Il corpo in dono. Trapianti e donazioni di organi

Il prelievo di organi e di tessuti
Donazione di organi: sta per arrivarci – a casa e a tutti – una scheda per il «consenso». Ce la porteranno con il certificato elettorale per i referendum del 21 maggio. Su un unico foglio, ci sarà una lettera del ministro Rosy Bindi che presenta la consultazione, ci saranno «informazioni e chiarimenti sulla donazione di organi» e – staccabile lungo una linea tratteggiata – un «tesserino per il consenso». Lì starà scritto che «il sottoscritto» tale dei tali, nato e residente ecc. «dichiara di voler donare i propri organi»: dovremo barrare il «sì» o il «no» e firmare.
Non è ancora la «dichiarazione di volontà in ordine alla donazione», prevista dalla legge 91 dell’1.4.1999 all’articolo 4, ma una prima informazione-consultazione. Per ora spetterà al cittadino volenteroso portare con sè il tesserino provvisorio, in attesa di una seconda e definitiva consultazione-censimento, che sarà curata dalle ASL di appartenenza e i cui risultati saranno trasmessi al Centro nazionale dei trapianti e saranno registrati nei documenti sanitari personali. E’ prevista una tessera sanitaria nuova e «intelligente», nella quale sarà memorizzata anche questa dichiarazione.
Dunque riceveremo una scheda. Qui racconto la mia preparazione a rispondere. La discussione che abbiamo avuto in famiglia, già quando il Parlamento approvava la legge, e che si è riaccesa in vista della scheda. Le risposte che ho avuto domandando qua e là il parere di parenti e amici. Ma voglio partire dalle parole di chi ha ricevuto organi, che sono venuto raccogliendo negli anni e che mi sembrano preziose: è rara la gratitudine sulla terra e queste parole la trasmettono, genuina e viva.

La forza degli altri
Parto da un prete che ho conosciuto e che così raccontava – nella fase avanzata del tumore che l’ha ucciso – del bene che gli veniva dalle trasfusioni di sangue: «Ancora ho la forza, la mente è lucida, ho fatto la trasfusione. Quando mi chiedono “come ti senti?” rispondo: il sangue degli altri rende un po’ più forti» (don Italo Calabrò, che muore a Reggio Calabria nel 1990).
«Al risveglio capii che era avvenuto un miracolo: avevo un nuovo rene e funzionava a meraviglia. “Dio esiste ed è padre” fu il primo pensiero. Provai una profonda riconoscenza verso la persona che mi aveva donato il suo rene e che mai avrei saputo chi fosse. Percepii che aveva dato la vita per me e che – grazie a lei – avevo una nuova opportunità: non dovevo e non potevo più perdere un attimo della vita che mi restava da vivere» (Agnese a Città Nuova [1995] 6).
Un pensiero somigliante ha espresso il magistrato Gerardo D’Ambrosio, che è un trapiantato di cuore dal 1991 e da allora non va più in ferie: «Non posso sprecare neanche un giorno di questa nuova vita che mi è stata regalata. E’ un dovere che sento verso quel ragazzo, il cui cuore ha il diritto di vivere il più a lungo possibile, verso mia figlia e tutti quelli che mi hanno aiutato» (Il Mattino 21.11.1996).
«Inizialmente è stato molto difficile accettarmi, sapendo d’essere vivo grazie a quella ragazza che è morta. Anche ora, quando si parla della “donatrice”, mi sento triste e a disagio. Mi consola pensare che quella persona oggi continua a vivere dentro di me» (Leonardo Cioce, che ha ricevuto da una ragazza italo-americana fegato, pancreas, stomaco, rene, intestino tenue e intestino crasso, al Corriere della sera 12.1.1996).
«Abbiamo pregato per quella ragazza Emanuela. Non riusciamo nemmeno a trovare le parole per dire grazie a chi ha avuto il coraggio di fare un gesto così bello come donare il cuore. Hanno salvato la vita a nostro padre» (i figli di Matteo Papa al Corriere della sera 3.1.1996).
«Benedetto il momento che ho detto sì al cuore di Marta, che per me è oggi come una figlia, o meglio, è il mio angelo custode» dice ad Avvenire il 30.12.1997 Domenica Virzi, che ha ricevuto il cuore di Marta Russo, la studentessa uccisa all’Università di Roma da un proiettile al cervello il 7 maggio di quello stesso anno. Domenica racconta d’essersi decisa leggendo il Vangelo: «Mi sembrava che avrei potuto fare qualcosa di contrario alla fede accettando il cuore di un’altra persona. Lessi una pagina del Vangelo di Luca che mi capitò fra le mani ed ebbi la risposta. Nella parabola della donna che sposa i sette fratelli e non ha figli, il Signore dice che il nostro corpo, nella risurrezione, sarà come quello degli angeli. E andai».
«Grazie a Marco che con il suo gesto mi ha ridato la vita» dice con semplicità Daniela di Cuneo, che ha voluto incontrare il donatore di midollo osso «compatibile», che l’ha salvata (La vita del popolo 4.6.1998) .

