Arturo Carlo Jemolo: il magistero di un laico

Arturo Carlo Jemolo

il magistero di un laico

 

A.C. Jemolo (morto il 12 maggio 1981) è stato una «singolare figura di cristiano e cittadino, cui la Chiesa italiana deve molto in termini di credibilità di fronte all’intellettualità laica». Le sue posizioni sul concordato, sui valori laicali, sulle minoranze, su personalità come Buonaiuti, Dossetti e Milani, mostrano una straordinaria acutezza di coscienza e di intelligenza.

 

Per ricordare utilmente Arturo Carlo Jemolo, morto a Roma la mattina del 12 maggio 1981 (vigilia dell’attentato al papa, cinque giorni prima dei due referendum sull’aborto), richiamerò qui sei suoi testi esemplari. Che cioè a me paiono esemplari per presentare ai lettori di una rivista di informazione e documentazione religiosa questa singolare figura di cristiano e di cittadino, cui la Chiesa italiana deve molto in termini di credibilità di fronte alla intellettualità laica.

Dalla vastissima produzione dello Jemolo, giuridica, storica, politica e giornalistica (1), ho scelto i testi che seguono come i meglio rispondenti all’obiettivo di presentare il cristiano Jemolo nel suo modo di rapportarsi alla Chiesa in cui si trova a dare la sua testimonianza e alla società in cui quella Chiesa opera. Mi sono limitato agli anni del dopoguerra, per concentrare l’attenzione su un periodo omogeneo, di impegno continuato, che meglio facesse risaltare la varietà e l’unitarietà degli interessi e degli interventi dello studioso. Attenzione alle date: il primo scritto cui faccio riferimento è del 1944; allora Jemolo aveva 53 anni; la sua prima pubblicazione (Stato e chiesa negli scrittori politici italiani del Seicento e del Settecento, Bocca, Torino) è del 1914, cioè di trent’anni prima; lungo quei tre decenni Jemolo ha pubblicato tutte le sue opere più importanti di carattere storico e giuridico (2), prima del capolavoro Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cent’anni, che è del 1948. Nel 1944 Jemolo è un uomo di avanzata maturità, che debutta sulla scena pubblica, lasciando quel geloso ritiro accademico che era durato lungo tutto il ventennio fascista (3) e iniziando quel magistero pubblicistico e giornalistico che sarebbe durato ininterrotto per altri 37 anni, fino al giorno della morte (4).

 

Concordato e periodo confessionale

1. Per la pace religiosa d’Italia, opuscolo uscito a Roma nell’ottobre del 1944, dalla Nuova Italia, con cui Jemolo si chiede, a liberazione non ancora ultimata, «quale dovrà essere la politica ecclesiastica dell’Italia unita», e in cui propone un compiuto programma, o meglio un manifesto anticoncordatario, coraggioso e realistico insieme, il più significativo che da parte cattolica sia stato avanzato dal 1929 ad oggi. Da credente Jemolo si augura che la Santa Sede «abbia colto dall’esperienza storica gli ammaestramenti che a noi pare ne siano scaturiti» e si presenti all’Italia migliore di domani «…non desiderosa di concordati, ma solo di libertà». Come cittadino propone che, qualora la Chiesa «esigesse il mantenimento» degli accordi lateranensi, lo Stato si adoperi per una revisione del concordato che elimini «le menomazioni più gravi del principio dell’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge». Infine, se la Chiesa a nulla volesse rinunciare, «converrebbe cedere e piegarsi», ma impegnandosi a «far sentire il sacrificio compiuto», in attesa che la Santa Sede si rendesse conto «che l’interesse religioso in Italia sarebbe non di conservare alla Chiesa i pochi privilegi che il concordato le ha concessi e che ripugnano alla coscienza nazionale, bensì di venire incontro a questa coscienza, che augura alla Chiesa un sempre più ampio dominio sulle anime, che le augura di dire in materia morale una parola sempre più ricevuta ed accolta, ma di dirla in regime di libertà». Su questa posizione Jemolo è restato lungo tutta 1a sua lunghissima milizia ecclesiale e politica. Ha continuato a ripetere la sua richiesta che la Chiesa rinunci spontaneamente al concordato e ad ammonire laici e cattolici sulla perdurante prevalenza, nel campo ecclesiastico, degli «intransigenti che nulla vorrebbero cedere» (5).

