I giornalisti in un bordello. Disavventure dei viaggi papali

Giornalisti alloggiati in un bordello e altre disavventure dei viaggi papali
Il viaggio in Brasile di Benedetto XVI (9-14 maggio) mi ha portato – insieme agli altri giornalisti del volo papale – in uno strano alloggio nel mezzo di un villaggio turistico denominato “Hotel Club Dos 500”, a Guaratinguetà, 180 chilometri da San Paolo. Tra piscine e campi da golf, eravamo ospitati in casermette modestissime a un piano con stanze allineate lungo un corridoio, due letti e il fornelletto per le zanzare. Eravamo per di più a 15 chilometri dal luogo degli eventi, ma gli organizzatori rispondevano che a Guarantinguetà e Aparecida (seconda e terza tappa del viaggio del papa) non c’era niente di meglio.
Quel villaggio turistico mi ha ricordato le decine di insolite ospitalità che mi sono capitate in 90 viaggi papali nel mondo, 85 con Wojtyla e 5 con Ratzinger. La palma della stranezza va alla tappa di Porto Alegre in occasione del primo viaggio di Giovanni Paolo in Brasile, quando finiamo – il venerdì 4 luglio 1980 – in un bordello per camionisti.

Organizzatore della trasferta era l’arcivescovo Marcinkus
Il bus che ci preleva all’aeroporto ci lascia davanti a un ostello piccolo e tondo, in aperta campagna, provvisto di un gigantesco parcheggio da tir, configurato come una prigione circolare con le celle lungo la circonferenza e il gabbiotto del custode al centro. Ce ne andiamo alle stanze trascinando le valigie ma dopo cinque minuti siamo di nuovo tutti tra le tamerici del cortile a gridare inaudite proteste. “La mia camera si chiude solo da dentro” dice Paloma Gomez Borrero e Lamberto Furno: “Nella mia non c’è un tavolo per scrivere”. Valentina Alazraki: “Io ho solo luci rosse”. “Non c’è lo specchio per fare la barba” osserva Renzo Giacomelli. Io aggiungo che in compenso “ci sono spechi bassi lungo ogni parete all’altezza del letto: ma a che ti servono?” Mettiamo insieme i reclami e la verità splende su tutti: “Ci hanno portati in un bordello”.
Organizzatore dei viaggi era l’arcivescovo Paul Marcinkus ma non voglio dire che la responsabilità fosse sua: mi piace difendere gli indifendibili. La sistemazione dei giornalisti era subappaltata a un tale “signor Fales” – se ricordo la grafia del cognome – che asserì l’impossibilità di trovare tante camere in un albergo decente. Il collega tedesco Hansjakob Stehle (autore di una prestigiosa Die Ostpolitik des Vatikans, Piper editore 1975) minacciò di creare uno scandalo e portò un gruppo di irriducibili a uno Sheraton. Se ricordo bene l’organizzazione pagò lo Sheraton e a chi pernottò nel bordello fu restituita una quota di ciò che aveva pagato. Se ricordo bene mi divertii alle scene di quell’umana commedia.
A Czestochowa il 4 e 5 giugno del 1979 mi era toccata una stanza a due in una casa dello studente con letti a castello e un bagno per dieci nel corridoio. Il collega che doveva dormire con me era Sandro Viola, che aveva una macchina con autista e ripartì subito per il Victoria di Varsavia da cui venivamo. Quell’avventura mi ricorda la battuta di una bambina di amici che visitarono in quei tempi la Polonia e che rientrando in patria si sentirono implorare così: “Nei paesi poveri non ci andiamo più, vero?”
Mai avuto problemi a dividere la stanza con un collega. A Puebla nel febbraio del 1979 ho coabitato sportivamente per qualche giorno con Giancarlo Zizola (allora al Giorno) al Gilfer Hotel, in una camera da undici dollari a notte. C’eravamo trattenuti là, dopo la visita del papa, per seguire la Conferenza dell’episcopato latino-americano. Con noi erano restati sul posto per quasi un mese Rosino Gibellini e Maria Girardet, Gianfranco Svidercoschi e Tana De Zulueta, Gianni Licheri e Angelo Cicinelli, Juan Arias e Peter Nichols, Grazia Gaspari e Renzo Giacomelli, Silvano Stracca e Giovanni Spinoso, Carlo Napoli e Gregorio Donato, Angelo Gaiotti e Ugo d’Ascia, Angelo Montonati e Rocco Morabito.

Venti inviati a Puebla ma solo due ad Aparecida
Come sono cambiati i tempi: 28 anni dopo l’interesse dei nostri media per la Chiesa dell’America Latina è quasi ridotto a zero. Il papa che visita il Brasile è stato seguito come allora, ma alla Conferenza di Aparecida sono stati presenti due soli italiani: Annachiara Valle (Jesus) e Luigi Sandri (Confronti), contro la ventina che eravamo a Puebla. Avvenire ebbe due inviati a Puebla, uno a Sancto Domingo (Quarta Conferenza, 1992) e nessuno ad Aparecida. Nell’anno di Puebla il cardinale Ballestrero sostituì il cardinale Poma alla presidenza della Cei e noi vaticanisti scrivemmo una trentina di righe, mentre lungo l’ultimo anno sul passaggio da Ruini a Bagnasco abbiamo prodotto una trentina di pezzi a testa. Si direbbe che oggi non faccia notizia il dibattito interno alla Chiesa ma il suo conflitto con il mondo secolare. Possiamo considerarlo un vantaggio? Ho la testa rutilante di idee che tengo per me: forse le dirò quando saranno sfebbrate.
La più rumorosa tra le ribellioni di pelle alla condivisione della stanza la vidi in India, a Goa, il 5 febbraio del 1986. Ci avevano appaiati seguendo l’alfabeto e io mi ritrovai con Dante Alimenti che si sentì punto sull’onore: “Piuttosto dormo nella hall”. Passò buona parte della notte in cerca di un altro albergo e lo rividi trionfante la mattina sul bus per l’aeroporto: “Ho trovato un Hilton!”

