Giovanni Pittini: “A noi poveri questo non lo dovevi fare”

Come si vede da questa storia la preghiera pubblica può consistere in un intervento durante un’omelia dialogata e può avere la forma di una protesta contro il terremoto:

Nel settembre del 1976 ero in Friuli, a Gemona, per fare il “volontario”. La gente, che dopo le scosse di maggio non si era allontanata dalla propria terra, aveva accettato di essere sfollata dopo le scosse di settembre che avevano incrinato le nuovissime costruzioni e anche la speranza. Era rimasto in paese un idraulico, Giovanni Pittini, che mangiava e dormiva nel campo di tende e prefabbricati insieme a noi. Ci aveva fatto avere l’acqua corrente, aveva installato delle docce, eseguiva riparazioni ovunque: pareva che sapesse a memoria la trama sotterranea di tutte le condotte.
Un giorno, alla mattina, ci aveva chiesto di lavorare anche per lui. Siamo andati in tre, ci ha portati di fronte alla sua casa e si è messo a imprecare: diceva che il terremoto non gli aveva nemmeno fatto il piacere di abbatterla, e che adesso avrebbe dovuto prendersi l’incombenza di farlo da solo. In effetti la sua casa era un montaggio surreale di tre piani intatti, sovrapposti l’uno all’altro con una sfasatura di un metro ciascuno! Poi ci ha raccontato di un padre e di un fratello con cui era stato per dodici anni in Venezuela per guadagnare i soldi per poterla costruire, e farci l’officina, e lavorare al paese. Abbiamo capito che il “lavoro” che ci aveva chiesto era quello di farci testimoni della sua sofferenza, ma per darsi un tono ci ha poi fatti scendere in cantina – tutta pericolante – e ci ha fatto portare fuori qualche damigiana di vino. Ci diceva: “Se trema, correte. Ma con la damigiana”.
Alla sera, dopo cena, don Toni Revelli, prete operaio di Torino, celebrava la messa nello stesso posto dove avevamo mangiato. Giovanni, che mangiava appunto con noi, abbassava sempre la testa e sembrava addormentarsi sul tavolo. Ma quella sera stava sveglio, e durante l’omelia “partecipata” intervenne: in piedi, con il dito alzato, fece questa paradossale “professione” di fede: “Io a te non ti credo più, perché a noi poveri questo non lo dovevi fare”.

L’episodio è narrato da un visitatore del mio blog che si firma Adriano in data 10 giugno 2010, a commento di un post che riferiva un analogo detto di un terremotato dell’Aquila.

[Giugno 2010]

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