Giorgio Bianchini: il Giusto di Israele e il Giusto delle Nazioni

Questa è la storia di un Giusto delle Nazioni – Ettore Zanuso – che salva un ebreo e dell’ebreo salvato – Giorgio Bianchini – che si fa cristiano. La racconta don Giovanni Camarlinghi che è parroco a Ferrara. Le parole sono sue: io le ho abbreviate qua e là.

Ricordo con affetto l’Ing. Giorgio Bianchini, ebreo sposato con una donna ebrea e lettore della Bibbia in ebraico. Lo incontrai nel decennio 1974-1984 nel quale sono stato parroco a Serravalle di Berra, Ferrara, quand’era ospite della Casa di Riposo Capatti. Era timido, riservato, integerrimo. Occupava la stanza 54 al primo piano, il piano nobile della casa, e gli era stato assegnato il numero 37 per il contrassegno della biancheria.
Dopo la morte della moglie aveva cercato di rimanere nella sua casa di Ferrara, ma essendo anziano e non volendo rimandare a casa la governante, pensò di trasferirsi con lei alla casa di riposo. Si riteneva fortunato in quanto per tutta la vita era stato accudito da due donne eccezionali.
La sua – come si addice a un ebreo – è stata una vita da nomade. Nato a Milano alla fine dell’Ottocento, vissuto a Milano e poi in giro per l’Italia a non finire. Raccontava di quando fu chiamato alle armi per la grande guerra e di come pieno di paura pensò di recarsi nella sinagoga di Roma, dove si trovava, per confidarsi con il rabbino che cercò di tranquillizzarlo, fece pregare la comunità per lui iniziando una serie di intenzioni sulla falsariga della nostra attuale preghiera dei fedeli e alla fine – imponendogli le mani – lo benedisse pronunciando la preghiera che il  nonno recita alla partenza del nipote e che dice all’incirca: “Angelo di Dio tu condottier del viver mio, guidalo e portalo tu sul sentier della virtù”.
Forte di quella benedizione affrontò la guerra con coraggio meritando una medaglia al valore. Tornato a casa riprese la sua vita nomade per l’Italia. Significativi due incontri: il primo con Tazio Nuvolari, del quale fece il segnatempo per mettere a punto il motore della sua automobile; l’altro con l’ing. Enzo Ferrari con il quale collaborò al perfezionamento della mitica prima Ferrari.
Tornato a Ferrara, per anni collaborò con la Ferrari come consulente e fece parte della direzione del ministro Rossoni che aveva trasportato il proprio quartier generale a Tresigallo in provincia di Ferrara, suo paese di nascita.
Iniziò un periodo di grandi incontri e grandi lavori in quanto Rossoni riceveva le delegazioni straniere che venivano in Italia a casa sua a Tresigallo,  e anche tanti industriali  italiani passavano da lui per avviare le proprie attività. Inoltre Giorgio  Bianchini ebbe l’incarico di responsabile degli stabilimenti della lavorazione della canapa sia in Italia sia – per accordi internazionali – nella vicina Jugoslavia. Ebbe anche la responsabilità dell’avvio di diversi poli industriali, ricordo particolarmente quello di Longarone.
Nonostante il periodo fascista, per Giorgio quelli furono anni di grande lavoro, ebbe la possibilità di aiutare tanti imprenditori e industriali ad aprire e ingrandire fabbriche e stabilimenti, alcuni di questi li ho conosciuti anch’io perché, nonostante gli anni, si ricordavano del loro vecchio maestro.
Promulgate le leggi razziali dovette scappare da Ferrara e con la moglie si rifugiò a Bassano del Grappa, la moglie in un monastero femminile ed egli presso il collegio San Giuseppe guidato da un grande gesuita: Padre Ettore Zanuso. Nella biblioteca del collegio riprese gli studi dei classici greci e latini, conobbe il Vangelo ed ebbe continui confronti su ogni disciplina con gli altri rifugiati (una decina) e gli insegnanti del collegio.
Un giorno, mi disse, si presentò Padre Zanuso dicendo che qualcuno aveva fatto una spiata e era imminente una retata da parte delle SS perché era stato detto che nel collegio erano ospitati alcuni ebrei. Chiese a ogni ebreo come voleva essere chiamato e dove voleva andare. Fornì a ognuno una carta di identità falsa e con il camioncino del collegio portò tutti alla loro meta. Giorgio con una nuova identità – Giorgio Biancini nato a Roma – chiese di essere accompagnato a Milano da alcuni parenti che là risiedevano.
Di lì a poco il collegio fu semidistrutto prima da un’irruzione delle SS che mitragliarono le finestre e poi da un bombardamento. Raccontano le cronache che Padre Zanuso si arrabbiò molto con il Signore per quella distruzione, depose il mazzo delle chiavi ai piedi della statua di San Giuseppe, il custode della Sacra Famiglia, ed esclamò infuriato: caro San Giuseppe prendi le chiavi e pensaci tu che sei il “custode”.
La guerra finì, i coniugi Bianchini ritrovarono padre Zanuso e a questo sacerdote chiesero di essere aiutati in un percorso di approfondimento del Vangelo. Infine chiesero il battesimo.
Negli anni di permanenza a Serravalle Giorgio la domenica poteva venire a casa del parroco a pranzo. Quelle ore trascorse in parrocchia gli davano la carica per affrontare la settimana che viveva come un recluso.
Credo che Giorgio, nella vita, sia stato un grande uomo, un fervente ebreo e un devoto cristiano. Mai si considerò un convertito al cristianesimo ma, avendo scoperto Cristo, si era sentito chiamato alla sua sequela. Il legame con il passato lo manifestava con piccoli gesti come quello di entrare in Chiesa con in testa la kippah.
In diverse occasioni mi rivolgevo a Giorgio per avere spiegazioni specie sulle feste ebraiche e per alcuni passi dell’Antico Testamento. Fino al 17 febbraio 1985 alle ore 10,00 quando entrai nella cella 54 e mi rivolsi al recluso 37 oramai novantenne per salutarlo perché nel primo pomeriggio avrei lasciato la parrocchia di Serravalle per passare a quella dell’Immacolata in Ferrara. Chiesi al vecchio patriarca una benedizione. Giorgio commosso e lusingato mise la kippah, mi pose le mani sulla testa e mi ripropose la stessa benedizione che il rabbino di Roma aveva un tempo invocato su di lui: “Angelo di Dio tu condottier del viver mio, guidalo e portalo tu sul sentier della virtù”.
In silenzio ci siamo abbracciati. Ebbi la consapevolezza di abbracciare un vecchio nonno e grande patriarca e sono certo che Giorgio aveva consapevolezza di abbracciare un giovane nipote che stava per intraprendere un importante viaggio.

Per informazioni sul gesuita Ettore Zanuso (1875-1963) vedi qui. Vi si legge questo riferimento a Giorgio Bianchini: “Villa San Giuseppe divenne, sempre per lo zelo sfidante e coraggioso di P. Zanuso, rifugio a perseguitati ebrei e politici. Ci sarebbero molte storie da raccontare, tragiche e drammatiche: stralciamo alcuni periodi dalla lettera del Dr. Ing. Giorgio Bianchini di Ferrara (ebreo) che venne accolto in Villa. Con lui arrivarono altri fuggiaschi, ricercati, perseguitati: ora tutta la casa era per loro, nel segreto, nella carità più delicata”.

[marzo 2010]

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