2. «Dopo il fascismo», ultimo capitolo del volume Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cent’anni (Einaudi, Torino 1948), cui è da aggiungere il nuovo capitolo, «Venticinque anni di Repubblica», dell’edizione ampliata del 1974, che giunge a prendere in esame i risultati del referendum sul divorzio. In queste pagine il credente, lo storico e il protagonista degli anni oggetto di ricostruzione danno il meglio di sé. Qui è narrata la rapida dissoluzione della prospettiva «separatista», la «puntigliosa ed estensiva applicazione del concordato», che si viene ad avere nel «periodo confessionista» che va dal 1949 al 1960 e che realizza in Italia una specie di «regime clericale», destinato a finire con il centrosinistra e con il concilio. In queste pagine le ragioni che tennero sempre lontano Jemolo dalla DC, come già dal Partito popolare; che lo fecero nemico dell’adesione dell’Italia al Patto atlantico; che nel 1948 lo indussero a votare per il fronte popolare e nel 1953 lo fecero aderire a «Unità popolare», il piccolo cartello laico che contribuì al fallimento della «legge truffa» (6).

 

Coscienza laica

3. «Coscienza laica», articolo uscito sul fascicolo del 24 gennaio 1956 della rivista Mondo diretta da Pannunzio. Personalmente la considero la pagina più importante e più attuale di Jemolo: qualcosa come il suo testamento di credente e di cittadino. La data del 1956 (anno del processo al vescovo di Prato) ne fa un documento eccezionale. Ma la sua tesi centrale (come dimostra la vicenda del referendum del Movimento per 1a vita) non è affatto pacificamente accettata, neppure oggi: «La vera coscienza laica si ha nel credente solo allorché egli accetta lo stato di fatto della diversità di concezioni che si riscontrano in un dato momento, e che ritiene lo Stato debba ispirare le sue leggi e le sue opere a quelle visuali di bene che sono comuni a tutte le concezioni (…) e che pertanto lo Stato debba ammettere nella sua legislazione, consentire attraverso la sua legislazione, quello che per lui credente è peccato, e la propaganda di che per lui è tale: lasciando alla libera gara tra uomini religiosi ed uomini non tali, il compito di fugare il peccato, di fare sì che il peccato, pur consentito dalla norma di legge, non abbia mai a venire commesso» (7).  Conosco un solo cattolico italiano che, rivestito di pubblica autorità, abbia fatta propria questa lezione: il Moro degli ultimi anni, che invitava a «realizzare la difesa di principi e valori cristiani al di fuori delle istituzioni e delle leggi, e cioè nel vivo, aperto e disponibile tessuto della nostra vita sociale» (8). Tornando allo Jemolo degli anni ’50, va ricordato il suo fattivo impegno a difesa delle minoranze religiose: «Nel 1958 accettò di patrocinare la causa avanti alla Corte costituzionale, in cui fu discussa l’incostituzionalità di talune norme delle leggi sui culti ammessi e che in conseguenza decaddero» (9).  Dell’anno seguente è il vigoroso analogo intervento, sempre in nome della sua religione della libertà, di Ernesto Rossi, vittima di un ennesimo oltraggio da parte del «regime clericale» ormai prossimo alla fine: «Lontano da lei quando si tratta di questioni religiose, le sono assai vicino allorché si tratta dei problemi della libertà» (10).

4. Le trenta pagine di «introduzione» all’autobiografia di Ernesto Buonaiuti, Pellegrino di Roma (Bari, Laterza, 1964, pp. I-XXIX). In questa appassionata rievocazione della «singolare figura» e della «singolare sorte» del grande maestro perseguitato troviamo un efficace parallelo intraecclesiale a quanto, per i rapporti Chiesa-Stato, lo Jemolo aveva già tratteggiato nel volume considerato suo capolavoro. In Chiesa e Stato negli ultimi Cent’anni è la drammatica vicenda dell’incontro tra i cattolici e le forme laiche e pluralistiche della cultura e della società moderna. Nel profilo del Buonaiuti è il dramma delle ripercussioni che quell’incontro determina all’interno della Chiesa. Le pagine di Jemolo sul «bavaglio posto all’errante» resteranno nella storia della Chiesa italiana come il più alto risarcimento tributato da un credente di riconosciuta ortodossia al fratello e maestro ingiustamente perseguitato. Ed è indubbiamente paradossale che proprio a un uomo come Jemolo, tenuto per tanto tempo ai margini dell’ufficialità cattolica, sia toccato il compito gravosissimo, da lui svolto senza mai recriminare, di supplire alle sordità e ai mutismi di quest’ultima (11). Quando Jemolo scrive queste pagine su Buonaiuti è in corso il concilio, ed è in atto quella «grande svolta nella Chiesa» che per Jemolo consiste essenzialmente «nell’avere questa riconosciuto dove abbia mancato», e nella «condanna dall’alto dell’intolleranza» (12).

