Antonio Thellung: “Mi godo la mia vecchiaia”

Non ho più futuro, e del resto mi sembra di aver accumulato sufficienti elementi per aspirare a compiere la mia vita. Come sono contento! Non vorrei assolutamente tornare indietro, e neppure essere più giovane, con tutto l’affanno che comporta. Bellissimo, si intende, ma per una volta! Mi godo la mia vecchiaia mentre percorro l’ultimo tratto: il presente che ancora mi è dato di vivere lo sento come un surplus, e tanto più considerando che la stragrande maggioranza delle persone che ho conosciuto, anonime o famose che fossero, sono morte più giovani di me. Il pensiero della morte non mi angoscia, tanto che nel nostro duale ne parliamo sovente, con allegra commozione o austera ironia, ipotizzando talvolta di poter scegliere l’ordine di arrivo, anche se non riesco mai a capire se amerei di più curare la mia dolce sposa o esserne curato. Comunque sia, anche lei è d’accordo che ci piacerebbe andarcene insieme”: è il bell’incipit del capitolo “Frequentare il mistero” del volumetto di Antonio Thellung L’INQUIETA FELICITA’ DI UN CRISTIANO pubblicato dalle Paoline nel 2009 (pp.161, 12 euro).

L’inquietudine che è nel titolo del volumetto – e anche nel titolo dell’ultimo capitoletto CON ALLEGRA INQUIETUDINE – è quella del cristiano che non finisce di indagare se la sua vita e i suoi sentimenti siano quelli di un semplice “simpatizzante” nei confronti di Gesù, o se egli possa considerarsi un “discepolo”. L’inquietudine come “principio di non appagamento” – per usare un’espressione di Aldo Moro – è cara ai cristiani. Segnalo due testi di papa Benedetto intestati all’inquietudine, sempre vista in positivo: la “santa inquietudine di Cristo” per la salvezza d’ognuno e di tutti, di cui parlò nell’omelia di inizio del pontificato; e l’elogio delle “persone che non si accontentano della realtà esistente e non soffocano l’inquietudine del cuore, quell’inquietudine che rimanda l’uomo a qualcosa di più grande e lo spinge a intraprendere un cammino interiore”, elogio che svolge a commento del detto evangelico “beati quelli che hanno fame e sete della giustizia” nel volume Gesù di Nazaret (Rizzoli 2007, p. 116).

Antonio – che è romano ma è nato a Genova nel 1931 – così mi ha parlato un giorno del 2007 al telefono: “Ciò che mi stupisce non è il fatto che io sia bisnonno ma che mia figlia sia nonna. Sono già due i suoi nipotini e ancora non mi abituo a questa vertigine. La sento che dice al telefono ’sono nonna’ e di colpo avverto la profondità delle generazioni che sono venute da me e da Giulia, incredibile dono di Dio!” Nel corso di un’altra telefonata – sempre del 2007 – gli chiedo come vanno le cose e dice: “Anche troppo bene!  Ci abbiamo riflettuto, Giulia ed io, e abbiamo concluso che a noi il Signore ha mandato e manda così tanta grazia che si spreca”.

Nel capitolo 16 Qui è perfetta letizia c’è un’intervista ad Antonio Thellung intitolata Assistendo i morenti ho imparato a essere felice. Per completare la conoscenza di Antonio visita il suo vivacissimo sito.

[Giugno 2010]

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