Fulvia Miglietta “Una sera dalla cella vidi un a croce illuminata”

 

Fulvia Miglietta fa parte della Colonna genovese delle Brigate Rosse ed entra in clandestinità nel 1976. Nel 1980, dopo la morte del fidanzato in uno scontro con la polizia, chiede di uscire dall’organizzazione e viene condannata a morte dalle stesse BR. Arrestata e rinchiusa nel super carcere di Voghera, vive una stagione disperata che così descrive in un’intervista:

 

Dentro di me c’era un grido che non  riusciva a venire fuori e che mi creava una tale angoscia da pensare di farmi del male. Giorno e notte  pensavo al suicidio. Finché successe qualcosa, in modo tanto forte quanto inatteso. Una sera, guardando dalle sbarre della cella, vidi in lontananza una croce illuminata, sopra la cupola di  una Chiesa. Mi rivolsi a quella croce e chiesi aiuto: un aiuto silenzioso, fatto senza alcuna vera intenzione di preghiera. Subito l’angoscia che mi schiacciava come un macigno si dissolse come neve al sole, e un mare di pace entrò nel mio cuore. Stupita e commossa, riconobbi in quel dono la presenza di Dio, perché nessun aiuto umano poteva dare una pace così immediata e profonda da cancellare il peso che mi portavo dentro. Lo stupore era così grande da provare solo gratitudine.  Il giorno successivo chiesi al cappellano del carcere di poter avere una Bibbia e cominciai a leggerla. Sin dalle prime pagine mi accorgevo che la Parola di Dio incredibilmente mi ridonava un’identità, mi aiutava a ritrovare me stessa. La mia personalità ridotta in pezzi tornava a ricomporsi. Oggi capisco che era l’azione meravigliosa dello Spirito Santo che mi faceva  risorgere. La gioia e la pace che provavo erano profonde, ma la mia condizione era molto pesante. Vivevo tra la pressione che ricevevo dai giudici e il timore di essere rimandata tra le compagne che mi volevano uccidere. In quei giorni, una di noi era stata strangolata durante l’ora d’aria e si trovava in coma. Piangevo per lei e pregavo che il Signore la salvasse (…). La gratuità dell’amore e del perdono di Dio: è questo che ha sconvolto la mia vita. Non c’è male, per quanto grande, che non possa guarire. Non c’è condizione dalla quale Gesù non ci possa tirare fuori.  Questa è stata la mia esperienza e, per certi versi, continua a esserlo perché la conversione è un tempo che dura tutta la vita.

 

Nel corso di quella stessa intervista Fulvia cita e applica alla propria drammatica vicenda un detto dello Pseudo Macario, un antico padre della Chiesa, che suona così: “Il principe del male, che è una tenebra spirituale di malizia e di morte e un vento misterioso e selvaggio, agita l’intera specie umana sulla terra, la trascina qua e là con pensieri di inquietudine».  «Vi ho colto – dice Fulvia, che oggi fa la catechista nella sua parrocchia genovese – una profonda verità, che mi ha riportato alla memoria il tormento che vivevo prima della conversione».

 

Ho preso le parole di Fulvia Miglietta dalla rivista dell’Azione Cattolica “Segno nel mondo”, 1.6. 2007, dove si trova l’intervista condotta da Ernesto Diaco. Qui si può leggere intera: http://segnoweb.azionecattolica.it/sites/default/files/Segno_Pag42-45n6-2007.pdf

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