“Afflitti ma sempre lieti”

Un segno cristiano oggi più valido che mai
Si dà gioia nella tribolazione come vorrebbe l’apostolo con l’ardua consegna afflitti ma sempre lieti (2 Corinti 6,10)? A quanto ho capito in tanti anni di nascite e di morti, quel prodigio non si dà in natura ma ho pure visto che quanto non è possibile agli uomini è possibile a Dio e mi sono capitati intorno uomini e donne che permanevano “lieti nella speranza” (Romani 12, 12) anche quando venivano trascinati via dalla sofferenza. Mi è anche capitato di avvertire, incredulo, che qualcosa di simile avveniva in me, non saprei dire se da sveglio o nel sonno, se nel corpo o fuori del corpo.
Quando mi è stato chiesto di trattare il tema “afflitti ma sempre lieti” – per un martedì della Quaresima al Centro San Domenico di Bologna – mi è parso chiaro che avrei dovuto chiamare a testimoni quelle persone e proporre – a me e agli altri uditori – le loro parole come un segno operato in noi dal Signore quando ci è dato di vegliare con lui almeno un’ora. Come un segno cristiano tra i più originali e che abbonda oggi come sempre.

Anche in ospedale
si può essere felici
Mi sono anche proposto di partire da uomini e donne che ho conosciuto, in quanto a me meglio comprensibili nel loro vaneggiamento evangelico. Di altri potrei dubitare, di quelli che hanno pianto e riso in mia presenza no.
Il primo che nomino è il padre Riccardo Palazzi carmelitano (1948-1999), che patì paralizzato per cinque anni e volle che gli cantassero l’Exultet alla messa di addio.
Per via dell’Exultet la seconda persona che convoco è il vescovo Luigi Maverna (1920-1998), che ebbe tagliate le due gambe dal chirurgo e chiese anch’egli il preconio pasquale per accomiatarsi dalla scena di questo mondo.
Chiara Luce Badano (1971-1990) – una focolarina morta di tumore a 19 anni, che sarà presto beata – vuole essere vestita da sposa per il “giorno delle nozze” e dice ai genitori: “Al mio funerale non voglio gente che pianga, ma che canti forte”.
Rita Savelli di Parma, sposa e mamma di due bambine, muore di tumore a 35 anni nel 1994 e così indica la sua via alla speranza: “ringraziare il Signore sempre, anche ora che soffro, e poi dare a ogni giorno la sua carica di eternità”.
Io sono senza misura contento di Dio” scrive il vescovo Vincenzo Savio (1944-2004) in vista del traguardo, anch’egli rapito dal tumore.
“Quando si sta bene non si avverte sempre il valore, il dono, la ricchezza della vita. Adesso invece tutto diventa bello” scrive un altro vescovo, Donato Bianchi (1930-1999), quando si ritrova leucemico in ospedale.
“Non stupitevi se vi dico che si può essere felici anche in un letto di ospedale e che si può dimenticare il dolore per sorridere agli altri, mentre il proprio avvenire è pieno di interrogativi”: così parla Sarah Calvano (1983-1992) di Avola, Siracusa, quando la ricoverano colpita da un melanoma che l’uccide a 19 anni. Ecco: “si può essere felici anche in ospedale” è l’equivalente, nella nostra lingua, del paolino “afflitti ma sempre lieti”.
A qualcuno è dato di restare sereno nell’afflizione anche davanti alla morte delle persone amate. “Aspetto quel giorno in cui ci incontreremo ancora” scrive il giornalista Giovanni Fallani (1921-1999) in un’ultima lettera alla sua Maria che se ne è andata dal Signore senza di lui.
Osea Giuntella così ricorda il padre Paolo, quirinalista del Tg1 (1948-2008): “Papà ci ha lasciati giovedì ‘ottimista’ come ha voluto scrivere su un foglietto poco prima di morire. Ha sempre avuto la Speranza che ha caratterizzato il suo sorriso per tutta la vita. Era contento di quello che aveva avuto”.
Andate a caccia della gioia tutti i giorni” lascia come consegna ai figli lo scrittore Luigi Santucci morto a ottant’anni nel 1999 e che già nel 1954 aveva pubblicato un volume intitolato L’imperfetta letizia nel quale affermava che “più forte dell’uomo c’è solo la gioia”.

