Il laico nella chiesa e nella società umana alla luce della Lumen Gentium e del successivo magistero

Seminario della sezione di Roma di Città dell’Uomo

Via Martino V 28 – Roma – venerdì 5 marzo 2010 – ore 19.00

Svolgerò la mia conversazione in due parti: una facendo riferimento alle fonti per indicare lo status quaestionis e un’altra di mia personale valutazione del punto a cui siamo a quasi mezzo secolo dal Vaticano II.

 

Prima parte: riferimento alle fonti

 

Faremo riferimento a quattro fonti principali:

 

– la Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, approvata dal Vaticano II il 21 novembre 1964 – e in particolare il capitolo quarto intitolato De laicis, I laici;

– il decreto sull’apostolato dei laici Aposolica Actuositatem approvato dal Vaticano II il 18 novembre 1965;

– il Codice di diritto canonico promulgato da Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983;

– l’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Christifideles laici del 30 dicembre 1988.

 

Costituiti popolo di Dio

Eccoci dunque al paragrafo 31 del capitolo IV della Lumen Gentium:

Col nome di laici si intende qui l’insieme dei cristiani a esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso sancito nella Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col battesimo e costituiti popolo di Dio e, nella loro misura, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano. Il carattere secolare è proprio e peculiare dei laici (…). Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio.

Mai il magistero aveva definito con tanta chiarezza la collocazione ecclesiologica dei cristiani comuni. Questo testo va inquadrato nell’insieme della Costituzione dogmatica sulla Chiesa, dove risalta la particolare importanza del secondo capitolo che qualifica la Chiesa come Popolo di Dio – comprendente tutti – prima di passare a trattare delle singole componenti (gerarchia al capitolo 3, laici al 4, religiosi al 5) e conseguente rilevanza della condizione base dell’appartenenza attraverso il battesimo, prima di ogni distinzione.

 

Uguaglianza riguardo alla dignità

Come secondo testo propongo il paragrafo 32 della stessa Lumen Gentium:

La santa Chiesa è, per divina istituzione, organizzata e diretta con mirabile varietà. «A quel modo, infatti, che in uno stesso corpo abbiamo molte membra, e le membra non hanno tutte le stessa funzione, così tutti insieme formiamo un solo corpo in Cristo, e individualmente siano membri gli uni degli altri » (Rm 12,4-5). Non c’è quindi che un popolo di Dio scelto da lui: «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo » (Ef 4,5); comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia di adozione filiale, comune la vocazione alla perfezione; non c’è che una sola salvezza, una sola speranza e una carità senza divisioni. Nessuna ineguaglianza quindi in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla stirpe o nazione, alla condizione sociale o al sesso, poiché «non c’è né Giudeo né Gentile, non c’è né schiavo né libero, non c’è né uomo né donna: tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28 gr.; cfr. Col 3,11). Se quindi nella Chiesa non tutti camminano per la stessa via, tutti però sono chiamati alla santità e hanno ricevuto a titolo uguale la fede che introduce nella giustizia di Dio (cfr. 2 Pt 1,1). Quantunque alcuni per volontà di Cristo siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo.

L’insegnamento di questa pagina conciliare lo possiamo riassumere così: la diversità funzionale (altra è la funzione del single, altra quella del padre di famiglia, altra quella del sacerdote…) non può vanificare la “pari dignità”.

Venendo la nostra Chiesa da un lungo periodo storico che accentuò la diversità, oggi siamo chiamati a rimettere in onore la pari dignità: sarebbe dunque ragionevole attendersi il maggiore impegno, da parte di tutti, su questo fronte.

Un criterio minimo cui attenersi, in questo delicato cammino: affermare la pari dignità non vuol dire introdurre la democrazia nella costituzione della Chiesa (con l’applicazione del principio di maggioranza alle decisioni comunitarie), ma non può neanche ridursi a un ornamento verbale.

 

Christifideles – Christifideles laici – laici

Il terzo testo lo prendo dal Codice di diritto canonico del 1983:

LIBRO II – IL POPOLO DI DIO – PARTE PRIMA – I FEDELI (Cann. 204 – 207) – Can. 204 – §1. I fedeli [Christifideles nel testo latino] sono coloro che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò resi partecipi nel modo loro proprio dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, sono chiamati ad attuare, secondo la condizione propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo.

