Donne memorabili

   Attrici femministe e sante

   ecco l’albo delle donne memorabili

 

Sono un partigiano delle donne e amo le storie di vita, dunque per me è stata una festa la pubblicazione dei tre volumi Italiane, che raccontano 247 storie di donne, affidate a 130 autori. Per evitare indigestioni, mi fermo al terzo volume: quello delle contemporanee.

Ma faccio, in premessa, un’eccezione nominando per prima Alessandra Di Rudinì (1876-1931), che fu amante di Gabriele d’Annunzio, e prima sposata e madre di due figli e dopo monaca carmelitana. In lei si assommano i destini delle madri, delle libertarie e delle contemplative: quasi tre motivi per amarla. Ciò che davvero interessa sotto il cielo – ma fu Gesù a segnalare che la pensano così anche più in alto – è la storia della pecora smarrita che torna all’ovile, non quella delle novantanove che vi hanno sempre svernato.

 

“Il mio cuore

   senza di te non vive”

Un’avventura altrettanto complessa – ma questa volta tutta interiore – vive Elsa De’ Giorgi (1914-1997), che riceve quattrocento lettere d’amore da Italo Calvino, ma resta legata al marito Alessandro Contini Bonacossi, che si era dileguato e che sarà poi trovato suicida, a Washington, vent’anni dopo. La lunga fedeltà di Elsa al fuggiasco costringe Calvino alla resa, che lei racconta così: “Persa la fede in un nostro futuro amoroso, scoraggiato dalla mia accanita difesa di Sandrino, si mise a ripeterne i gesti. Scomparve”.

Elsa sembra meravigliata che Calvino non abbia retto all’attesa e con amorosa compassione narra la loro storia – che non vide mai il sole – in un romanzo autobiografico, che pubblica dopo la morte dello scrittore: Ho visto partire il tuo treno. Un titolo che allude alla morte di Italo e che lei prende dalla prima riga di una delle sue lettere d’amore: “Ho visto partire il tuo treno, tu al finestrino, t’ho salutata, non visto, dal finestrino del mio treno, bellissima”.

Di che cosa non è capace una donna che ama! Ecco Rosetta Flaiano (1911-2003), acuta intelligenza matematica e fisica, che fa parte giovanissima dei “fisici di via Panisperna”, ma presto lascia la ricerca per dedicarsi tutta al marito Ennio e subito dopo alla figlia cerebrolesa Lelè.

Le metto accanto, per tragicità di destino, subito e abbracciato, la poetessa più precoce del secolo scorso, Atonia Pozzi (1912-1938), perdutamente innamorata del professore di latino e greco al liceo. Un amore impossibile che la porta al suicidio: “Col mio pianto / vitreo, pari a lente che non pecca, / io specchierò e raddoppierò le stelle”.

E chissà se posso usare la parola amore per accennare al suicidio di Rita Atria (1974-1992), che parla ai giudici quando la mafia le uccide il padre e il fratello e ritrova un padre in Borsellino e si uccide dopo la sua morte, scrivendo sul muro della stanza: “Il mio cuore senza di te non vive”.

 

  “Devo offrire

   una possibilità a tutti”

Altre siciliane ribelli occhieggiano dal dizionario: Maria Occhipinti (1921-1996), incinta di cinque mesi, che si sdraia sulla strada provinciale di Ragusa per fermare il camion dei rastrellati, che non vogliono andare a combattere per la “liberazione” dell’Italia del Nord, il 4 gennaio 1945; Franca Viola (1947), che rifiuta il matrimonio riparatore con l’uomo che l’ha violentata. Metto con loro Elda Pucci (1928), sindaco di Palermo che combatte la mafia con efficacia e resta viva “forse perché donna e forse perché pediatra dei figli di famiglie mafiose”.

Scorrendo un dizionario sei tentato di affidarti al gioco delle contaminazioni più arbitrarie. Ecco Francesca Ichino (1921), una delle “madri” dell’affido familiare in Italia, che – prima di dedicarsi a un servizio volontario presso il Tribunale dei minori di Milano, che dura tutt’ora – “fa la mamma, l’insegnante, la volontaria, l’avvocato della parrocchia e delle prime associazioni per la tutela delle donne maltrattate”.

La stessa ispirazione al soccorso che muove la volontaria cristiana la ritrovo nelle pulsioni più intime della femminista laica Carla Lonzi (1931-1982), che ha lasciato questa confessione in una pagina di diario, letta al funerale dalla nipote Ginevra: “Devo offrire una possibilità a tutti quelli che non me lo impediscono, anche se non mi incoraggiano. Poi mi sento troppo strana, però devo tentare almeno una volta, no anzi due volte”.

Non mi appare diversa la tremenda polemista del Borghese, Gianna Preda (1921-1981), che prende congedo dai lettori annunciando di avere un tumore, con un ultimo articolo intitolato Per fatto personale, nel quale è scritto: “Avrei dovuto capire di più quelli che non la pensavano come me”.

Il caratteraccio di Gianna Preda mi calamita sul profilo – affidato a un’altra dura: Lucia Annunziata – della giornalista di guerra Oriana Fallaci (1929), dov’è citato il libro suo che mi è caro: Lettera a un bambino mai nato (1975). Lo legga chi non sopporta la stridula Fallaci dei nostri giorni.

“Testarda e travolgente” ci viene presentata Margherita Guarducci (1902-1999), la studiosa della tomba di San Pietro, soprannominata virgo potens, che mai si sposò e da ragazza troncò con una battuta la timida corte del maestro epigrafista Federico Halbherr: “Non faccia lo stupido”.

