Benedetto XVI nei media italiani

Luca Gentili intervista Luigi Accattoli il 15 aprile 2007 per una tesi di laurea su “La figura di Benedetto XVI nella stampa quotidiana italiana” (Relatore: professore Giampiero Gamaleri – Università degli studi di RomaTre)

Quali sono stati gli eventi che hanno caratterizzato maggiormente l’immagine comunicativa di Benedetto XVI sulla stampa italiana nel corso dei primi due anni del Suo pontificato?

Vi sono cinque eventi fondamentali.
Il primo di essi, principalmente visuale, è stato il modo in cui si è affacciato al balcone della Sala delle Benedizioni il giorno dell’elezione. Sotto le maniche della veste papale indossava solo il maglione, vale a dire che non aveva neanche una camicia. E’ stato un fatto notevole. Più che per la sua parlata gentile, il tono di voce, i sorrisi, o l’emozione, per il fatto che questo vestito non adeguato mostrava come lui non fosse pronto a fare il papa, non pensasse di essere eletto. Questa è stata un’immagine visuale mediaticamente molto importante e positiva, rispetto all’immagine dell’uomo conservatore, severo e dottrinario legata al suo ricordo come cardinale.
Il secondo evento mediatico di rilievo è stata la visita alla sinagoga di Colonia, durante il primo viaggio in Germania, il 19 agosto 2005.
Vi è poi la visita al campo di concentramento di Auschwitz – Birkenau, il 28 maggio 2006, in occasione del viaggio in Polonia. E’ stato un evento che ha provocato anche molte polemiche, però il fatto che un Papa tedesco andasse ad Aushwitz completava la visita alla sinagoga di Colonia, che era stata devastata dai nazisti e ricostruita dopo la guerra.
Il quarto momento di rilievo è la visita alla Moschea Blu di Istanbul, il 30 novembre 2006, dove il papa si è trovato a osservare un momento di preghiera tra la meraviglia e il plauso dell’opinione pubblica mondiale.
Infine, la lectio magistralis all’Università di Regensburg del 12 settembre 2006. Un discorso, questo, che a causa di un’errata interpretazione delle parole del pontefice ha provocato un’accesa polemica e che il viaggio in Turchia ha completamente pacificato.
In tutte queste circostante emerge la linea personale che Benedetto XVI, pur in continuità con il precedente pontificato di Giovanni Paolo II, sta portando avanti: una riduzione dei messaggi al mondo e, quindi, della propria estroversione comunicativa che, mantenendo salda la propria libertà personale, lo porta a rendere più evidente il conflitto Chiesa-mondo e a marcare con maggior enfasi l’identità cattolica.
Questi sono i grandi eventi dal punto di vista mediatico.
A questi vanno accompagnati i piccoli eventi, che non sono altro che il dialogo con i suoi diversi interlocutori, le numerose occasioni in cui il papa dialoga a braccio, improvvisando. Di questo, però, parleremo in seguito.

Quali temi del magistero di Papa Ratzinger ottengono maggior visibilità sui media?

Oltre agli eventi di grande portata come quelli descritti in precedenza, attirano notevole eco gli interventi di Benedetto XVI sui cosidetti “principi non negoziabili”. Il fatto che ha suscitato maggiore attenzione è stato il discorso a Verona del 19 ottobre 2006.
In realtà su questo tema il Papa fa un intervento quasi ogni settimana. Questa sua indubbia insistenza di fatto incoraggia la tendenza dei media a dare di questo papa una lettura intransigente, sulla scorta della figura del cardinale Ratzinger, interpretando il pontificato alla luce della figura dell’ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Quali temi ottengono minore visibilità?