Un primo punto importante è linguistico: con il Codice del 1983 si introduce una novità di linguaggio forse irreversibile, ma che fino a oggi stenta ad affermarsi: i laici – che nel codice del 1917 erano detti “laici” e nel Concilio erano detti “Christifideles laici” – ora sono detti semplicemente “Christifideles”, cioè “cristiani”, anche senza l’aggettivo “laici” che non mancava mai nei testi del Vaticano II.

Dire “laici” è una qualifica in negativo, come dire “non ordinati”, o “non sposati”. “Christifideles” invece è una qualifica in positivo: indica che questi “fideles” sono portatori della missione della Chiesa e sottolinea l’uguaglianza fondamentale di tutti i battezzati. Giovanni Paolo II aveva preso l’abitudine – dopo il Sinodo del 1987 sulla “vocazione e missione dei fedeli laici nella Chiesa e nel mondo” – di fare una pausa e di aggiungere lo specificativo “christifideles” quando leggeva discorsi che contenevano la parola “laici”.

Per l’importanza di questa innovazione vedi Francesco Coccopalmerio, Il laico dal Concilio al Codice, Il Regno attualità 4/1987, pp. 105-108.

 

Ruoli dei “christifideles” nei sinodi e nei concili

Eccoci a un quarto testo, ancora appartenente al Codice del 1983, che stabilisce che i christifideles laici possono essere membri dei sinodi diocesani e possono esservi anche in maggioranza, a discrezione del vescovo:

Can. 463 – §1. Al sinodo diocesano devono essere chiamati in qualità di membri e sono tenuti all’obbligo di parteciparvi: 1) il Vescovo cpadiutore e i Vescovi ausiliari; 2) i Vicari generali e i Vicari episcopali, nonché il Vicario giudiziale; 3) i canonici della chiesa cattedrale; 4) i membri del consiglio presbiterale; 5) i fedeli laici [christifideles laici], anche membri di istituti di vita consacrata, eletti dal consiglio pastorale nel modo e nel numero da determinarsi dal Vescovo diocesano, oppure, dove tale consiglio non esiste, secondo i criteri determinati dal Vescovo diocesano; 6) il rettore del seminario maggiore diocesano; 7) i vicari foranei; 8) almeno un presbitero eletto in ciascun vicariato foraneo da tutti coloro che ivi hanno cura d’anime; inoltre deve essere eletto un altro presbitero che lo sostituisca se il primo è impedito; 9) alcuni Superiori degli istituti religiosi e delle società di vita apostolica che hanno la casa nella diocesi, i quali devono essere eletti nel numero e nel modo determinati dal Vescovo diocesano.

Ai “concili particolari” invece possono essere ammessi solo con voto consultivo e “in modo che il loro numero non superi la metà” dei membri con diritto di voto “anche presbiteri e altri fedeli” [etiam presbyteri aliique christifideles] (canone 443).

 

Indole secolare dei christifideles e sua “portata teologica”

Il quinto testo appartiene al paragrafo 15 dell’esortazione apostolica Christifideles laici (1988):

La novità cristiana è il fondamento e il titolo dell’eguaglianza di tutti i battezzati in Cristo, di tutti i membri del Popolo di Dio: «comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione, una sola salvezza, una sola speranza e indivisa carità» (Lumen Gentium 32). In forza della comune dignità battesimale il fedele laico è corresponsabile, insieme con i ministri ordinati e con i religiosi e le religiose, della missione della Chiesa. Ma la comune dignità battesimale assume nel fedele laico una modalità che lo distingue, senza però separarlo, dal presbitero, dal religioso e dalla religiosa. Il Concilio Vaticano II ha indicato questa modalità nell’indole secolare: «L’indole secolare è propria e peculiare dei laici» (Lumen Gentium 31). Proprio per cogliere in modo completo, adeguato e specifico la condizione ecclesiale del fedele laico è necessario approfondire la portata teologica dell’indole secolare alla luce del disegno salvifico di Dio e del mistero della Chiesa.

La “Christifideles laici” ha il merito di aver indicato questa nuova frontiera della secolarità alla riflessione teologica ed ecclesiologica.

