La maestra Marina e gli altri “giusti”

Se ne è andata la maestra Marina, che ha dato la vita per la scuola e quest’anno aveva una seconda elementare. Alla messa di addio ci sono i suoi alunni di varia età restati “affezionati alla maestra” e i piccolini della seconda elementare che le portano i disegni che hanno fatto per lei mentre era in clinica e li mettono sulla bara, tra i fiori e il crocifisso. Due bambine piangono per tutta la messa. Ci sono le altre maestre che l’hanno accompagnata nella malattia, gli abitanti del quartiere Colli Aniene dove abitava e che aveva coinvolto in varie iniziative di vivibilità ambientale, i colleghi del marito che insegna al Tasso e i ragazzi di questo liceo. Come sono seri i diciottenni ai funerali.
Conoscevo Marina da 35 anni e qui voglio narrare qualcosa della sua operosa giornata, invitando il lettore ad accogliere nel cuore – per un momento – la sua figura che è quella di un “giusto”, perché “chi accoglie il giusto come giusto avrà la ricompensa del giusto” (Matteo 10, 41). La prima accoglienza del giusto sconosciuto è quella di conoscerlo, o di riconoscerlo.

Un sasso o una rapa per fare scuola
Marina era conosciuta da tanti, come mostrava la vasta chiesa parrocchiale di Santa Bernardetta Soubirous che si è riempita per salutarla. Ma era conosciuta solo da chi aveva incontrato e si può dire che chiunque aveva incontrato aveva anche amato. E’ bene dunque farla conoscere a chi non l’ha mai vista, perché sappiamo bene che sono i giusti sconosciuti a portare il mondo sulle spalle.
Intreccio il mio racconto alle parole dette all’ambone dal papà, dal marito e dalla prima dei due figli.
Vittorio Tranquilli, il papà, è un personaggio. Già collaboratore di Franco Rodano e Claudio Napoleoni nella redazione della Rivista trimestrale, da quando ha lasciato il lavoro al ministero dei Trasporti si occupa di volontariato internazionale attraverso l’associazione ABC Solidarietà e pace (è stato tra i fondatori), che porta aiuti ai paesi martoriati dalla guerra o dalla fame: prima nella regione serba della Bosnia, ora in Africa e in Brasile. Sta per compiere ottantuno anni e si appoggia al bastone ma non si ferma, tanta è l’urgenza che lo spinge a darsi tutto a tutti. Se la sciatica gli darà una tregua, ripartirà in aprile per la Guinea Bissau.
A un cenno del prete va al microfono col suo bastone e racconta degli ultimi giorni, quando intratteneva la figlia sempre più debole con “brevi racconti di quand’era bambina”, o con la lettura di qualche brano di un libro sull’Africa. L’ultimo giorno le stava giusto leggendo una pagina africana, dove l’autore ragionava dei materiali didattici indispensabili a una “scuola rurale”, come la lavagna e il mappamondo e si chiedeva: ma una foglia di palma, un frutto di mango, una pietra, “sì un sasso”, possono essere materiali didattici? “A questo punto Marina con la poca voce che le restava ha risposto da maestra: certo che lo sono! Queste sono state le sue ultime parole”.
Ho deciso di raccontare Marina ai miei lettori due giorni dopo quella messa di addio, quando la mia sposa Isa, che è anche lei madre e maestra (quest’anno ha di nuovo una prima elementare), passando con me per piazza Vittorio – la mitica piazza del mercato all’aperto, che da un decennio è stato trasferito al coperto – mi fa: “Aiutami a scegliere una rapa che la devo postare a scuola”. Ogni maestra sa l’importanza di far vedere ai bambini di città una manciata di chicchi di granoturco, o un mannello di paglia e fieno, per esempio quando leggono Le avventure di Pinocchio. E bisogna sceglierla bene una rapa da portare a scuola.
Quelle semplici parole di Vittorio Tranquilli avevano dato alla folla del funerale l’idea di quanta passione comporti il lavoro di una maestra e come esso si nutra di ogni aspetto della vita di lei. “Devi stimolare la curiosità dei piccoli e aiutarli a cogliere le sfumature anche apparentemente insignificanti di ciò che capita nella vita”, diceva Marina del suo lavoro.