 

Un fiducioso pessimismo cristiano

5. «Dossetti mi diceva», articolo apparso su La Stampa il 17 maggio 1972 (13). Lo cito ad esempio della ininterrotta militanza giornalistica di Jemolo, durata trent’anni sulle sole colonne del quotidiano torinese, in cui soprattutto si è espressa la sua milizia ecclesiale. Rispettosissimo, quasi pudico, il suo modo di seguire le vicende del governo della Chiesa e gli interventi del magistero. Ma non per questo meno libera, in ogni circostanza, la sua parola. Il suo profilo di Dossetti «uomo di chiesa» è il più penetrante che io conosca. E non si limita a rendere omaggio a «l’umiltà del sacerdote, mai ignaro del proprio valore», ma pronuncia il rispettoso ma severo rimprovero, rivolto all’amatissimo Paolo VI, di non aver tentato «l’esperimento di Dossetti arcivescovo»: «Mi dolgo che da un pezzo la Chiesa non abbia certi ardimenti (…) Temo che, come lo Stato, la Chiesa perda per eccesso di prudenza l’occasione di utilizzare i suoi uomini migliori». E tra i migliori non utilizzati cita don Milani e Buonaiuti.

6. Infine l’ultimo testo che mi pare necessario richiamare per dare intero il profilo di Jemolo, protagonista misconosciuto ma centralissimo della vicenda ecclesiale degli ultimi decenni: le 42 pagine di introduzione al volume documentario Anni e opere di Paolo VI, curato da Nello Vian ed edito dall’Istituto dell’Enciclopedia italiana nel 1978. Papa Montini, tra i sette pontefici conosciuti dal nostro in età adulta, è il più amato e 1’unico che abbia avuto con Jemolo vicinanza di pensiero e scambi epistolari. Tutte quelle pagine sono da leggere, come l’ultimo ampio affresco dedicato dallo studioso e dal credente alle vicende della sua Chiesa. Si chiudono con la rievocazione del Montini «sofferente» degli ultimi anni, testimone di una crisi impreveduta, che tocca insieme 1a società e la Chiesa, e che non ha concesso alla «grande anima di Giovanni Battista Montini» di «vedere il principio, forse ancora lontano della rinascita». Qui è riassunto tutto il cristiano pessimismo di Jemolo, mai disgiunto dalla fiduciosa speranza che «anche tra durissime prove la Chiesa vivrà, sarà guida agli uomini per la conquista del bene». Così si chiudono le pagine sul «dolente» papa Montini, autobiografiche e storiografiche insieme (14).

Ecco dunque lo Jemolo anticoncordatario, nemico dell’întolleranza, testimone cristiano dei valori della coscienza laica, difensore delle minoranze religiose, discepolo di Buonaiuti, estimatore di don Milani e di Dossetti, amico di papa Montini e critico della sua mancanza di «ardimento» e interprete della sua «sofferenza». Resta da dire una cosa, di tutte riassuntiva: al termine della lunga giornata di Arturo Carlo Jemolo è certo che se il Vangelo è stato predicato e testimoniato in Italia, in questi decenni, in ambiente laico e intellettuale lo si deve anche alla sua parola pacata e severa. In una pagina di Chiesa e Stato su quel poco che in Italia «da penne cattoliche è stato scritto contro il fascismo» , lamenta che da noi non vi siano stati i Mauriac, i Bernanos, i Maritain; «L’Italia non ha avuto, non ha, scrittori cattolici che siano, se non per il popolo, almeno per la borghesia colta cattolica, delle guide, che, su un diverso sentiero, affianchino il magistero dei pastori» (15). Credo che con Jemolo si sia avuta la prima significativa eccezione a questa regola.