Ricordo Del Rio con i capelli al vento
Ad Accra, in Ghana, l’8 e 9 maggio del 1980 fu riaperto per noi un albergo in disuso: il tanfo di chiuso ti avvolgeva in ogni ambiente e gli asciugamani sapevano di muffa. Un ramarro gigante dormiva avvinghiato alle tubature sopra la vasca da bagno. Ogni tanto andavo a vedere se si era mosso.
A Kisangani, nello Zaire, durante quello stesso giro, avevo passato del tempo a inseguire con uno spray insetticida animaletti a me invisibili che correvano al di sopra di un telo che rivestiva il soffitto. Kisangani resta l’unica località dalla quale nessuno riuscì a “mandare il pezzo” perché non c’erano telefoni.
A Suva, nelle Isole Figi, il 21 novembre del 1986 alloggiai in un albergo costruito in legno e pieno di piante e di fiori. Anche le strade erano erbose e gli stessi abitanti ornati di verzure in testa e ai fianchi, simili agli Ent di Tolkien.
A Port Louis, capitale delle Mauritius, a metà ottobre del 1989 avevamo già provato il villaggio turistico ma ben più sofisticato di quello della povera Guaratinguetà: ognuno di noi aveva avuto una casetta-capanno a due piani in riva al mare, con scala esterna e tutti i confort. Molti colleghi fecero il bagno ma io no meritandomi questo commento di uno dei figli che allora aveva otto anni: “Papà fa un bel mestiere ma non ne approfitta niente”. Di quelle poche ore ricordo Domenico Del Rio coi capelli al vento, inginocchiato sulla sabbia, che contrattava con i “vu cumprà” stoffe e collane.

La toccante povertà dell’isola di Flores
Il viaggio a Seoul-Indonesia-Mauritius ci aveva fatto sperimentare tre giorni prima l’alloggio più povero di tutte le trasferte a Maurere, nell’isola indonesiana di Flores, dove eravamo arrivati con un Hercules C 130 dell’aereonautica militare indonesiana e dove fummo sistemati in pensioni miserelle con lettuccio rigido, doccia fredda, un rubinetto senza lavandino, un pezzo di sapone e un asciugamano sul letto. Ma – finezza dell’ospitalità isolana – ognuno di noi aveva il nome sulla porta scritto in bella grafia. Due gechi, pallidi per il chiuso, si spostavano a scatti sul bordo della finestrella del bagno quando accendevo la luce. Fuori si sentivano galline e galli, dentro le grida dei colleghi prive di simpatia per l’universo. “Passerò la notte in poltrona” diceva Tullio Meli guardando il letto. Al mattino mia felicità di trovare un uovo sodo accanto alla tazza del caffè. Dalla finestra mi ero già goduto la vista delle galline e quell’uovo fu per me come l’incontro con una creatura che avessi visto nascere.
A Vilnius in Lituania nel settembre del 1993 affrontammo un autunno già infreddato con i riscaldamenti spenti, nella tristezza di un micragnoso albergo ancora sovietico. La stessa sperimentata al “Belgrad 2” di Mosca (ma lì senza il papa, si capisce) in occasione del “Millennio del battesimo della Rus” nel giugno del 1988. Il meglio di quegli alberghi di regime resta, nel nome e nel fatto, lo Sputnik di Lviv, in Ucraina (giugno 2001), dove dormimmo due notti: non c’era lavandino e l’acqua del rubinetto – nella mia stanza – veniva inghiottita da un buco nel pavimento praticato con lo scalpello.

Era come alloggiare in un film di Bunuel
Fuori dai viaggi papali – muovendomi a mio talento ma guidato dal senso del denaro che mi porto dalla nascita e che è quello del coltivatore diretto marchigiano – sono riuscito a trovare larve nella minestra a Santiago di Compostela e lenzuola bucate a Oviedo. Era il 1986 e la Spagna sapeva ancora di Franco. Il bagno di Oviedo era in un angolo della stanza, rialzato rispetto al pavimento per ottenere il piano inclinato dello scarico. Ma in quell’albergo c’era un portiere con una gamba di legno e la sua vista mi ripagò d’ogni disagio. Era come se alloggiassi in un film di Bunuel.
Anche alle disavventure si prende mano. Quel bordello di Porto Alegre non mi parve poi così male perché in un bordello c’ero già finito a Torino nel 1976. Ero alla prima trasferta come giornalista di Repubblica e credevo che un inviato fosse tenuto a cercare soluzioni economiche. Cascai in un albergo vicino alla stazione di Porta Nuova stranamente vuoto lungo il giorno ma che si animò la notte e c’era un guardiano a ogni piano con una pila di asciugamani. Quando capii la faccenda – ci voleva poco ma io non amo la velocità – mi barricai nella stanza spostando il letto a puntellare la porta, come a difendermi da movimenti, rumori e voci che andarono avanti per ore. “Senza uscire dalla porta / si può sapere il mondo”: questi due versi di Lao Tse (570-490 avanti Cristo) furono il mio motto per quella notte.

Luigi Accattoli
Da Il Regno 12/2007

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