Che dice lo Spirito alle nostre Chiese?

Incontro con gli educatori del Collegio Don Nicola Mazza e di altri Collegi
c/o Collegio Don Nicola Mazza – Padova 5 maggio 2010 – in mattinata

Non mi sento chiamato a interpretare i macro-segni con cui lo Spirito indica alle Chiese la via da seguire all’inizio del terzo millennio. Ma ho accettato la richiesta di questa conversazione perché da tempo mi applico ai micro-segni dello Spirito che intendo come rivolti a me, cristiano comune alla ricerca della sua piccola via. E dunque, ho pensato, può essere che la mia riflessione riesca di stimolo ad altri, per un ampliamento dell’indagine dal micro al macro.
Credo vi sia una particolare attualità del Vangelo nell’Italia di oggi – un’attualità riscontrabile nella cronaca d’ogni giorno e nelle storie di vita, nei fatti di Vangelo.
Per fatti di Vangelo intendo le testimonianze cristiane più radicali e disinteressate, direttamente ispirate alle beatitudini e all’esempio di Gesù: la fede pagata con la vita, ogni forma di misericordia, la povertà scelta o accolta, la sofferenza redenta dalla grazia, l’amore senza motivo e quello per i nemici, l’accettazione della morte nella speranza della risurrezione.
E’ attraverso tali fatti che i cristiani d’Italia hanno saputo dare in questi anni risposte creative a incredibili esplosioni di violenza, alle solitudini metropolitane, alla crisi sociale della famiglia, all’arrivo tra noi di altre genti, alla droga e all’Aids, a ogni nuova paura della morte.
L’esperienza di giornalista – lo sono da oltre trentacinque anni – mi ha permesso di cogliere, attraverso i terminali della professione, così tanti segni cristiani tra la nostra gente che mi sono proposto di condurre alcune inchieste sboccate in tre volumi: “Cerco fatti di Vangelo” (Sei 1995), “Cento preghiere italiane di fine millennio” (La Locusta 1996), “Nuovi martiri. 393 storie cristiane nell’Italia di oggi” (San Paolo 2000). Al presente continuo tale indagine attraverso il mio blog – www.luigiaccattoli.it – con una pagina intitolata appunto Cerco fatti di Vangelo.

Nell’insieme ho preso in esame ormai un migliaio di casi. Eccone una rassegna per categorie:
– cristiani che negli ultimi decenni sono morti a centinaia nella missione alle genti, per salvare gli ebrei dalla persecuzione nazista, per la giustizia e la dignità dell’uomo;
– persone che dichiarano di perdonare gli uccisori dei parenti;
– uomini e donne che si “addormentano nella speranza della resurrezione”, che cioè accettano la malattia, la vecchiaia e la morte fidando nella promessa del Signore;
– tra questi i malati di aids che compiono un cammino di conversione e muoiono santamente (vi sono casi in ogni nostra città);
– portatori di menomazioni che resistono ad esse e le vincono e si mettono al servizio dei fratelli meno fortunati e lo fanno nel nome del Signore;
– innumerevoli cristiani che si dedicano – nella quotidianità – al servizio del prossimo, a missioni di pace, al soccorso dei poveri in ogni parte del mondo;
– coppie che adottano bimbi menomati per amarli due volte; o realizzano “case aperte” e “case famiglia” per dare un focolare a chi non ce l’ha;
– sposi e genitori e cristiani comuni – sempre più numerosi – che partono per attività missionarie, a volte portando con loro i figli.