Un dibattito famigliare
Sui trapianti e sulle donazioni vengo raccogliendo un dossier giornalistico che cresce ogni mese. Ho letto le sintesi esemplari che hanno pubblicato – in riferimento alla nuova legge – La Civiltà cattolica (18.9.1999) e Aggiornamenti sociali (settembre-ottobre 1999). Ho dato un’occhiata ai volumi La donazione d’organi di Città Nuova e Il trapianto degli organi dell’AIDO di Treviso. Ho scorso la bella storia di Ugo Ricciarelli che racconta il proprio trapianto cuore-polmoni: Le scarpe appese al cuore. Storia di un trapianto (Feltrinelli, Milano 1997). Mi sono fatto raccontare i film Tutto su mia madre (1999) e Il dono di Nicholas (1998).
Ma quello che più mi ha aiutato a farmi un’opinione sono le parole di chi ha ricevuto il dono (oltre a quelle che ho citato sopra, se ne veda una rasse¬gna nel volumetto di Città Nuova) e le opinioni che ho chiesto di persona a chi vive con me. Consiglio di fare questo esperimento di chiedere: quando si tratta del corpo, della vita e della morte, del corpo dopo la morte e – magari – della vita dopo la morte, non c’è via migliore di quella della conversazione da uomo a uomo, da cristiano a cristiano,
In casa siamo sette. Io e la mia sposa siamo favorevoli alla donazione. E dunque il nostro parere vale per noi due e per le due figlie minori. Perché per i minori di età la legge prevede che la «dichiarazione di volontà» sia manifestata dai genitori, purché concordi: «In caso di non accordo tra i due genitori non è possibile procedere alla manifestazione di disponibilità alla donazione» (articolo 3).
Sono poi favorevoli due dei figli maggiorenni. Ma uno è contrario, donde accese discussioni quando siamo a tavola. Uno dei favorevoli dice a quello contrario: «Ma perché mai devi dire di no? A te non costa nulla e a un altro puoi salvare la vita!»
Faccio osservare che la stessa argomentazione è stata usata dal vescovo di Magonza e presidente dei vescovi tedeschi, Karl Lehmann: «Nessun dono costa meno di questo al donatore, nessun dono reca al ricevente beneficio maggiore di questo».
Ma – dicevo – l’argomento è delicato e le semplificazioni non giovano.
Anche la faccenda del «silenzio assenso» («Il prelievo di organi e di tessuti è consentito qualora dai dati inseriti nel sistema informativo dei trapianti risulti che il soggetto sia stato informato e non abbia espresso alcuna volontà», art. 4, b) è delicata e sarebbe meglio puntare al «consenso informato», come ammette anche il ministro, forse facendo forza – un poco – al suo carattere di donna forte.
Ascoltiamo dunque le ragioni di chi è contrario e – per quanto è possibile: poniamo, in famiglia – facciamole nostre.
Il figlio contrario dice: «Non voglio che sia toccato il mio corpo. Tagliato, spezzato, ricomposto. Così come sono contrario all’autopsia e alla cremazione. Voglio che il mio corpo non scompaia, non muti figura». La figlia più convinta – come donatrice – obietta: «Ma guarda che l’autopsia te la fanno d’autorità, la comanda lo stato, anche solo se muori giovane e non c’è spiegazione alla morte». E l’altro: «Per quanto posso, io non la voglio». L’altra: «Io per me non vorrei neanche essere vista dopo morta e mi va benissimo la cremazione, o qualsiasi cosa. Ma con la donazione è diverso. Puoi salvare un altro ed è anche un vantaggio per te, se vuoi: tu sei morto e una parte di te continua a vivere».
Interviene un compagno di scuola del figlio contrario e insiste sul corpo da non manomettere: «Certo la donazione è una cosa bella, ma se guardiamo a dopo la morte, penso che il corpo dell’uomo deve restare integro».