 

 

Seconda parte: mia riflessione

 

A che punto siamo

Semplificando, oso dire che il cammino indicato dal Concilio al momento risulta appena avviato. Credo che questa affermazione potrebbe valere per i vari aspetti della questione laicale e del ruolo della famiglia nella Chiesa. Abbozzo un’occhiata a quattro di essi.

 

Laici in ruoli di responsabilità e rappresentanza

Qualcosa si è fatto, ma si dovrebbe fare molto di più e parecchio si potrebbe fare subito, anche senza riforme. Per esempio con l’assegnazione ai laici di ruoli di responsabilità nella Curia romana, nelle diocesi, nelle parrocchie, nelle famiglie religiose.

Vi sono state due delegazioni vaticane presiedute da donne: alle Conferenze dell’Onu sulla popolazione, Cairo 1994 e sulla donna, Pechino 1995. Furono decisioni prese sulla spinta e in risposta a polemiche del momento. Ma incarichi simili potrebbero divenire abituali.

Lo Statuto (1990) dell’Opera di Maria (Movimento dei Focolari) prevede che “presidente” sia sempre una donna e ciò è stato stabilito per decisione personale di Giovanni Paolo II in accoglienza a un “desiderio” di Chiara Lubich.

Sia nel caso delle delegazioni, sia in quello dell’Opera si è dunque accettato che delle donne laiche avessero preminenza su uomini ed ecclesiastici, cosa che il diritto comune fino ad allora escludeva. Ma preclusioni del genere sono restate negli statuti e nelle regole delle famiglie religiose, per quanto riguarda per esempio la possibilità che i “fratelli laici” abbiano le responsabilità più alte. E vengono fatte valere abitualmente nell’organizzazione della Curia: “Un laico al di sopra di un vescovo? Non è accettabile!” Generalmente i laici si vedono attribuiti ruoli di responsabilità solo in organismi minori e non sono andati mai oltre il ruolo di sottosegretario.

Qui si può individuare una violazione della pari dignità, ogni volta che non sia in questione il sacerdozio. Benedetto XVI ha nominato nel 2005 “organizzatore dei viaggi papali” il laico Alberto Gasbarri, facendo osservare – nella lettera di nomina firmata dal cardinale Sodano – che quella decisione era stata presa in considerazione della “particolare natura dell’ufficio”: dove cioè nulla dice che sia necessario il sacerdote. Per quanti uffici vaticani non potrebbe valere questo criterio, ogni volta che non sono in questione il magistero e la giurisdizione? Forse per tutti, fatte salve magari le Congregazioni e i tribunali.

 

Prassi ecclesiale ordinaria, ministeri istituiti, processi decisionali

Qui si fa di più, specie “di fatto”. Valga l’esempio dei “ministeri”, a partire da quello “straordinario dell’Eucarestia”.

Ma non sempre ciò che si fa “di fatto” è stato recepito come “norma”: di fatto le donne fanno le lettrici nella liturgia e servono all’altare, ma i documenti sui “ministeri” le escludono dal lettorato e dall’accolitato. Anche queste – a mio parere – sono esclusioni che ledono la pari dignità.

Leggono anche nella liturgia papale, a partire dal primo viaggio di Giovanni Paolo II negli Usa, che è del 1979: diamo tempo al tempo e il “lettorato” verrà loro riconosciuto anche nei documenti magisteriali. Giovanni Paolo II ha autorizzato degli ampliamenti normativi occasionali per senso personale di libertà, ma non aveva sensibilità giuridica e non ha voluto fare riforme. Speriamo che il successore normi almeno ciò che egli autorizzò nella pratica.

Vi sono i due settori della “predicazione” e della “partecipazione ai processi decisionali” dove molto si è sperimentato ma poco si è concluso. Forse è da prevedere anche qui una crescita dell’esperienza prima che vengano riviste le norme, che vietano la predicazione ai laici e hanno inserito i laici negli organismi decisionali quasi esclusivamente come “uditori”.

