Dire il Vangelo con un linguaggio nuovo

Settimana dehoniana di Albino, Bergamo – 2 settembre 2011

Il titolo della relazione [“Dire il Vangelo: nuove strutture – nuovo linguaggio”] è eccessivo rispetto al contributo che io penso di poter dare alla vostra riflessione. Da giornalista che si è applicato a lungo alla narrazione di “fatti di Vangelo”, cioè di testimonianze cristiane nell’Italia di oggi, ho scelto di proporre narrativamente – e cioè con ricorso a molti esempi concreti – e sinteticamente un’idea della pedagogia ecclesiale che dalla valorizzazione di tali testimonianze si potrebbe trarre . La mia trattazione si concentra dunque sul “nuovo linguaggio” che è evocato nel titolo della relazione e – in particolare – sulla sua dimensione narrativa e testimoniale.

La mia esposizione è divisa in due tempi. Il primo potrebbe essere intitolato “Che cosa lo Spirito dice oggi alla Chiesa attraverso le vite convertite” e il secondo “Che cosa converte a Cristo l’uomo contemporaneo”.

 

Che cosa lo Spirito dice oggi alla Chiesa attraverso le vite convertite

Credo vi sia una particolare attualità del Vangelo nell’Italia di oggi – un’attualità riscontrabile nella cronaca d’ogni giorno e nelle storie di vita, nei fatti di Vangelo.
Per fatti di Vangelo intendo le testimonianze cristiane più radicali e disinteressate, direttamente ispirate alle beatitudini e all’esempio di Gesù: la fede pagata con la vita, ogni forma di misericordia, la povertà scelta o accolta, la sofferenza redenta dalla grazia, l’amore senza motivo e quello per i nemici, l’accettazione della morte nella speranza della risurrezione.

E’ attraverso tali fatti che i cristiani d’Italia hanno saputo dare in questi anni risposte creative a incredibili esplosioni di violenza, alle solitudini metropolitane, alla crisi sociale della famiglia, all’arrivo tra noi di altre genti, alla droga e all’Aids, a ogni nuova paura della morte.

L’esperienza di giornalista – lo sono ormai da quattro decenni – mi ha permesso di cogliere, attraverso i terminali della professione, così tanti segni cristiani tra la nostra gente che mi sono proposto di condurre alcune inchieste sboccate in tre volumi: “Cerco fatti di Vangelo” (Sei 1995), “Cento preghiere italiane di fine millennio” (La Locusta 1996), “Nuovi martiri. 393 storie cristiane nell’Italia di oggi” (San Paolo 2000), “Cerco fatti di Vangelo 2” (EDB 2011). Sto per consegnare alla EDB un “Cerco fatti di Vangelo 3” e continuo tale indagine attraverso il mio blog – www.luigiaccattoli.it – con una pagina intitolata appunto Cerco fatti di Vangelo.

Nell’insieme ho preso in esame ormai oltre un migliaio di casi, ovvero di storie riguardanti singole persone. Eccone una rassegna per categorie:

  • cristiani che negli ultimi decenni sono morti a centinaia nella missione alle genti, per salvare gli ebrei dalla persecuzione nazista, per la giustizia e la dignità dell’uomo;
  • persone che dichiarano di perdonare gli uccisori dei parenti;
  • uomini e donne che si “addormentano nella speranza della resurrezione”, che cioè accettano la malattia, la vecchiaia e la morte fidando nella promessa del Signore;
  • tra questi i malati di aids che compiono un cammino di conversione e muoiono santamente (vi sono casi in ogni nostra città);
  • portatori di menomazioni che resistono ad esse e le vincono e si mettono al servizio dei fratelli meno fortunati e lo fanno nel nome del Signore;
  • innumerevoli cristiani che si dedicano – nella quotidianità – al servizio del prossimo, a missioni di pace, al soccorso dei poveri in ogni parte del mondo;
  • coppie che adottano bimbi menomati per amarli due volte; o realizzano “case aperte” e “case famiglia” per dare un focolare a chi non ce l’ha;
  • sposi e genitori e cristiani comuni – sempre più numerosi – che partono per attività missionarie, a volte portando con loro i figli.

