Giuseppe Pierobon: “L’accettazione del limite è già una libertà”



Un incidente stradale lo paralizza quando non ha ancora 18 anni e oggi ne ha 41 e afferma: “Non mi sono mai sentito un peso”. Nato a Cittadella, Padova, nel 1970, Giuseppe Pierobon è travolto da un camion mentre in motorino va al suo lavoro di operaio metalmeccanico assunto per le sostituzioni estive, essendo ancora impegnato nelle scuole Superiori. Riporta una lesione incompleta alla vertebra C2 (seconda vertebra cervicale), all’epoca ritenuta difficilmente compatibile con la vita. La sua memoria cancella i quindici giorni precedenti e successivi all’incidente.
 

Non ho mai voluto sapere cosa sia successo, tanto è inutile. Non ho nulla da recriminare neppure contro l’autista, non so se è stata colpa mia. Il primo ricordo che ho è un senso di accettazione spontanea della situazione, la percezione della necessità di viverla al meglio. Era quasi un atteggiamento cinico (non in senso negativo, vorrei dire piuttosto filosofico).

Dopo ti rendi conto che il corpo non è più tuo, che hai un corpo in affitto ma senza che questo cancelli la tua dignità personale. Il mio corpo viene gestito da altri, ma il fatto che le persone intorno mi rispettino e mi amino non mi ha mai fatto sentire inferiore, o inutile.

Ho incontrato tanti medici e infermieri gentili senza che fossero pietosi, cosa che non sopporto. Meglio l’indifferenza che il pietismo. Poi la vicinanza dei familiari, essenziali. I genitori hanno saputo starmi vicino senza sostituirsi a me quando non era necessario. Le persone di casa hanno continuato a vivere una vita per quanto possibile normale. E’ stato deciso di assumere una persona non per aiutare la mamma in casa, così che lei si dedicasse a me, quanto per aiutare me. E’ stata una scelta che mi ha stimolato a cercare la mia indipendenza e ad arrangiarmi.

Il corpo che ho in affitto è mio ma non è mio, perchè non lo controllo, ma sono perfettamente cosciente di ciò che faccio. È la mia consapevolezza a farmi sentire uomo, la coscienza delle mie azioni. Essa mi ha spinto a impegnarmi in varie attività: testimonianze presso le scuole, interventi in gruppi di infermieri, insegnamento in corsi di alfabetizzazione informatica per persone disabili (con l’associazione AIRONE in collaborazione con ASL e INAIL). Da due anni collaboro con il comune di Cittadella, al Centro elaborazione dati, per la parte informatica. Utilizzo il pc con la trackball, facendola scorrere attraverso un bastoncino ergonomico che tengo tra i denti e con il quale comando la tastiera.

Nessuno mi ha fatto pesare la mia incapacità di muovermi. Non mi sono mai sentito un peso, né ho vissuto l’“accantonamento”, l’emarginazione, cosa che comunque non subirei passivamente. Ho vissuto i primi sette-otto mesi dopo l’incidente attaccato al ventilatore polmonare, perchè la lesione provoca insufficienza respiratoria. Ho fatto la riabilitazione respiratoria in Germania, dove posso dire che mi hanno di nuovo insegnato a vivere.

Ho imparato a respirare usando i muscoli ancora attivi nella parte alta delle spalle e nel collo, fin da subito lo scopo è stato quello di reinserirmi il più presto possibile nella vita. Ricordo il Natale in Germania: mi dissero che se volevo nella cappella al piano inferiore si celebrava la messa e mi accompagnarono giù con tutto il letto e il respiratore. Ho imparato che con la buona volontà e l’organizzazione si possono fare un sacco di cose. Lassù tutte le mie dimensioni personali erano rispettate.

Credo che il carattere mi abbia aiutato. Ho sempre affrontato le sfide con caparbietà, anche prima dell’incidente. Sono disgrafico, ma studiavo in un istituto tecnico e cercavo sempre di superare gli ostacoli. Anche questo mi ha aiutato nell’atteggiamento da assumere e con la stessa logica ho vissuto e vivo la mia condizione di limite nel movimento.

La possibilità di essere di aiuto è importante anche nella vita cristiana. La fede è uno dei tasselli importanti per vivere in pienezza, ci ricorda che il corpo non è tutto, che c’è la dimensione spirituale che ci porta avanti.

Le attività che svolgo non le ho ricevute ma le ho cercate. E’ stato un modo per sentirmi protagonista della mia vita. La mia condizione è la mia croce ma ognuno ha la sua, ciò che conta è trovare la forza per portarla.

A volte la discriminazione avviene a causa della non conoscenza, che è una forma di disabilità più grave di quella fisica. Invece la conoscenza del proprio limite – la sua accettazione, l’impegno a vedere le cose da una prospettiva diversa – è la prima forma di libertà.
 

Ho conosciuto Giuseppe Pierobon su segnalazione di Assunta Steccanella che per me lo ha intervistato nel novembre del 2011.

Commento

  1. […] Un incidente stradale lo paralizza quando non ha ancora 18 anni e oggi ne ha 41 e afferma: “Non mi sono mai sentito un peso”. Si chiama Giuseppe Pierobon, vive a Cittadella, tiene incontri nelle scuole, lavora al computer azionando la tastiera con una stecca tra i denti. “La mia condizione è la mia croce ma ognuno ha la sua, ciò che conta è trovare la forza per portarla. La conoscenza del proprio limite – la sua accettazione, l’impegno a vedere le cose da una prospettiva diversa – è la prima forma di libertà”. Leggi la sua storia nel capitolo 4 REAZIONE ALL’HANDICAP della pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto: L’accettazione del limite è già una libertà. […]

    24 Novembre, 2011 - 8:25

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