A partire da Gesù
entra gioia nella tribolazione
Giovanni Cristini poeta bresciano (1925-1995) scrive anche lui prima di morire una “Lettera ai figli” in cui dice che vorrebbe lasciare loro “un inno alla vita, all’amore, alla speranza, con molta allegria e un pizzico d’ironia”, perché la vita è “una tempesta di emozioni e di lacrime, anche lacrime di gioia”.
Antonio Thellung – che è tra noi – ha scritto una volta: “Assistendo i morenti ho imparato a essere felice”. Un giorno mi ha spiegato quell’ossimoro: “Prima pensavo che per godere qualche gioia fosse necessario allontanare il pensiero della sofferenza. Il mio atteggiamento è cambiato quando ho sperimentato quali stupefacenti risultati si ottengono portando un sorriso nel dramma: è lì che quel paradossale stato d’animo che chiamo felicità mi ha conquistato. E ho capito che felicità e angoscia non sono in alternativa tra loro, ma possono convivere”.
Felicità e angoscia, cioè afflitti e lieti. Suona come una sintesi della novità cristiana. L’attesta il teologo e papa Benedetto XVI: “A partire da Gesù entra gioia nella tribolazione”. Lo scrive nel volume Gesù di Nazaret (Rizzoli 2007, p. 95) a interpretazione delle beatitudini e l’accompagna con questa spiegazione: “Se l’uomo comincia a guardare e a vivere a partire da Dio, se cammina in compagnia di Gesù, allora vive secondo nuovi criteri e allora un po’ di éschaton, di ciò che deve venire, è già presente adesso”.
Alla pagina seguente del suo libro il papa teologo cita il detto paolino afflitti ma sempre lieti e l’altro contenuto nella stessa Seconda lettera ai Corinti che dice: “Siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati” (4, 6-8).
Con questi paradossi Paolo viene a dirci che noi cristiani conosciamo l’afflizione ma di essa non siamo schiavi. Abbiamo la speranza di vincerla: “Non siate tristi come gli altri che non hanno speranza” (1 Tessalonicesi 4, 13 e 14).

Portatori di una luce
che il mondo non riconosce
Siamo chiamati a farci portatori della speranza che viene dalla risurrezione di Gesù mentre attraversiamo questo tempo intermedio in una piena comunanza di buio con la restante umanità e affrontando in noi le tenebre di ognuno. Portatori di una luce che il mondo di oggi – come quello di sempre – non riconosce.
Dal profondo di quelle tenebre sarà nostro compito elevare – a nome di tutti – l’invocazione al Signore perché si manifesti e dia occhi a un’umanità non vedente.
Intanto ci è dato – questo sì – di cogliere i segni della speranza che lo Spirito manda al nostro tempo e di comunicarli – per quanto possibile – ai nostri contemporanei.
L’attualità del martirio nel mondo d’oggi, innanzitutto. La capacità – che si rinnova – di dare la vita per il Signore e per i fratelli. Dunque i martiri della missione ma anche quelli della carità e della giustizia.
Ogni risposta al male con il bene. Pensiamo alla testimonianza cristiana in terra d’Islam. Ai monaci dell’Algeria sgozzati come agnelli, ad Annalena Tonelli, a don Andrea Santoro, a Leonella Sgorbati e a ogni cristiano che resta oggi disarmato e fiducioso in terra d’Islam.
L’accettazione della malattia, della vecchiaia e della morte. Essa trova forme nuove di espressione in un’epoca che censura malati, vecchi e morenti.

Chi loda la vita
dalla sedia a rotelle
La confessione della fede davanti alla morte: oggi è data a noi – proprio a motivo di quella censura – una nuova opportunità di attestare il dono che ci è fatto di “addormentarci” nella speranza della risurrezione.
Il perdono per l’uccisione dei parenti. Nell’Italia violenta del terrorismo, delle mafie e della criminalità diffusa, torna a fiorire l’amore dei nemici che aiuta la comunità degli uomini a vincere il rancore.
La reazione personale, familiare e comunitaria all’handicap. Chi loda la vita dalla sedia a rotelle. Ogni svantaggiato che si mette al servizio dei fratelli.
L’accettazione del figlio menomato e la scelta del bambino menomato per l’adozione: in altre epoche non c’era. E’ un segno che non finiremo di capire.
La disponibilità a ogni forma di accoglienza: adozione, affido, case famiglia. Anche questo un segno del tempo: allietare chi è solo nell’afflizione.
Dedizione ai figli da parte di genitori abbandonati dal coniuge e scelta delle ragazze madri per il figlio: un altro segno evangelico che si mostra nella sconfitta.
Conversioni inaspettate di drogati e morenti di aids: anche questa è una grazia nel peccato e sta a dire che oggi come ai tempi di Gesù “ai poveri è annunciata la buona novella”.

Aspettando l’ira dell’Agnello
che ha patito la morte
Nell’additare questi segni – e ogni altro che ci sia dato di scorgere – a noi stessi e a coloro che sono senza speranza, dovremo assumere l’atteggiamento umile, fraterno, amichevole che ci è dettato da un altro passo paolino che ci vuole “lieti nella speranza e forti nella tribolazione, che è un diverso modo di dire “afflitti ma sempre lieti”: “Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto (…). Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi ma lasciate fare all’ira divina” (Romani 12, 12-20).
L’esperienza dell’afflizione ci accomuna all’intera umanità e ci permette di esortarla a sperare sapendo di che cosa dispera e potendo annunciare che un giorno verrà l’ira dell’Agnello (Apocalisse 6, 16) a vendicare ogni dolore. L’ira di colui che ha patito la morte ed è entrato in ogni sofferenza per poterla riscattare.

NB. Le storie delle persone qui nominate sono narrate nella pagina CERCO FATTI DI VANGELO del mio blog – www.luigiaccattoli.it – che si trova elencata sotto la mia foto.

Da Il Regno 6/2010

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