Una donna naturalmente cristiana
“La mia compagna non era una praticante regolare, ma era naturaliter christiana e aveva mostrato questa attitudine ponendosi sempre, per quanto poteva, in atteggiamento di aiuto verso quanti incontrava, sia nella scuola sia nel quartiere”, ha detto il marito Giorgio Massi, precisando che quell’atteggiamento poteva considerarsi “evangelico” e che “io e i figli abbiamo deciso di chiedere per lei la benedizione della Chiesa per essere certi che si tratti di una benedizione autenticamente evangelica”.
Anche queste parole sono suonate comprensibili e accettabili da tutti i partecipanti a quel “saluto” tanto composito. C’erano nella chiesa forse tanti “praticanti regolari” quanti non regolari e per niente praticanti e anche non credenti. Tutti sapevano che Marina era vissuta da cristiana, si era sposata in chiesa e aveva chiesto il battesimo per i figli, ma tutti anche sapevano che il suo rapporto con la Chiesa non era stato facile. Aveva studiato dalle suore e ne portava un ricordo polemico, benché non privo di simpatia umana. Negli ultimi giorni aveva respinto l’approccio invasivo di una suora della clinica dov’era ricoverata, motivando così, con il marito, la propria decisione: “Tu sai che io ho il mio modo di essere cristiana”.
Per ultima ha parlato Barbara, la figlia grande, che ha fatto piangere tutti rivolgendosi direttamente alla mamma con l’intensità con cui lo sa fare una giovane mamma: “Tu lo sai che io sono sempre stata una mammona, ma oltre ad amarti come figlia io ti ho sempre ammirato, stimato e preso come modello”.
La figlia loda la madre come “una di quelle persone che si mettono in gioco e non hanno timori nel portare avanti ciò che fanno e nel dire ciò che pensano”. Richiama il fatto che più la tocca: “Credo che sia stata una decisione ardua quella di avere una figlia a 19 anni”. Descrive gli impegni di Marina a scuola, all’università, in politica, nel quartiere e infine dice “la cosa più bella” e cioè il modo di quegli impegni: “Tutto quello che hai fatto l’hai sempre fatto per convinzione, con grande serietà e senza mai vantartene”.
“Ti voglio bene” sono state le ultime parole della figlia, donna decisa come la mamma e come lei attenta ai piccoli: era bello vederla raccogliere i disegni dei bambini dalla bara, prima di seguirla mentre veniva portata fuori dalla chiesa.

A capo dell’associazione “Insieme per l’Aniene”
Barbara ha accennato all’università, tra gli impegni di Marina, che da poco aveva ripreso a dare gli esami, interrotti a motivo della maternità nel 1970: era iscritta a Scienze della formazione, che oggi sostituisce la vecchia facoltà di Magistero.
Da dieci anni Marina era presidente dell’associazione Insieme per l’Aniene, che si occupa di vivibilità, recupero culturale ed educazione ambientale dei quartieri romani attraversati dal fiume Aniene, che nasce dai monti Simbruini, passa per Subiaco, taglia un lembo della città a est e dopo la Salaria sbocca nel Tevere.
Tremila alunni delle scuole elementari e medie di quella fascia di quartieri vengono guidati ogni anno, da questa associazione, a conoscere il fiume, a dare una mano per tenerlo pulito, a organizzare gare e giochi nel parco che lo costeggia. Nel Casale della Cervelletta il primo maggio verrà ricordata, con una mostra e una festa, la passione di Marina per questa impresa. Memorabile è stata la sua battaglia per convincere il Comune di Roma ad acquistare quel Casale, per metterlo a disposizione della collettività: ciò avvenne con l’ultima delibera della giunta Rutelli, nel 2001. Voleva che l’opera di educazione ambientale aiutasse i ragazzi anche a trovare uno sbocco occupazionale.
Ma ora voglio fare un passo indietro, per dire qualcosa della gelosa laicità di questo giro familiare e amicale pur profondamente cristiano (in chiesa c’erano Giglia Tedesco, Marisa Rodano, Raniero La Valle pensoso e bianco), prima di concludere con una “parola” del teologo Ratzinger che mi pare che bene la interpreti. E’ una laicità che dice pudore per i sentimenti della fede ma anche dissenso quantomeno politico dal mondo ecclesiastico e insieme desiderio di non intrecciare l’uno con l’altro.

Più evangelica che cristiana
Per comprendere la dedizione di Marina alla scuola e al quartiere – più sociale che politica, più evangelica che cristiana – occorre guardare meglio alla figura del padre e al suo volontariato totalmente laico, pur avendo egli un’ottima conoscenza delle Scritture e della storia cristiana. L’attività di aiuto internazionale l’iniziò con il movimento cattolico Beati i costruttori di pace, ma subito si mise in proprio e oggi collabora con i missionari dell’Africa e del Brasile, in particolare quelli del Pime, ma non si lega a loro e li critica volentieri. Dà il saluto alla figlia in chiesa senza pronunciare una sola parola esplicitamente cristiana.
Eppure la sua conoscenza del cristianesimo è di prima mano. Chi ha avuto tra mano, negli anni, La rivista trimestrale risfogli i suoi saggi su Il concetto di lavoro in Calvino, per esempio quello intitolato Le premesse teologiche del capitalismo, che è nel quaderno 43 del 1975: vedrà quale padronanza delle fonti bibliche, patristiche e teologiche vi dimostra il nostro Vittorio. Quanto ai teologi, basti pensare che nel primo dei saggi che ho richiamato cita il Ratzinger di Introduzione al cristianesimo, che era stato tradotto in italiano dalla Queriniana nel 1971.
Con Ratzinger voglio terminare questo mio ricordo della cara Marina, della sua capacità d’azione naturalmente cristiana e della sua vivace ironia romanesca. Scrive il teologo che ora è papa nel volumetto Tempo di avvento, alla p. 63 dell’edizione Queriniana 2005: “L’amore basta e salva l’uomo. Chi ama è un cristiano“.

Luigi Accattoli

Da Il Regno 4/2006

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