Mi sono laureato a 61 anni

Mi sono laureato a 61 anni e l’ho fatto anche per stimolare i figli – qualcuno già lavora – a non rimandare la “tesi” a tempi migliori. Ne è venuta una riprova dell’ambivalenza di ogni input pedagogico: “D’accordo papà, ma se tu ci hai messo tutti questi anni…”. Infatti mi sono laureato con trenta e lode in Scienze umanistiche, con una tesi di Storia del cristianesimo, discussa al 31mo anno fuori corso.
C’è stata nel finale di questa vicenda una leggerezza, qualcosa come uno scherzo su cose serie che voglio raccontare. Io quella leggerezza la lodo molto e la pratico poco, quasi soltanto nel privatissimo della vita di coppia e di famiglia, ma stavolta ne ho fatto un’esperienza allargata che mi è sembrata felice.

Maria Grazia Mara o della libertà di parola
All’inizio c’è la libertà di parola di una professoressa del mio corso di laurea, Maria Grazia Mara, che ritrovo nel 1998 alla presentazione di un mio libro:
– Con chi ti sei laureato? – Non mi sono laureato… – Vergogna! – Avevo appena finito gli esami quando è nato il primo figlio e poi il secondo e il terzo… – Ma ora che di figli non te ne nascono più, puoi fare la tesi. – Di tempo ne ho sempre poco e mi fa strano solo a pensarci, dal momento che all’università ci vanno i miei ragazzi. – Io accetto questo tuo libro come tesi. Vieni a trovarmi all’istituto. Il libro era Quando il papa chiede perdono, che quella sera Maria Grazia Mara e Rino Fisichella avevano presentato mentre usciva in seconda edizione, negli Oscar Mondatori.
Non ne feci nulla ma le parole di Maria Grazia mi tennero compagnia a lungo, con la viva simpatia che mi aveva dimostrato dopo tanto tempo, la stessa che ci aveva aiutati quand’eravamo io una matricola e lei una giovanissima docente. Isa mi incoraggiava a tentare. Io avevo sempre troppe cose per la testa. Mancava uno stimolo immediato.
Questo arriva con la “ricostruzione” della “situazione previdenziale”. Un impiegato dell’INPGI (l’istituto di previdenza dei giornalisti) calcola che mi mancano tre anni alla “maturazione” della pensione e domanda se ho “riscattato la laurea”. Dico “no” e quello mi fa, immaginando che io sia laureato: “La può riscattare all’INPS, dal momento che lei ha alcuni anni di contributi presso di loro. Le costa di meno”.
Non lo sapevo. Ho controllato, era vero, mi sono laureato e ora sto facendo il “riscatto”. Ma torniamo alla tesi.
Isa ed io ci siamo accordati che doveva essere una sorpresa per i figli: “domani papà si laurea”.
Non è andata proprio così, perchè l’abbiamo dovuto dire due settimane prima della discussione, per evitare che alcuni di loro non ci fossero, cadendo essa in luglio. Ma la sorpresa c’è stata davvero. Eravamo tutti a cena, abbiamo chiamato Beniamino e Agnese che non erano presenti, li abbiamo messi in “viva voce” e c’è stato da divertirsi alle esclamazioni d’ognuno.
La riuscita della sorpresa ha creato un clima di festa che è dilagato nei giorni di attesa della “seduta” di laurea. Noi mandavano e-mail per scherzo ad amici e parenti e quelli volevano venire, anche da fuori Roma. C’era un pienone in aula ed eravamo 38 la sera a cena.
Tutto si è svolto come nelle vere sedute di laurea, con l’unica differenza che io non ero emozionato come gli undici ventiquattrenni con i quali aspettavo la chiamata. O almeno non pareva.

Mi hanno dichiarato “dottore magistrale”
I componenti la commissione erano tutti più giovani di me. Il presidente ha detto: “La informo che la sua media di partenza è di 107,4″. Siamo usciti e rientrati per sentirmi dichiarare “dottore magistrale”. Mi hanno poi spiegato che oggi tre sono le “qualifiche di dottore”: dottore (laurea triennale), dottore magistrale (laurea 3+2 e vecchia laurea), dottore di ricerca.
Ho imparato dell’altro. Che la mia vecchia Università di Roma ora si chiama Università di Roma La Sapienza, per distinguerla dalle altre due. Che la facoltà di lettere si è sdoppiata e io mi sono ritrovato affiliato – stante l’appartenenza del relatore e della correlatrice – a quella che ora si chiama Facoltà di scienze umanistiche.
Ho ritrovato invece intatti – si fa per dire: non c’è muro che non sia sbreccato, così una volta e così oggi – i vialetti, le pergole, le scalinate, le facciate e le aule della Città universitaria.
Quella decina di volte che ci ho messo piede – per incontrare relatore e correlatrice, portare le successive stesure, condurre le pratiche di segreteria, consegnare il “dischetto”: altra novità epocale – camminavo su un tappeto di ricordi, ma il mio passo era leggero. Mi vedevo nei ragazzi che ripassavano all’ombra dei gelsi e nelle coppiette sulle panchine.
Anche il computer della segreteria mi provocava soprassalti dolcissimi:
– Cognome e nome? – Accattoli Luigi. – Qui di Accattoli abbiamo solo Agnese, che si è laureata nel dicembre del 2001. – Infatti è mia figlia e ha fatto prima di me… – Vorrà dire che lei ci ha voluto pensare sopra! Ho ripreso in mano senza tuffi al cuore il libretto blu e il tesserino, dove sono con le foto dei vent’anni e senza barba: “Papà sei meglio adesso”. Mi hanno restituito il diploma di maturità classica, preso al liceo-ginnasio Giacomo Leopardi di Recanati. Il voto più alto è un “nove” in storia dell’arte, mentre all’università quella materia sempre amatissima fruttò il voto più basso, venticinque: “Vedi papà che i voti ti arrivano a caso!”