Alcuni di questi fatti – o segni – costituiscono un dono dello Spirito alla nostra epoca: erano cioè parzialmente o anche totalmente sconosciuti alle generazioni che ci hanno preceduto. Essi dunque ci invitano a leggere con gratitudine il tempo che ci è stato donato: che non presenta soltanto prove peculiari per la fede, ma gode anche di particolari doni – e dunque di particolari risorse.
Tra questi doni c’è sicuramente la testimonianza del perdono agli uccisori dei parenti. Le famiglie cristiane che affermano di perdonare gli uccisori dei loro parenti – di portata epocale fu il perdono dei Bachelet (1980) – rendono comprensibile il miracolo del perdono. Ultimamente su questa frontiera abbiamo conosciuto Carlo Castagna: il “papà Castagna” di Erba, marito padre e nonno di tre delle quattro vittime di quella strage, che afferma l’intenzione di perdonare appena apprende il fatto e la conferma quando vengono arrestati i colpevoli.
Indicherei poi – come un segno dell’epoca – il recupero di una liturgia del morire cristiano: con riferimento a tutti i cristiani che lasciano questo mondo parlando ai parenti e agli amici della speranza nella risurrezione. Qui a Padova non si può non richiamare il vescovo Franceschi e quell’unzione che volle in cattedrale, il giovedì santo, dai suoi preti.
Segno dell’epoca sono anche i “martiri della giustizia”: i Taliercio e i Borsellino, i Livatino e i Bachelet, i Tobagi e i Ruffilli, ma anche Dalla Chiesa e Moro. Non è attraverso il sangue di quei martiri dalla vita ordinaria e attraverso le parole dei loro familiari che la testimonianza viva della fede ha incrociato l’epoca?
Tra i malati di Aids che vivono storie di conversione, citerò il modenese Paolo Caccone, che muore “monaco di Monteveglio” ed Enrico Baragli, milanese, non battezzato, che in ospedale legge il Vangelo e chiede il battesimo. Sono due vicende degli anni novanta del secolo scorso e sanno di santità ordinaria, perché Caccone è attirato alla fede dall’esempio di un monaco incontrato in ospedale e Baragli dalla dedizione di una suora ospedaliera, che si prende cura di lui.
L’adozione o l’affido di bimbi focomelici (senza braccia e gambe), cerebrolesi, sieropositivi sono fatti frequenti nelle nostre comunità. E sono di certo gesti di santità. “Avvenire”, “Famiglia cristiana”, il settimanale “Vita” e altri periodici pubblicano rubriche che segnalano i bimbi che attendono d’essere accolti e danno insieme notizia di quelli che hanno trovato una famiglia. L’accettazione del figlio menomato, o la scelta del bambino menomato per l’adozione è un dono del cielo, nuovo rispetto al passato, quando c’era molto minore disponibilità ad accogliere questi infelici.
Anche la reazione all’handicap e la battaglia a favore di altri portatori di handicap è un dono di oggi.
Abbiamo fatto qualche nome famoso, ma l’attenzione dovrebbe andare soprattutto ai santi che restano sconosciuti anche a se stessi. Dovremmo imparare a individuarli, a scoprirli e a segnalarli. A narrarli nel linguaggio fattuale dell’epoca.
Passando dal micro ed esperienziale soggettivo al macro e collettivo, indico come segno centrale di grazia della nostra epoca la scoperta dell’unità della famiglia umana. Era già uno dei “segni dei tempi” indicati dal Vaticano II: la Gaudium et Spes (1965) parla a lungo dell’umanità che si va unificando: “Universa familia umana in unum paulatim congregata” (paragrafo 77).
Accenno a sei implicazioni di questo segno, le più evidenti e quelle che forse più di altre potrebbero aiutarci a intendere le opportunità e le difficoltà che incontriamo nel nostro compito di proporre il Vangelo in risposta alle domande dell’umanità di oggi. Esse riguarderanno l’informazione, la comunicazione, la scienza, la libertà, la parità tra l’uomo e la donna, la felicità.

Informazione globale
La prima implicazione dell’umanità unificata e globalizzata riguarda l’informazione. Ognuno vuole sapere, conoscere se possibile prima degli altri che cosa offre il mercato, le opportunità della giornata quanto ai viaggi, agli investimenti, allo shopping, al divertimento. E’ lo scatenamento conoscitivo che tanto spesso prelude allo scatenamento degli egoismi.
Ma c’è un’altra possibile faccia di questo pianeta che può aiutarci sulla via della umanizzazione. Per la prima volta nella storia, oggi l’umanità conosce in tempo reale quello che avviene a ogni sua componente sul pianeta. Un tempo lo tsunami o il terremoto di Haiti non avremmo mai saputo che c’erano stati. Oggi sappiamo e dunque possiamo intervenire. Ne viene un dovere di corresponsabilità. Si inviano “forze di pace”, truppe di “interposizione”, si sviluppa il principio di “ingerenza umanitaria”. Ancora non sappiamo farlo, è la prima volta che ci proviamo: ma stiamo studiando il superamento delle guerre! E anche quello della fame: per la prima volta i popoli benestanti si autotassano per aiutare gli altri. Siamo quasi fermi a un livello misero di intervento, ma è meglio del niente che caratterizzava l’intera storia fino a ieri.

Comunicazione continuata
Il secondo portato – li elenco seguendo un ordine funzionale, o di sperimentazione pratica – riguarda la comunicazione. Qualche volta siamo stupiti del bisogno di comunicare che hanno i nostri ragazzi: telefonini, internet a non finire, tutta quella televisione, il cinema e le librerie e i musei, le mostre e i viaggi! I forum, i blog, la mania di chattare.
Può ben capitare che per questa china ci si perda: già stiamo imparando che i più giovani facilmente incappano in nuove fissazioni e dipendenze, nascono nuove malattie. Eppure di suo la comunicazione è un bene: è contatto umano, presa sul prossimo, occasione di fraternità. Un bel segno nel senso dell’avvicinamento tra gli uomini, anche se non sempre siamo preparati al buon uso di queste potenzialità.