Alcuni di questi fatti – o segni – costituiscono un dono dello Spirito alla nostra epoca: erano cioè parzialmente o anche totalmente sconosciuti alle generazioni che ci hanno preceduto. Essi dunque ci invitano a leggere con gratitudine il tempo che ci è stato donato: che non presenta soltanto prove peculiari per la fede, ma gode anche di particolari doni – e dunque di particolari risorse.

Tra questi doni c’è sicuramente la testimonianza del perdono agli uccisori dei parenti. Le famiglie cristiane che affermano di perdonare gli uccisori dei loro parenti – di portata epocale fu il perdono dei Bachelet (1980) – rendono comprensibile il miracolo del perdono. Ultimamente su questa frontiera abbiamo conosciuto Carlo Castagna: il “papà Castagna” di Erba, marito padre e nonno di tre delle quattro vittime di quella strage, che afferma l’intenzione di perdonare appena apprende il fatto e la conferma quando vengono arrestati i colpevoli. Ultimissimamente – intorno a Ferragosto – i giornali hanno narrato la vicenda di Carolina Porcaro (di Sovico, Monza) che ha dichiarato il proprio perdono all’uccisore del figlio diciottenne.

Indicherei poi – come un segno dell’epoca – il recupero di una liturgia del morire cristiano: con riferimento a tutti i cristiani che lasciano questo mondo parlando ai parenti e agli amici della speranza nella risurrezione. Io la chiamo “Celebrazione ecclesiale della propria morte e il primo riferimento è al vescovo Filippo Franceschi di Padova che più di vent’anni addietro volle l’unzione degli infermi in cattedrale, il giovedì santo, dai suoi preti.

Segno dell’epoca sono anche i “martiri della giustizia”: i Taliercio e i Borsellino, i Livatino e i Bachelet, i Tobagi e i Ruffilli, ma anche Dalla Chiesa e Moro. Non è attraverso il sangue di quei martiri dalla vita ordinaria e attraverso le parole dei loro familiari che la testimonianza viva della fede ha incrociato l’epoca?

Tra i malati di Aids che vivono storie di conversione, citerò il modenese Paolo Caccone, che muore “monaco di Monteveglio” ed Enrico Baragli, milanese, non battezzato, che in ospedale legge il Vangelo e chiede il battesimo. Sono due vicende degli anni novanta del secolo scorso e sanno di santità ordinaria, perché Caccone è attirato alla fede dall’esempio di un monaco incontrato in ospedale e Baragli dalla dedizione di una suora ospedaliera, che si prende cura di lui.

L’adozione o l’affido di bimbi focomelici (senza braccia e gambe), cerebrolesi, sieropositivi sono fatti frequenti nelle nostre comunità. E sono di certo gesti di santità. “Avvenire”, “Famiglia cristiana”, il settimanale “Vita” e altri periodici pubblicano rubriche che segnalano i bimbi che attendono d’essere accolti e danno insieme notizia di quelli che hanno trovato una famiglia. L’accettazione del figlio menomato, o la scelta del bambino menomato per l’adozione è un dono del cielo, nuovo rispetto al passato, quando c’era molto minore disponibilità ad accogliere questi infelici.

Anche la reazione all’handicap e la battaglia a favore di altri portatori di handicap è un dono di oggi.

Abbiamo fatto qualche nome famoso, ma l’attenzione dovrebbe andare soprattutto ai santi che restano sconosciuti anche a se stessi. Dovremmo imparare a individuarli, a scoprirli e a segnalarli. A narrarli nel linguaggio fattuale dell’epoca.

La novità evangelica segnalata da questi fatti del vissuto cristiano può aiutarci a elaborare il giusto linguaggio con cui proporre il Vangelo all’uomo d’oggi.

 

Che cosa converte a Cristo l’uomo contemporaneo

Sulla base delle storie di cui dicevo nella precedente conversazione provo ad abbozzare un’applicazione critica della pedagogia testimoniale all’attuale linguaggio ecclesiale, partendo dalla domanda su che cosa converta l’uomo d’oggi.

