Giuseppe Pidatella: Il boss in carcere che chiede la Cresima

Sull’Avvenire dell’11 febbraio 2000 è apparsa notizia: “Agguato a Catania. Ucciso boss libero da 20 giorni” (a pag. 7 su quattro colonne). Viene indicato come esponente di spicco di una cosca mafiosa e, per questo, condannato nel 1996 a cinque anni.

Si tratta di Giuseppe Pidatella che io ho conosciuto in carcere e posso dire semplicemente che si era convertito e aveva il proposito di cambiare vita. Non voleva più entrare e avere contatti con certi ambienti.

Più volte si é confessato e comunicato nella Casa Circondariale di Velletri e, dopo conveniente preparazione, ho avuto la gioia di cresimarlo l’estate scorsa. Fu padrino di cresima un bravo volontario, focolarino, al posto di un parente che non poté venire dalla Sicilia.

Il cappellano del carcere che lo conobbe a fondo assicura che Giuseppe non aveva commesso le cose di cui veniva accusato da un “pentito”. Durante la detenzione lavorava come pittore per aiutare la famiglia povera: moglie e tre figli. Era diventato una persona seria e praticante.

Prima di tornare in libertà, lo scorso mese, aveva chiesto di essere benedetto. Per lui e per i suoi cari ho pregato e celebrato.

Ho voluto rendere questa testimonianza in omaggio ad una verità più alta. Ricordo che nella Bibbia si legge: “L’uomo vede in faccia, Dio invece nel cuore”. Andrea Maria Erba, vescovo di Velletri-Segni

 

Questa dichiarazione del vescovo Erba – in pensione dal 2006 – fu pubblicata dall’Avvenire del 15 febbraio 2000 a pagina 9 con il titolo Il vescovo: “Il boss ucciso aveva cambiato vita”. All’indomani di quell’uccisione gli addetti ai lavori si chiedevano perché mai Pidatella, un boss di secondo piano, fosse stato ucciso: si può immaginare che sia stato per quella sua scelta di non volere più “contatti” con certi ambienti. Apprezzo la decisione del vescovo di compiere questo atto di riconoscimento ecclesiale di una conversione forse pagata con la vita.

 

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