Il trionfo della scienza
Il terzo portato riguarda la scienza, ovvero la conoscenza e la cultura. Tutto si può conoscere, quasi tutto si può fare: è questa la convinzione dominante tra i giovani acculturati che studiano informatica, logica matematica, filosofia della scienza. Essi sperimentano una tenace resistenza soggettiva all’accettazione del mistero di Cristo e di Dio che immediatamente si esprime come obiezione al miracolo e al soprannaturale.
Qui il lato positivo della mentalità scientifica che tutti ci suggestiona sta nella spinta a una vera e approfondita conoscenza della realtà: sia quella dell’uomo sia quella dell’universo, per aiutarci a scorgere in essa la cifra dell’azione divina che l’ha posta in essere e per riconoscere il limite creaturale che è stato posto alla conoscenza e al potere dell’uomo. Questa via oggi è più aperta che mai.

Liberi liberi
La quarta implicazione riguarda la libertà. Mi viene di dirlo con una canzone di Vasco Rossi che è stata un poco il simbolo della rivoluzione giovanile degli ultimi due decenni: “Liberi liberi” (1990). Libertà innanzitutto di muoversi sul pianeta. Libertà dai muri e dalle frontiere. E’ caduto il muro di Berlino, è stata spazzata via la cortina di ferro, si sta aprendo la Cina (internet si appresta a scavalcare definitivamente la Grande Muraglia), la televisione mina nel profondo qualche muro invisibile che circonda il mondo dell’islam. Libertà planetaria dunque, ma anche libertà nella vita privata e pubblica. E’ questa la novità che più spaventa gli educatori e che percepiamo generalmente come troppa libertà, assenza del limite, negazione di ogni disciplina. Un grande vento che rischia di portarci via i figli.
E’ vero, l’abuso della libertà è un rischio per l’umanità di oggi. Ma prima del rischio della libertà viene il dono della libertà, che è uno dei nomi di Dio: egli non è solo bontà, bellezza e giustizia; egli è anche libertà, cioè vittoria sul limite. E noi, suoi figli, siamo chiamati a cercare e realizzare una sempre maggiore libertà. Libertà che vuol dire pienezza e Dio in noi. La verità vi farà liberi. Dobbiamo educarci al buon uso della libertà, ma dobbiamo innanzitutto lodare Dio per il suo dono, che non è stato mai così grande. Dovremmo in qualche modo intuire che il desiderio di libertà – sempre crescente – che ha l’uomo d’oggi è in definitiva un desiderio di Dio.

Maschio e femmina li creò
Il quinto portato riguarda la parità tra uomo e donna: per la prima volta nella storia essa oggi accenna a farsi realtà. Ne vengono conflitti nella coppia e crisi di identità ma essa è innanzitutto una realtà viva e cara, come sanno tutti i genitori che hanno in casa un figlio e una figlia. Dovremmo esultare per questa possibilità che libera da costrizioni, pone in dignità, contribuisce alla praticabile felicità di innumerevoli esseri umani. All’incontro con l’altro i nostri ragazzi ci vanno condizionati da tanti limiti oggettivi e soggettivi, ben lo sappiamo, ma dovremmo rallegrarci per il fatto che ci vanno meglio provvisti di noi e dei nostri padri quanto a percezione e sentimento della parità tra maschi e femmine.

Il diritto alla felicità
La sesta implicazione riguarda la felicità: la “ricerca della felicità” che sempre ha mosso l’uomo nella storia. Essa che per la prima volta è stata affermata nel 1776 dalla Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America come “diritto alla felicità” e che ogni ragazzo di oggi ritiene di avere a portata di mano al momento in cui compie diciotto anni.
Si potrebbe affermare che la consapevolezza – e forse anche la febbre – di quel diritto oggi è dilagata nel mondo. Ma non c’è felicità che si possa raggiungere con rito abbreviato, per negoziazione, o per rapina, donde le tremende delusioni, depressioni, apatie e suicidi che tanto più ci tormentano quanto maggiore è l’illusione di una rapida affermazione di quel “diritto alla felicità”.

Conclusione
Ho indagato sei inclinazioni dell’umanità di oggi che si manifestano in relazione alla progressiva unificazione del mondo. Concludo affermando che questa progressiva unificazione è secondo il disegno di Dio. Abbattendo barriere, annullando distanze, stabilendo comunicazioni fino a ieri impensabili tra popoli e individui, diffondendo scienza e coscienza, ponendoci alla pari tra uomini e donne, stimolando ognuno a lottare per la sua piena affermazione, quell’unificazione ci libera da vecchie schiavitù e può aiutarci a scoprirci tutti come figli di un unico Padre.
In positivo essa pone le premesse per un balzo in avanti nelle rivoluzioni cristiane, così riassunte da Paolo: “Non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna” (Galati 3, 28). Il mondo che esce da questo sommovimento si configura per più aspetti come un campo arato, più che mai aperto – nella caduta dei muri e delle ideologie – alla semina evangelica. Un campo aperto e dunque pieno di rischi e di avventura, ma anche fecondo in ordine alla libertà e alla responsabilità.

Luigi Accattoli

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