Frugoni è quello che mi ha segnato di più
Ho decifrato le grandi firme nelle pagine degli esami: Sante Mazzarino (Storia romana), Arsenio Frugoni (Storia medievale), Natalino Sapegno (Letteratura italiana), Giulio Carlo Argan (Storia dell’arte moderna), Alberto Asor Rosa (Letteratura italiana) sono alcuni dei nomi entrati nel mio libretto e un poco nella mia vita. Che ne facciamo dei professori che abbiamo amato e temuto in gioventù?
Arsenio Frugoni è quello che mi ha segnato di più. Oggi sono un lettore di Chiara, la figlia che l’ha tanto amato da ereditarne la passione per la storia medievale. Sono contento di avere la sua firma sul libretto, seppure accanto a un modesto “ventisei”, che si spiega con la data: era il 17 maggio 1968, eravamo cioè a metà del “maggio francese” e anche la nostra facoltà era occupata. Il “movimento” presidiava l’aula e Frugoni non era il tipo di vivere con calma quell’invasione barbarica.
Con Asor Rosa avevo immaginato di laurearmi allora e di Asor Rosa ho sentito racconti da Agnese, quando faceva la portavoce dei “disobbedienti”, che contestavano la divisione-raddoppio della facoltà di lettere. Egli il sessantotto lo gradì: era di stomaco buono ed è l’unico ancora sul campo.
Ma l’incontro più caro fu quello con Maria Grazia Mara, con la quale feci prima due esami annuali di Letteratura cristiana antica e poi un altro, biennale, di Storia del cristianesimo, la cattedra che nel frattempo si era conquistata.
Di Maria Grazia amo la giovinezza di spirito con cui continua a muoversi per convegni ed esplorazioni storico-geografiche. A lei debbo qualcosa della mia avventura di informatore che racconta in lingua comune i fatti cristiani. In Giancarlo Pani e Francesca Cocchini, che sono i suoi continuatori alla Sapienza – ai quali mi ha presentato e con i quali ho fatto la tesi – ho trovato la stessa passione per una comunicazione rispettosa della lingua cristiana ma libera dal dialetto dell’apologetica.

Francesco Merlo e la Spagna domenicana
Quando sono andato a portarle a casa una copia della tesi, Maria Grazia era appena rientrata da un viaggio in Turchia, sulle tracce del primo cristianesimo e stava leggendo un articolo di Francesco Merlo apparso quel giorno su Repubblica e non le pareva vero di verificare quello che le era sembrato di capire, avendo a disposizione un giornalista che aveva lavorato a Repubblica e che era stato collega di Merlo al Corriere della Sera. “Scrive che l’Italia è francescana e la Spagna domenicana”, diceva stupita mentre cercava sulla pagina la frase esatta: “Ma chi è questo Merlo”?
Se ho annotato bene, per questo scherzo che ho chiamato “laurea d’argento” ho pagato 7862 euro tra arretrati, anno in corso e tassa di laurea. Per i 31 anni fuori corso il “pagamento forfettario” è stato di 207 euro all’anno.
Ma il guadagno è stato maggiore. Ho letto finalmente per intero un tomo del Pastor, quello riguardante Adriano VI, portandomelo sotto l’ombrellone come preparazione prossima alla discussione della tesi. Chissà se il Pastor era mai stato al mare! Ho imparato il maiuscoletto, le parentesi quadre, la doppia spaziature delle note. Oggi saprei spiegare a meraviglia come l’espressione giornalistica Quando il papa chiede perdono tradotta nel linguaggio accademico sia destinata a suonare così: Giubileo del 2000: genesi storica di una richiesta di perdono.

Viva Jollien che insegna a ridere
Generalmente fare la tesi vuol dire lacrime e sangue, mentre io l’ho potuta fare come per gioco e non è stato un piccolo vantaggio. Me ne sono reso conto appena potei riportare il Pastor in biblioteca e prendere in mano i libri delle vacanze e tra essi uno intitolato Elogio della debolezza (Qiqajon 2003), di Alexandre Jollien, un uomo vitale e gioioso, benché cerebroleso dalla nascita, che oggi ha trent’anni e scrive che per diventare uomo ognuno di noi – e non solo i disabili – deve “lottare di fronte a tutto e contro tutto”, ma dovrebbe farlo, per quanto possibile, con “leggerezza e gioia”, perché “il riso accoglie, riunisce, rende più forti”. Esso è “l’audacia ultima” con cui “salvare le nostre vite, ridendo e combattendo”. Io forse non ho riso abbastanza nei miei primi sessant’anni e provo a rimediare con i tempi supplementari.

Luigi Accattoli

Da Il Regno 16/2005

Commento

  1. […] la faccenda mi ha aiutato a scrivere un buon articolo, che per un giornalista è quello che conta: Mi sono laureato a 61 anni. Approfitto per un saluto al viceministro Martone, che fa bene a spronare i […]

    24 Gennaio, 2012 - 22:15

Lascia un commento