Nella mia attività di conferenziere sono capitato in molte diocesi e parrocchie dove tutta l’iniziativa alla quale venivo chiamato era gestita da laici, con piena facoltà di ideazione, decisione ed esecuzione. Il parroco e – alle volte – il vescovo erano presenti come uno tra gli altri e neanche chiedevano di prendere la parola. Questa realtà è in crescita ovunque ed è confortante. Non dobbiamo perderla d’occhio, mentre ci poniamo obiettivi più alti.

 

Riconoscimento della santità laicale e degli sposati

Con la canonizzazione di Gianna Beretta Molla (2004) abbiamo avuto la prima santa sposata dell’epoca moderna. C’erano già una ventina di beati sposati, uomini e donne, quasi tutti proclamati da Giovanni Paolo II, ma non c’erano santi, se si esclude Tommaso Moro, proclamato santo da Pio XI nel 1935 con il titolo di “martire”: la sua è una bellissima figura di santo sposato, ma la sua santità non sarebbe stata riconosciuta “allora” se non ci fosse stato il martirio!

Con la beatificazione dei coniugi Maria e Luigi Beltrame Quattrocchi (2001) abbiamo avuto anche i primi coniugi proclamati in coppia. Questi e altri importanti riconoscimenti della santità laicale e familiare li abbiamo avuti dal papa polacco, come un dono che dobbiamo alla sua sensibilità per la testimonianza della santità.

Santi sposati c’erano nella Chiesa antica e in quella medievale, ma non c’erano più in quella moderna, dalla nascita della “Congregazione delle cause dei santi” a Giovanni Paolo II: qui è evidente l’influenza decisiva del Vaticano II. Come abbiamo letto sopra, il Concilio ha affermato la “comune vocazione alla perfezione” tra i battezzati. A questo proposito, oltre il capitolo 4 della Lumen Gentium, che abbiamo citato, andrebbe letto il capitolo 5, che è intitolato: Universale vocazione alla santità nella Chiesa.

 

Valorizzazione dei laici nella costruzione della società

Sarebbe il più ampio tra i nostri sottotemi e anche quello da cui potrebbe venire la segnalazione dei maggiori conflitti.

Ognuno vede il grande ruolo che hanno assunto i laici e le coppie – comprese le coppie con figli – nella vita della Chiesa, nelle attività di carità, catechetiche e missionarie. E’ evidente l’influenza che nell’assunzione di questo ruolo hanno avuto gli insegnamenti conciliari.

Girando negli ambienti di Chiesa siamo ogni giorno sorpresi dal gran numero di famiglie che si fanno carico dell’accoglienza di ogni sorta di bisognosi, o che partono per la missione alle genti. A questa “maturità ecclesiale” che ci appare pienamente riconosciuta non si accompagna un analogo riconoscimento della maturità ad extra, cioè verso l’esterno, verso il mondo.

Ancora molto serrata – almeno in Italia – è la tutela che il mondo ecclesiastico esercita sull’impegno sociale e politico dei laici cristiani. Ancora insufficiente è il riconoscimento di quella “giusta libertà che a tutti compete nella città terrestre” (Lumen Gentium 37).

Continuamente ci troviamo di fronte a indicazioni episcopali riguardanti decisioni governative, leggi, elezioni, referendum. Questa sarebbe materia specifica del laicato. In questo campo c’è forse un difetto nostro, dei laici e uno speculare degli ecclesiastici:

–         noi dovremmo essere più propositivi, meno timidi, più capaci di concertazione tra noi ogni volta che la politica tocca i convincimenti cristiani;

–         i pastori probabilmente dovrebbero fare un passo indietro e limitarsi a ricordare la meta a cui tendere (poniamo: la difesa della vita), senza assumersi responsabilità riguardo ai mezzi con cui arrivarvi (con questa o quella legge, questo o quel modo di partecipare al referendum).

Sono forse tre i passi indietro che noi laici ci aspetteremmo dal clero, in applicazione al Vaticano II e ai quali dovrebbero accompagnarsi altrettanti nostri passi avanti:

–         questo riguardante la politica,

–         l’altro trattato sopra riguardo ai ruoli ecclesiali che non implicano il sacerdozio e la giurisdizione,

–         un terzo – cui non abbiamo accennato – relativo alla predicazione in materia di vita sessuale e familiare. Anch’essa, come la costruzione della città terrena, va recuperata alla responsabilità laicale.

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