Lollò Cartisano e il carceriere che chiede perdono alla famiglia

Sono uno dei carcerieri di vostro marito io sono di fronte a Dio pentito devo dire una cosa importante per la mia coscienza mi sono pentito della mia azione ho fatto voto con Dio dopo della mia salute [dopo che la mia salute se n’è andata] ho capito tante cose della vita e capisco la vostra sofferenza quindi non riesco a tenermi questo peso voglio che almeno potete avere le ossa di vostro marito”: è l’attacco di una lettera che uno dei carcerieri di Lollò Cartisano – fotografo di Bovalino, sequestrato il 22 luglio 1993 e mai più ritrovato – scrive alla vedova del rapito per chiedere perdono e indicare il luogo della sepoltura. Non ne conosciamo l’autore, dalla lettera si comprende che era malato, forse morente, e invocava il perdono di Dio e degli uomini. La sua lettera è un documento della pietà cristiana ai nostri giorni: come essa possa risvegliarsi nel cuore di un fuorilegge e dare un segno di sé anche a chi quel fuorilegge ha colpito a morte.

Quella lettera andrebbe letta nel dialetto dell’Aspromonte in cui fu scritta a macchina, con tante cancellature ed errori di battitura, senza segni di interpunzione, da qualcuno che non sapeva scrivere a macchina e non sapeva l’italiano: “Sono unu ricarcereri i vostru maritu io sono difronte a diu pentitu ra me azzioni o votato con diu…”. La riporto tradotta, mettendo tra parentesi quadre alcune note interpretative.

Dopo il brano riportato sopra, la lettera così continua: “Questi  giorni sono andato nel posto a vedere il punto preciso dov’era ed ho scavato  in quel punto preciso e ho trovato le ossa di vostro marito ed ho preso un osso per essere più sicuro e ho graffiato [fatto un segno] sopra una pietra e l’ho messa al posto dov’era voglio da voi una promessa che mi mandate un messaggio sul giornale che mi avete perdonato anche per come abbiamo trattato voi signora che una cosa ingiusta Dio solo può sapere del mio pentimento volevo anche dirvi che io sto rischiando assai perché sto facendo di testa mia voglio dirvi però che non abbiamo fatto del male a vostro marito tutto ad un tratto ci è morto non per colpa nostra ma fu una disgrazia avevamo paura e l’abbiamo lasciato con poca terra di sopra dopo poco tempo siamo andati lì vicino e l’abbiamo sotterrato per bene e allora vi dico dove si trova dovete salire da  Natile vecchio [paesino alle pendici dell’Aspromonte, nell’entroterra reggino] andate a  Pietra Cappa [Comune di Sal Luca, capoluogo della ‘ndrangheta] scendendo verso il mare percorrete 300 metri circa dovete seguire [una] striscia [di terreno] e dovete arrivare ad acqua dabatu [una località?] e dovete arrivare ad una scaletta che attraversa la striscia e vedrete una busta di plastica attaccata là vicino ad un filo di ferro spinato arrivato là vi dovete affacciare  come per guardare i rocchi di san pietro [una località?]  vedrete che ci sono illici e broeri [lecci e brughiera] voi dovete proseguire illici illici e broeri  tagliati con l’ascia fino ad arrivare ad un ramo di broera secca messa là tra due lati [riparata] da viti e vedrete là vicino pietre tra cui una  grossa pietra che è coperta di muschio là sotto ci sono le ossa di vostro marito io però vi supplico di perdonarmi quando vi vedo a Bovalino ne voi ne i vostri figli oso guardarvi in faccia e vi dico di perdonarmi”.

Seguendo le istruzioni del pentito l’ispettore di Polizia Raffaele La Bella trova le ossa di Lollò il 25 giugno 2003: «Ero in ginocchio per terra. Scavavo con le mani. Non avevo altro. Poi, improvvisamente, sento che la terra diventa più morbida. Capisco che ci siamo. Ed ecco comparire un osso. Avevo trovato il corpo di Lollò Cartisano. Ero già in ginocchio e allora mi sono fatto il segno della Croce e ho pregato».

Un mese dopo, il 23 luglio, alcuni quotidiani – tra i quali Avvenire – pubblicano una lettera di risposta di Deborah Cartisano intitolata Carceriere di mio padre vorrei perdonarti:

Cameriere di mio padre, io vorrei incontrarti (…). Tu ci chiedi perdono, davanti a Dio e davanti agli uomini. Non ci è stato restituito nostro padre vivo, ma ora tu ci restituisci, insieme con le sue povere ossa, una certezza nuova: quella che la sua vita non è stata immolata invano. La sua vita, unita a questi dieci interminabili anni del nostro patire, è stata offerta perché nel cuore stesso di un carceriere di ‘ndrangheta potesse nascere questa sete di perdono. Il coraggio di chiedere perdono. Questo coraggio comporta una vera forza di conversione, per condurre a un reale cambiamento di vita, che porta ad assumersi le proprie responsabilità di fronte a Dio e di fronte alla legge. Questo coraggio ti permetterà di poter guardare negli occhi i tuoi figli, di liberarli dal giogo della affiliazione mafiosa. E non dovranno più vergognarsi per te. Mi piace pensare che mio padre, prima di morire abbia parlato con te, che le sue parole siano penetrate in profondità nella tua anima, che durante questi dieci anni abbiano maturato intimamente la tua capacità – oggi – di chiedere perdono (…). lo prego Dio intensamente di riuscire a perdonarti dal profondo del cuore. So che la forza del perdono è la sola che può produrre conversione. Voglio arrivare a dire: Sì, io ti perdono, ed è per me anche una sofferta, intensa consolazione il riuscire a perdonare”.

La lettera del carceriere non è stata mai pubblicata per intero. Io ne ho avuto una fotocopia dalla famiglia Cartisano tramite il collega Antonio Maria Mira. Mi ha aiutato a tradurla Pasquale Vilardi, reggino doc. La lettera di Deborah la si può leggere qui, introdotta da una riflessione del vescovo Giancarlo Bregantini. Le parole dell’ispettore La Bella le ho prese da Avvenire del 24 luglio 2011.

Commento

  1. […] “Sono unu ricarcereri i vostru maritu io sono difronte a diu pentitu ra me azzioni o votato con diu…”: “Sono uno dei carcerieri di vostro marito io sono di fronte a Dio pentito devo dire una cosa importante per la mia coscienza mi sono pentito della mia azione ho fatto voto con Dio dopo della mia salute [dopo che la mia salute se n’è andata] ho capito tante cose della vita e capisco la vostra sofferenza quindi non riesco a tenermi questo peso voglio che almeno potete avere le ossa di vostro marito”: è l’attacco di una lettera che uno dei carcerieri di Lollò Cartisano – fotografo di Bovalino, sequestrato il 22 luglio 1993 e mai più ritrovato – scrive alla vedova del rapito, dieci anni dopo il fatto, per chiedere perdono e indicare il luogo della sepoltura. La vicenda era nota ma la lettera del “carceriere” non era stata mai pubblicata, la driporto intera, in traduzione italiana, nel capitolo 14. Dalla droga dall’Aids dalla strada e da ogni male della pagina erco fatti di Vangelo elencata sotto la mia foto: Lollò Cartisano e il carceriere che chiede perdono alla famiglia. […]

    30 Settembre, 2011 - 8:04

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