviglia e di leggera disapprovazione: “Come fate?” mi chiede una collega d’ufficio. “È difficile spiegare adesso in poche parole”, rispondo, “Vieni a casa mia questa sera dopo le dieci. Rosaria non c’è”, continuo in tono di complicità leggera, “Ti faccio vedere”. Lei ride divertita, ha capito: “Domenico tu scherzi sempre!” Sì; sorridere, sdrammatizzare con una battuta leggera, è il modo migliore per convincere che la cecità è scomoda ma non una tragedia infinita dalla quale non si può uscire.
Ed eccoci alla presentazione ufficiale. Durante una visita alla famiglia di Rosaria la mia futura suocera ci fece vestire eleganti e volle che andassimo con lei a passeggiare in paese. Ad ogni passo ci presentava a questo e a quello, spiegava che eravamo fidanzati e presto ci saremmo sposati, che sua figlia sarebbe poi andata ad abitare a Rapallo. Mi sottoposi divertito al rito: era giusto che anche mia suocera avesse il suo riscatto sociale, la sua rivincita: il vicinato doveva sapere che sua figlia era una ragazza come tutte le altre.
E arriva il giorno del matrimonio, la felicità di un giorno tanto atteso. Niente di eccezionale, si capisce: i parenti di Rosaria, alcuni amici e quel … nella gioia e nel dolore… che ci eravamo appena promessi. Quella, dunque, era la meta che non dovevamo, non volevamo perdere di vista, che il tempo e le avversità non dovevano offuscare.
I viaggi non erano ancora finiti. Rosaria doveva lavorare a Roma ancora per un certo periodo. Appena fosse riuscita ad andare in pensione avremmo pensato a sistemare le nostre attività in modo organico. Già da tanti anni svolgevo presso l’Unione italiana ciechi e ipovedenti una attività intensa alla quale avrebbe partecipato anche Rosaria appena fosse stato possibile. Intanto, comunque, avevamo la nostra casa. Il che non è poco. Il resto verrà, e di quel che non verrà faremo serenamente a meno.
Per Rosaria non era affatto facile ambientarsi in una cittadina ligure dopo tanti anni vissuti a Roma e prima ancora a Firenze dove aveva terminati gli studi. Rapallo è piccola, il tessuto socioculturale ancora marcatamente ligure nonostante la forte immigrazione da altre regioni. Non è qui il caso di dissertare sui caratteri umano-regionali però non è difficile intuire la differenza tra un piccolo ambiente chiuso e le ampie possibilità di socializzazione della Metropoli. Eravamo abbonati al teatro (ci piace la prosa) ma al termine della rappresentazione, il più delle volte nemmeno mezzanotte, non si riusciva a trovare un taxi e dovevamo tornare a piedi. Se ti trovi in difficoltà a Roma in genere trovi facilmente chi si offre di aiutarti. Qui, facilmente ognuno si fa i fatti propri.
Coloro che nella mia famiglia non vedevano bene il nostro matrimonio ora si rendono conto che siamo bene organizzati e conduciamo una vita normale di lavoro ed impegni vari, abbiamo una buona autonomia. Raccogliamo fondi per l’associazione ciechi e ipovedenti facendo ricorso a lotterie, pesche di beneficenza e simili, nel 2009 per celebrare la giornata del braille (21 Febbraio) Rosaria ha letto in alcune chiese durante la messa.
Infine io Rosaria incontro Comunione e Liberazione. Incomincio a partecipare all’incontro delle famiglie a Santa Margherita Ligure intorno all’anno duemila su invito dell’amica Eugenia. Ho così l’occasione di conoscere alcune persone attive in CL e prendo ad unirmi alle loro gite, pellegrinaggi; circa nel giugno duemilasei vado a Roma quando il Papa incontra i movimenti. Partecipo una prima volta per curiosità ad un incontro di scuola di comunità in casa di una amica. Mi piace e vado agli incontri successivi. L’ambiente è intellettualmente ricco di stimoli che arricchiscono anche i rapporti sociali. Vi incontro persone aperte, disponibili non solo a parole, che si offrono di accompagnarmi a messa senza farmi pesare la loro disponibilità, mi invitano ad effettuare interventi durante le riunioni. In poche parole, mi valorizzano. Intensifico la mia partecipazione al movimento: frequento i ritiri quaresimali e dell’avvento, gli incontri in videoconferenza con don Carròn. Anche se non partecipa a questa mia attività, Domenico è contento e mi incoraggia.

La puntata della trasmissione di Rai1 “A sua immagine” che fu all’origine del mio contatto con Rosaria e Domenico Badenchini è andata in onda sabato 20 marzo 2010. Qui si possono vedere i nomi di Rosaria e Domenico che aprono l’elenco dei membri del Consiglio della sezione di Chiavari dell’Unione ciechi e ipovedenti.

[Marzo 2010]

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