I media sovrastimano il Ratzinger pubblico che parla dei principi non negoziabili e delle radici cristiane dell’Europa, sottostimando invece il Ratzinger predicatore del Vangelo. Anche la pubblicazione del libro su Gesù, che pure ha avuto una certo eco, meriterebbe maggiore attenzione nei contenuti più di quanto non ne abbia avuta.
Più in generale, ciò che viene maggiormente tralasciato sono i piccoli eventi. Così, ad esempio, abbiamo la sua attività di predicatore nelle situazioni ordinarie, come in occasione delle omelie nelle parrocchie di Roma. In realtà le visita poco, ma quando le visita fa un’omelia viva, non legge un testo. Il papa cerca un rapporto diretto con un pubblico, quello delle parrocchie, semplice. Lo stesso avviene per le catechesi del mercoledì e poi, in particolare, nei colloqui con i gruppi. A tal proposito si possono citare: una conversazione con i preti della Valle d’Aosta il 25 luglio 2005; l’incontro con i bambini della prima comunione di tutta Italia, nell’ottobre del 2005; una conversazione con i preti della diocesi di Albano a fine estate 2006; due altre conversazioni con il clero di Roma, rispettivamente all’inizio dei periodi di quaresima del 2006 e del 2007.
Ciò che viene sottovalutato è la predicazione nella sua attività ordinaria. L’elemento più originale di tale predicazione è il dialogo che lui svolge ponendosi al livello dell’interlocutore, mettendo così se stesso in questione: papa Ratzinger parla con i bambini, con i giovani, con i sacerdoti, esponendo la sua sensibilità e il suo atteggiamento. E’ qui che emerge la figura del testimone (termine che uso in riferimento a quello che lui stesso ha scritto nel suo libro “Gesù di Nazaret”), di colui che testimonia la propria costante ricerca del volto del Signore. Ed è proprio in queste conversazioni “ordinarie” che si manifesta la sua dimensione di testimonianza. Il carattere di queste conversazioni è forte ed esse avrebbero tutti i requisiti per essere mediaticamente rilevanti, sia per forma che per contenuto. Invece i media sottostimano tali eventi perché non conflittuali e, quindi, non “portatori di notizia”.

Dal papa dei gesti al papa della parola. Quali sono le differenze fondamentali nel rapporto con i media tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?

Giovanni Paolo II mirava alla comunicazione di massa, che è sintetica, di immagine e gestuale, tendente a creare l’evento e a sorprendere. Un tipo di comunicazione massimamente congeniale al mezzo televisivo. La parola diveniva così elemento finalizzato alla costruzione dell’evento comunicativo.
Papa Ratzinger crede invece nella comunicazione da uomo a uomo, in particolare quella verbale. Benedetto mira ad agganciare l’intelligenza del singolo ascoltatore, si appassiona al ragionamento, scommette sulla ragionevolezza e la comprensibilità del messaggio che propone, cioè sulla capacità di attrazione del messaggio cristiano. Dietro questo affidarsi alla libera conversazione sulle questioni maggiori della vita cristiana c’è una teologia: quella della ragionevolezza della fede cristiana, cioè della sua profonda rispondenza alle esigenze della ragione umana. E dunque la fiducia per una comunicazione efficace in materia, una comunicazione non elusiva e mirata al coinvolgimento delle intelligenze e dei cuori.

Come definirebbe la rappresentazione mediatica di Benedetto XVI da parte della stampa italiana? In particolare, è secondo Lei possibile individuare un processo di cambiamento che nel corso di questi due anni di pontificato ha in qualche modo mutato l’atteggiamento della stampa nazionale nei confronti del pontefice?

L’accoglienza è stata inizialmente buona anche se un minimo perplessa: non ci si aspettava la sua elezione e si era pieni di immagini ricevute – e non del tutto positive – riguardo il cardinale Ratzinger “custode della fede”. A differenza della stampa internazionale, quella italiana aveva un’ottima conoscenza diretta del personaggio e ha dunque potuto liberarsi in fretta dagli stereotipi che gli facevano torto.
Un cambiamento lungo i mesi c’è stato e forse si può riassumere nella progressiva modificazione della domanda dominante su di lui: fino alla Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia (18-21 agosto 2005) ci si chiedeva se papa Benedetto sarebbe stato conservatore come il cardinale Ratzinger; dopo Colonia la domanda è su quale sia il segreto dell’attrattiva che esercita sulle folle, non facendo egli nulla per accattivarsele e ottenendo un totale di presenze stabilmente superiore, si stima, a quelle che Giovanni Paolo II magistralmente richiamava.
Un ulteriore cambiamento, riscontrabile nell’ultimo anno, consiste in un inasprimento della reazione al suo messaggio da parte del mondo politico, soprattutto in riferimento ai “principi non negoziabili” e alle “radici cristiane”.
In particolare i DICO, di cui il papa non ha finora, mai parlato esplicitamente ma nella cui disputa viene inevitabilmente coinvolto a motivo dei suoi numerosi interventi a difesa dell’unicità della famiglia fondata sul matrimonio. Insieme a tale inasprimento va rilevato uno schiacciamento della figura del papa sul politico: una unilateralità interpretativa che non rispecchia la tematica molteplice della predicazione del pontefice.

La Santa Sede ha a sua disposizione una ricca ed efficiente struttura impegnata nella comunicazione: Radio Vaticana, la Sala Stampa Vaticana, il Centro Televisivo Vaticano, il Pontificio Istituto per le Comunicazioni Sociali e l’Ufficio per la Comunicazione della CEI. Quali di questi organi ha avuto più incidenza sull’attività giornalistica da voi svolta nel corso di questo pontificato? In che modo?