 

Note

1   Silvio Ferrari nella bibliografia raccolta per il volume Jemolo. Testimone di un secolo, dedicato ai novant’anni dello scrittore (edito da Le Monnier, nei «Quaderni della Nuova Antologia», contiene tra l’altro due vasti saggi di Giovanni Spadolini e di Francesco Margiotta Broglio e lettere a Jemolo di Buonaiuti, Einaudi, Paolo VI), ha elencato ben 239 titoli, apparsi negli ultimi vent’anni. E senza tener conto degli articoli pubblicati in settimanali e quotidiani.

2    Da ricordare in particolare: L’amministrazione ecclesiastica (Milano 19151932), Crispi (Firenze 1922), Elementi di diritto ecclesiastico (Firenze 1927), Il giansenismo in Italia prima della rivoluzione (Bari 1928), Il nostro tempo e il diritto (Modena 1932), Il diritto ecclesiastico della Stato italiano (Città di Castello 1933), Il matrimonio (Torino 1938), Il matrimonio nel diritto canonico (Milano 1941).

3    Le sue maggiori prese di posizione contro il fascismo: nel 1925 aderisce al «Manifesto degli intellettuali antifascisti» di Benedetto Croce, nel 1938 critica pubblicamente le leggi sulla razza.

4    Il giorno stesso della morte appare una sua intervista sul quotidiano Il Tempo. Il giorno seguente La Stampa di Torino pubblica il suo ultimo articolo. Due giorni appresso esce sul settimanale Il Sabato un‘altra intervista inedita.

5    Citato da Giovanni Spadolini nel vol. La questione del concordato, Firenze 1976, p. XVII (in questo volume, che pubblica la relazione della Commissione ministeriale di Studio per la revisione del concordato. si possono rintracciare le posizioni espresse da sui singoli punti oggetto di trattativa). Alcune pagine dell’opuscolo del 1944 sono riprodotte in Pietro Scoppola, La Chiesa e il fascismo, Laterza, Bari 1971, pp. 372-380.

6.  «Non ho mai votato per la Democrazia cristiana», ha scritto Jemolo in una delle schede di Questa Repubblica, il volume a cura di Giovanni Spadolini. che raccoglie ontologicamente un decennio di collaborazione a La Stampa, pubblicato da Le Monnier nel 1978. Notizie sulle scelte politiche di Jemolo nei saggi di Spadolini e di Margiotta Broglio. citati alla nota 1.

7   Questo testo di Jemolo è stato ripubblicato nel citato volume Jemolo testimone di un secolo, alle pp. 26-30.

8    Cf. Il Regno-att, 8/1978, «Moro o della laicità del cristiano». p. 148.

9   Giorgio Peyrot, nell’articolo in morte di Jemolo, apparso sul settimanale evangelico La Luce, del 22 maggio 1981.

10   Cf. Giovanni Spadolini, La questione del concordato, cit. p, XII.

11   In un articolo per La Stampa (26 ottobre 1976) parla di se stesso «cristiano più che esteriormente non apparisse», negli anni difficili del fascismo e del «trionfalismo» di Pio XII: «lo praticante, ma spiacente, almeno fino al 1940, sia alla Civiltà cattolica che a padre Gemelli ed alle sue riviste; ché sentivano nel mio cattolicesimo un pochino di odore di zolfo». In realtà l’accettazione di Jemolo da parte dell’ufficialità cattolica si avrà solo con il pontificato di Paolo VI. ultimi vent’anni Jemolo era l’unico cattolico laico non democristiano a essere preso sul serio dall’Osservatore romano (ma più come apologeta della fede che come portatore di istanze severe nei confronti della chiesa stessa).

12   Le due espressioni rispettivamente in «Quel che papa Luciani valorizza» su La Stampa del 5 settembre 1978 e in un’intervista a Il Sabato del 16 dicembre 1978.

13   Riprodotto in A.C. Jemolo. Gli uomini e la storia, Studium, Roma 1978. pp. 161-166 (il volume raccoglie articoli apparsi su La Stampa tra il 1969 e il 1977 e ha una prefazione assai penetrante di Leopoldo Elia).

14    La vicinanza tra Montini e Jemolo traspare anche dalla loro severa meditazione della morte, frequentissima nei loro ultimi anni. Paolo VI nel suo testamento chiesa di essere sepolto «nella vera terra». Jemolo in un articolo su La Stampa apparso il 24 agosto dell’anno scorso scrisse: «Amerei essere sepolto nella nuda terra».

15    Nell’edizione Einaudi 1914 questo passo è a p. 277.

 

Il Regno attualità

12/1981 – pp. 284-285

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