Persona e integrità fisica
Sono colpito da questo argomento che ho trovato citato, nei libri e nei giornali, come «sacralità del corpo» e come «prolungamento della persona dopo la morte affidato al corpo».
Insisto a domandare all’amico di mio figlio: «Lo dici perché hai in mente una vita dopo la morte?». Risposta: «No, affatto! Lo dico solo per il significato della persona! Ora si sente dire che possono trapiantare anche una mano o una gamba, non solo il rene che non si vede… Una tua gamba che va in un altro corpo, io penso che ci va di mezzo la persona, la tua immagine».
Un terzo ragazzo di 18 anni, un mio nipote che si definisce «un piccolo ateo», è invece favorevole alla donazione e la motiva rovesciando quel ragionamento sul prolungamento della persona: «Con la morte io penso che per me finisce tutto e dunque non mi interessa nulla di ciò che mi possono fare, mentre mi interessa – ora che sono vivo – decidere qualcosa che ora mi riguarda e che è la possibilità di aiutare qualcuno. E non è solo altruismo, perché a questa idea è legata l’altra, di poterne avere bisogno io».
Ecco che nelle parole dei ragazzi trovo un concetto che ho letto nelle pagine degli esperti: quando per esempio Sandro Spinsanti parla del «circuito della solidarietà», una specie di associazione tra i potenziali donatori che – dichiarandosi donatori – si candidano a fruire della donazione altrui.
«Se tu fossi credente, che diresti?» mia seconda domanda al nipote; così risponde: «Quando ero credente ero favorevole, sempre per lo stesso motivo. Allora del corpo intatto o meno non m importava perché pensavo che la mia vita dopo la morte non dipendeva dal corpo».
La mamma di questo ragazzo è iscritta all’AIDO ed è catechista in parrocchia: “L’idea del possesso del corpo e dell’identità personale mi mette in crisi. Mi riguarda da viva, non da morta. Tant’è che – pur essendo io così decisa, come risulta dall’iscrizione all’associazione donatori – credo che non avrei mai autorizzato l’espianto dai miei figli, quando erano minorenni”.
Ecco un altro riscontro tra miei intervistati e la letteratura in materia: la protagonista di Tutto su mia madre è un’infermiera che convince i familiari degli infortunati alla donazione ma poi si ribella (consentendovi dopo grande travaglio) quando l’infortunato è il figlio.
Lascio l’ultima parola alla cognata catechista: «Fai bene a parlarne con i ragazzi. Bisogna convincere ascoltando e rispettando. Mostrando che si può dare – e addirittura che si può dare la vita – oltre l’immaginabile. Oltre la morte. Che puoi dare la vita morendo. Qualcosa che oggi è possibile e ieri non era. Qualcosa che ci fa prossimo con qualcuno che non conosciamo. Una possibilità nuova dell’amore. Ma che vale solo se è capita così. Non se è indotta dalla legge».
La mia cognata dice: «Puoi dare la vita morendo». E’ quasi una sintesi di quanto ha fatto Gesù, secondo la nostra fede. Ed ecco che mi vengono in mente due espressioni bibliche che ho trovato applicate alla donazione di organi e che mi hanno sorpreso: Ezechiele che fa dire al Signore «darò loro un cuore nuovo» (11,19) e – ancor più – Gesù che nell’ultima cena si offre ai dodici con le parole «questo è il mio corpo, questo è il mio sangue».

Luigi Accattoli

Da Il Regno 8/2000

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