 

   “Sono piena

   di innamorati”

Ma tra le Italiane ci sono anche donne leggere, per fortuna. E forse le rappresenta bene Palma Bucarelli (1910-1998), mitica soprintendente della Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, che così civetta a 34 anni: “Sono piena di innamorati. Soprattutto i miei occhi pare che facciano andare in visibilio e perdere la testa. Ma!”

Meglio mi trovo con il sorriso di Nicoletta Orsomando (1929), la signorina buonasera dei primi quarant’anni della nostra televisione. Com’era sorella d’ognuno quando si toglieva gli occhiali per salutare, dopo che aveva letto gli annunci.

Bianca Gasperini (1918-1979) diviene “Candida” quando inizia a collaborare a Novella, e “Brunella” quando passa ad Annabella. Mi incanta questa fantasia di mutare nome per cambiare colore!

Ci sono donne audaci nel lavoro e ritrose nella vita: Angela (1928-1987) e Luciana  (1934-2001) Giussani, sorelle milanesi inventrici di Diabolik, si scandalizzano quando Dino De Laurentis le riceve con i piedi sulla scrivania.

Sono stato felice di reincontrare qui Cristina Campo (1923-1977), che ci viene descritta con gli aggettivi da lei dedicati alla poetessa Marianne Moore: “meticolosa, speciosa, inflessibile”. L’incontentabile Cristina, sconcertata dal Vaticano II, che “si avvicina agli ortodossi e alla loro messa incontaminata”.

Termino le citazioni con la collega Maria Grazia Cutuli (1962-2001), quando dice ai capi del Corriere della Sera, che la richiamano dall’Afghanistan: “Volete farmi felice? Fatemi restare”.

 

   Ci sono cinque

   canonizzate

Il dizionario ha provocato polemiche che non condivido. L’Associazione nazionale partigiani ha protestato per la presenza di Claretta Petacci e altre fasciste. Gloria Buffo, Emma Fattorini e Paola Gaiotti de Biase hanno lamentato la scarsa presenza delle politiche e delle sindacaliste.

Al contrario di chi avrebbe voluto più biografie riuscite, io avrei fatto ancora più spazio alle sorprese. Come nel caso dei santi, mi piacciono di più le improvvisate dello Spirito, che i premi alla carriera.

Quanto alle assenti, io ci avrei messo Anna Maria Enriquez Agnoletti: ebrea per parte di padre, convertita al cattolicesimo, salvatrice di ebrei e altri perseguitati, fucilata dai nazifascisti.

E Sofia Cavalletti, che è stata segretaria dell’ex rabbino Eugenio Zolli e che ha fatto catechismo a uno dei miei figli.

E Romana Guarnirei, che ho conosciuto da Gabriele De Rosa e che ho avuto la fortuna di ascoltare quando racconta con entusiasmo di don Giuseppe De Luca: ha più di novant’anni, ma lo fa tutt’ora. Ha appena pubblicato un’altra memoria su Bailamme.

E Marisa Cinciari Rodano, che faceva la maglia mentre Franco parlava con noi della Fuci, nella grande casa di via di Porta Latina.

Ma l’antologia mi è piaciuta. Accosta sante e peccatrici e questo mi va. Le devianti vengono presentate con simpatia, e ciò mi pare quasi evangelico!

Fa un buono spazio a figure cattoliche di ogni tendenza: “Femministe e moderniste, studiose e suore, fondatrici di associazioni e movimenti”, sintetizza Gian Maria Vian, che ha redatto le voci Margherita Guarducci e Chiara Lubich. Lucetta Scaraffia – che, insieme a Eugenia Roccella, ha “curato” l’impresa – ha fatto il profilo delle sante Francesca Cabrini e Maria Goretti, e della fondatrice Brigida Postorino. C’è Armida Barelli e ci sono altre tre sante: Paola Frassinetti, Gemma Galgani, Gianna Beretta Molla.

Ma dato che vengono censite anche le sante, perché non metterci Clelia Barbieri (1847-1870), che è la più bella tra esse?

Che le cattoliche siano molte può essere un frutto buono della stagione politica, che pure depreco per altri aspetti, a partire dall’appoggio alla guerra preventiva di Bush.

 

   Ma sono poche

   le “sorprese dello Spirito”

I tre volumi cercano un equilibrio tra vite evento e biografie di poetesse, scrittrici, pittrici, attrici, cantanti, stiliste, filantrope e – in ultimo – politiche. Io sarei andato di più verso le donne rivelate dalle vicende della vita.

Guardando solo alle contemporanee, segnalo come assenti Stella Tobagi, Emanuela Setti Carraro, Agnese Borsellino; Graziella Fumagalli, Luisa Guidotti, Annalena Tonelli: e mi fermo qui per non fare il pedante. Ho guardato soltanto alle vittime della mafia e alle martiri della missione. Ognuno può completare il dizionario a suo talento.

   Luigi Accattoli

 

Dipartimento per le pari opportunità, Italiane; vol. I, Dall’unità d’Italia alla 1° guerra mondiale, pp. 244; vol. II, Dalla prima guerra mondiale al secondo dopoguerra, pp. 266; vol. III, Dagli anni cinquanta ad oggi, pp. 364. Editore: Dipartimento per l’informazione e l’editoria, c/o la Presidenza del Consiglio dei ministri. I tre volumi sono stati distribuiti gratis, nelle edicole, l’8 marzo, il 20 e il 27 aprile.

 

Il Regno 10/2004

Lascia un commento