Di solito ciò con cui si lavora maggiormente sono la Sala Stampa e il sito internet. La prima, in particolare, risulta essere la più feconda e quella con cui è più facile stabilire un rapporto interattivo. Di qualche utilità sono anche l’Osservatore romano e la Radio vaticana, dei quali però non capita di fare un largo uso. Gli altri organismi dicono di meno all’informatore professionale.
Di grande importanza è la figura del portavoce. Si potrebbe dire che l’estroverso e creativo Navarro-Valls stesse a papa Wojtyla come l’intellettuale gesuita Federico Lombardi sta al papa teologo. Il ruolo del portavoce è infatti l’elemento più interessante di tutto il problema informativo vaticano. Padre Federico Lombardi, all’inizio della sua attività di portavoce, in un’intervista ad una radio tedesca nell’agosto 2006, poco prima del secondo viaggio in Germania, aveva detto che il papa non ha bisogno di un portavoce. Parole che esprimevano l’intenzione di un passo indietro del nuovo direttore della Sala Stampa rispetto a Navarro-Valls. Lombardi non lo diceva in polemica con il predecessore, ma per segnalare una propria interpretazione del ruolo a cui era chiamato: è il papa che parla – egli veniva a dire in sostanza – e dunque porta la sua parola in prima persona mentre il compito del direttore della Sala Stampa è “solo” quello di aiutare i colleghi giornalisti nel loro lavoro. Questa lodevole intenzione di una maggiore discrezione da parte del nuovo portavoce – interpretabile come proposito di fare un passo indietro – non si è potuta realizzare. Anch’egli è stato infatti costretto dal discorso di Regensburg e dalla visita alla Moschea Blu di Istanbul ad assumere un ruolo di portavoce in senso forte, alla maniera dinamica che era già stata propria di Navarro-Valls. Joaquin Navarro-Valls aveva creato la figura del portavoce papale, ruolo che prima non esisteva. Inizialmente – cioè dal Concilio alla sua nomina – c’era solo la figura del direttore della Sala Stampa, da intendere come terminale ad extra dell’attività informativa gestita dalla Segreteria di Stato vaticana. Navarro-Valls si era invece ricavato, grazie al proprio rapporto personale con papa Wojtyla, un ruolo di notevole protagonismo, mal sopportato dalla Curia. Pare che il padre Lombardi volesse inizialmente tornare alla formula istituzionale e questa era probabilmente l’indicazione che gli era stata data. Senonchè, i fatti e l’esposizione della figura papale sul proscenio mondiale lo hanno costretto a proseguire l’opera di Navarro. Così, in occasione della lezione di Regensburg, mentre il Papa stava ancora parlando, Lombardi è stato costretto a dare spiegazioni ai giornalisti che lo interpellavano, senza poter prima consultarsi con il pontefice o con la segreteria di Stato. Ha dovuto così interpretare ed esporre a proprio rischio le possibili spiegazioni e giustificazioni del discorso che il papa stava ancora tenendo. La pressione mediatica mondiale cui è oggi continuamente esposta la figura papale impone che l’interlocutore vaticano reagisca prima di poter avere un responso dagli uffici o dal papa stesso. Impone cioè che il direttore della Sala Stampa agisca da portavoce.
Tutto ciò si è riproposto durante il viaggio in Turchia. Il primo giorno, il 28 novembre 2006, il papa aveva appena incontrato il premier turco Erdogan e questi, una volta uscito dal colloquio, aveva detto ai giornalisti che il papa era favorevole all’ingresso della Turchia in Europa. ubito i giornalisti hanno chiesto spiegazioni al padre Lombardi: come mai – cioè – avessero cambiato idea sia papa Ratzinger, che da cardinale aveva apertamente espresso la sua contrarietà a tale soluzione; sia la Santa Sede, che si era sempre detta neutrale. Così il padre Lombardi si è trovato nella difficile situazione di scegliere se smentire un Primo Ministro o interpretare il Papa, che era intanto impegnato in un successivo appuntamento con i responsabili dell’Ufficio dei culti del governo turco. Ancora una volta, Lombardi ha dovuto dare una propria versione di quanto stava accadendo prima che se ne avesse un’attestazione formale dalla bocca del papa o da un testo della Segreteria di Stato. Lo stesso si è ripetuto due giorni dopo in occasione della visita e della preghiera nella Moschea Blu.
Il flusso continuo di informazioni in diretta sui viaggi papali ha costretto il padre Lombardi – che voleva limitarsi al ruolo istituzionale di direttore della Sala Stampa, ad assumere una veste di protagonista primario dell’informazione vaticana, con modalità in tutto simili a quelle del predecessore.

Lascia un commento