Come risposta sintetica dirò: convertono il Vangelo e i fatti di Vangelo. Cioè la parola di Gesù attestata nei Vangeli e la vita dei cristiani ispirata a quella parola.

Baso la mia affermazione – oltre che sulle mie inchieste riguardanti il vissuto evangelico, di cui ho parlato nella prima conversazione – su due piccoli studi recenti che ho condotto per la rivista “Communio” sulle conversioni a Cristo nell’Italia di oggi, per un numero monografico sulla Chiesa (1/2011) e per la rivista “Il Regno” (12/2011) sulle conversioni attirate dalla santità diffusiva di Giovanni Paolo II.

Senza entrare nel dettaglio, dirò che vi sono attestazioni di chi (brigatista o bandito: da Cavallina a Cavallero) si dice convertito dalle parole di Gesù sul perdono, o dal perdono ricevuto in carcere dai familiari delle vittime; e di chi dalle parole beati i poveri” o dal soccorso avuto dai cristiani nel momento del più forte abbandono (morenti di Aids, per esempio).

Nessuno dice di essere stato convertito dalla lettura di un’enciclica di Giovanni Paolo II ma molti fanno riferimento alle parole evangeliche e ai gesti a esse ispirati che sono venuti da lui: ha perdonato l’attentatore, ha chiesto perdono per le colpe dei cristiani, ha abbracciato malati di Aids e prostitute, ha predicato fino ai confini della terra, ha rivolto moniti ai mafiosi, ha dato attestazione di perseveranza nella malattia, ha affrontato la morte a viso aperto.

Da tali considerazioni io credo si possano trarre insegnamenti per l’azione e la predicazione ecclesiali. Indico tre possibili spinte, o input che se ne possono cavare:

  1. a una proposta più evangelica e meno dottrinale [faccio due esempi: – ogni volta che siamo incerti su che cosa proporre ai giovani, ma anche agli adulti, scegliamo il Vangelo, più e prima che ogni possibile testo magisteriale; – di rientro dalla Giornata mondiale della Gioventù di Madrid, una ragazza da me intervistata dichiara di non ricordare nulla della predicazione papale né delle catechesi ascoltate, tranne il racconto di un “vescovo albanese” riguardo alla propria conversione, avvenuta in un’esperienza di incontro con il mondo dei disabili];
  2. a una più vigile presa in considerazione del vissuto cristiano come luogo teologico [faccio l’esempio dell’accettazione cristiana della morte da vivere ad occhi aperti e non intubati e sedati, che oggi è scelta frequentissima e grande testimonianza evangelica, mentre sulla scena pubblica i cristiani passano oggi per quelli che vorrebbero il prolungamento della vita fisica fino ai limiti estremi della sopravvivenza garantita dalla tecnologia medica, che vuol dire appunto morire intubati e sedati, non consapevoli, staccati da ogni umana relazione];
  3. per un superamento del perbenismo ecclesiastico e del perfettismo canonistico [ci sono riviste alle quali collaboro che rifiutano i miei articoli narranti conversioni di prostitute e di malati di Aids perché “scandalizzano i nostri lettori”: con tale atteggiamento dai Vangeli sarebbero state espunte le storie del buon ladrone, della peccatrice che unge i piedi di Gesù, degli indemoniati e di Zaccheo; quando l’abbè Pierre confessò di essersi – in gioventù – innamorato di una donna ci fu un coro di deplorazione ecclesiastica: come se innamorarsi e non cedere alla tentazione dell’abbandono del sacerdozio fosse infamante per un prete]

Concludo riallacciandomi alla relazione di don Gianni Colzani, che invitava a non aver timore delle novità “perché Dio è novità radicale”. In un tempo di grandi mutazioni culturali e antropologiche dobbiamo riscoprire la capacità di avvertire le novità divine, i nuovi segni dell’amore di Dio che vengono inviati alla nostra epoca. Accanto alla santità canonica c’è una santità donata dallo Spirito che ci segnala le vie da percorrere per proporre il Vangelo ai nostri contemporanei.

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