Intervista sulla morte di Wojtyla come evento mediatico

raccolta da Mariana D’Ovidio il 10 febbraio 2006 per una tesi di laurea con il professore M. Morcellini all’Università di Roma “La Sapienza”, Scienze della comunicazione, Cattedra di Analisi dell’Industria Culturale.
Titolo della tesi Il lungo addio. Il racconto giornalistico del funerale di Giovanni Paolo II.

Nel suo articolo del 09-04-05, “Il Vaticano già indaga sui miracoli di Wojtyla”, lei evidenzia come il popolo possa influenzare le decisioni del Conclave. Pensa davvero che la popolarità di un Pontefice arrivi a condizionare la scelta del successore?

Lo penso, anche se di questa influenza non si possono avere riprove fattuali e documentarie. Almeno quattro sono gli elementi che inducono a ipotizzare un tale condizionamento sull’elezione di papa Ratzinger: la dimensione straordinaria della popolarità acquisita da papa Wojtyla, il fatto che essa sia stata echeggiata da una coda di “visitatori del papa morto” stimata in tre milioni di persone, che quella eco sia stata interpretata con il grido “santo subito”, che quella coda e quel grido abbiano trovato una rispondenza in specifiche iniziative all’interno delle congregazioni generali dei cardinali: raccolta di firme destinate al futuro papa richiedenti una rapida introduzione della causa di canonizzazione, impostazione della riflessione sulla situazione della Chiesa a partire dalla rispondenza ottenuta nel mondo dal Pontificato Wojtyliano. Sono elementi che possono aver incoraggiato una scelta nel segno della continuità, quale è sicuramente stata quella del cardinale Ratzinger, principale collaboratore del papa defunto per 23 anni.

Pensa che le apparizioni televisive di Papa Wojtyla abbiano influito sulla religiosità del popolo?

Hanno domiciliato stabilmente la sua figura nell’immaginario collettivo e hanno favorito la diffusione dei suoi messaggi, specie quelli legati ai gesti: il perdono all’attentatore, la missione “fino ai confini della terra”, la solidarietà con i popoli poveri, la predicazione della pace “fino a che avrò voce”, il superamento di ogni separatezza tra le religioni con la visita a una sinagoga e a una moschea, la richiesta di perdono per le “colpe” dei figli della Chiesa, la coraggiosa accettazione della progressiva invalidità. Come negare che qualcosa della sua figura e dei suoi messaggi abbia potuto aiutare qualcuno a credere?

Reputa rilevante l’incidenza del particolare rapporto tra Wojtyla e i mass media sull’esplosione di popolarità nei suoi confronti, quale si è manifestata in occasione dei funerali?

Immagino che i fattori di quell’esplosione siano stati – in ordine di importanza decrescente – questi quattro, tutti potenziati dall’alleanza con i media che ha caratterizzato l’intero pontificato: la lotta per parlare nelle ultime quattro apparizioni mute alla finestra, il continuo viaggiare, la tenuta della sua immagine nel tempo, la capacità dimostrata in tante occasioni di saper parlare a nome dell’umanità contemporanea (Auschwitz, comunismo, pace, pena di morte, giovani…).

Ritiene che le differenze di popolarità e di penetrazione tra le masse di Wojtyla e di chi lo ha preceduto, siano imputabili a una differenza tecnologica o anche ad un carisma personale piuttosto raro?

Ad ambedue, ma più al carisma che all’avanzata mediatica.

Alla luce di quanto accaduto per i funerali del Pontefice, definisce quei giorni come una lunga omelia funebre o come un vero evento mediatico?

Un evento mediatico che ha avuto più di un momento omiletica.

Nel vivere l’avvenimento di persona, ha riscontrato nei partecipanti il segno della fede e della devozione, o quello della partecipazione svagata ad un evento mediatico?

Ero colpito dalla capacità di concentrazione in mezzo all’evento mediatico, dimostrata soprattutto dai più giovani. Come già le “giornate mondiali della gioventù”, sta manifestandosi una nuova inculturazione della fede, dove il mediatico e il riflessivo-contemplativo non sono più semplicemente alternativi, ma tendono a mescolarsi e a prolungarsi reciprocamente.

Il funerale di Giovanni Paolo II avrebbe avuto tanti seguaci anche senza mass media?

Ovviamente no. Non si portano a Roma tre milioni di persone in una settimana senza un’emozione collettiva accumulata e divulgata da tante ore di trasmissione televisiva e da tante pagine di giornali. Ma non si potrebbero avere tante ore e tante pagine – e comunque non sarebbero trascinanti – se non vi fosse prima, nella realtà, un’emozione germinale capace di reggere al suo ingrandimento mediatico. I media ingrandiscono e prolungano, ma nulla è nei media che non sia prima nella realtà.

L’evento mediatico, se esiste, è stato costruito dai mass media, dal Vaticano o da una collaborazione tra i due?

E’ stato un prolungamento dell’alleanza di Giovanni Paolo II con i media, che abbiamo visto crescere ininterrottamente lungo i 26 anni e mezzo del suo pontificato e che è paradossalmente culminata nelle apparizioni mute delle ultime settimane.

Nel caso di una collaborazione, questa secondo lei, sarà stata spontanea o costruita?

Quell’alleanza la considero spontanea – direi addirittura istintiva – da parte del papa e costruita da parte dei media. Il Vaticano si è limitato a fargli spazio, non senza qualche resistenza: vedi, per esempio, l’impegno dei cardinali a non dare interviste preso all’indomani del funerale (9 aprile).

Vede speculazione commerciale e mediatica, ovvero vere e proprie strategie di marketing dietro l’organizzazione dei funerali del Pontefice? Oppure definisce l’accaduto come il naturale evolversi dei tempi che coinvolge anche la spiritualità?

Nella loro struttura liturgica e giuridica gli atti dei “novendiali” sono pre-mediatici, normati da una tradizione antica. Ma bene rispondenti al genio comunicativo dell’era televisiva, grazie alla prevalenza dell’immagine sulla parola che è proprio della tradizione barocca del pontificato romano.

Inoltre, nella grande massa presente di persona e non, ai funerali del Pontefice, vede solo una ingenua e spontanea spinta spirituale, oppure un preannunciato risultato di un’operazione mediatica effettuata in tanti anni di pontificato?

Ho già detto (risposte alla terza e alla settima domanda) che considero prioritario sugli altri elementi determinanti l’affluenza quello dell’emozione provocata dalle ultime apparizioni del papa invalido e afasico. Ma ovviamente non va trascurato l’effetto di trascinamento e di accumulo di quanto comunicato – anche per via mediatica – in più di 26 anni.

Tale riscontro nelle masse, non può essere ricondotto alle teorie sull’influenza dei media? Oppure questa è una conclusione troppo semplicistica?

Ho già detto che non lo considero pienamente o puramente riconducibile all’influenza dei media. Ci sono i media, ma prima e insieme ci sono i corpi e le anime di milioni di persone.

Nella mia tesi c’è un intero capitolo che tende a dimostrare quanto Papa Giovanni Paolo II e la struttura clericale degli ultimi tempi, abbiano fatto sì che il Vaticano costituisse un vero e proprio star system. E’ concorde con questa conclusione?

Come già detto in risposta alle domande tre, nove e dieci, preferir ei parlate di “alleanza” con i media, piuttosto che di sistema mediatico autonomo e di un’alleanza tra papa Wojtyla e il mondo dei media più che tra il Vaticano e i media.

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