Educare in famiglia nel tempo di Internet


Convegno delle coppie con figli

Sala parrocchiale di San Prospero in Collecchio – Parma

Domenica 4 dicembre 2011 – ore 09,30-16,00

 

Non tratterò dell’educazione in generale ma solo di quella in famiglia e non guarderò a tutte le facce dell’educazione ma solo a quelle che hanno relazione con la cultura digitale. Ma ovviamente svolgeremo le nostre considerazioni tenendo presente il quadro più ampio dell’educazione in questo nostro tempo che pone forti questioni alle famiglie e alla Chiesa, come del resto all’intera società e – potremmo dire – all’intera umanità. Forse per la prima volta nella storia siamo di fronte a una “emergenza educativa” – questa è un’espressione abituale in Benedetto XVI – dalle dimensioni planetarie. E’ proprio la penetrazione in ogni gruppo umano della nuova cultura digitale – una penetrazione trionfante, iniziale o annunciata – a darci la percezione della globalità di questa emergenza. Un’emergenza che i nostri vescovi amano chiamare “Sfida educativa” [così è intitolato un volume a cura del Comitato per il Progetto Culturale della Cei, pubblicato da Laterza nel 2009] e alla quale hanno programmato di dedicare il decennio pastorale 2010-2020: “Educare alla vita buona del Vangelo” è il titolo del documento per l’avvio di questo programma.

Indicherò dieci attenzioni alla cultura digitale da coltivare in famiglia, ma prima segnalo due “prove” particolari alle quali va incontro l’arte dell’educazione in questa stagione della storia umana, e alle quali le dieci attenzioni vorrebbero rimediare:

–         il gap di linguaggio comunicativo generazionale, lamentato sempre dai padri e dai figli, si è oggi ingigantito: i nativi digitali – come viene detta la nuova generazione – sono oggi più lontani che mai nelle modalità della comunicazione dai digitali acquisiti, e ancor più dai non digitali; c’è insomma un digital divide – un divario digitale – in ogni casa oltre che nel pianeta;

–         l’illusione che la vita possa essere una festa e un gioco immediatamente fruibili, appunto come i giochi digitali – e qui occorrerà aiutare la nuova generazione a intendere la serietà e anche la drammaticità della vita, che è anche una festa, ma non è solo una festa.

 

  1. Non temere il digitale. Vale anche qui il monito evangelico “non abbiate paura”: c’è una Provvidenza che guida la storia. Il digitale è una meravigliosa acquisizione. Potremmo intuirne la portata per parabola: “I ciechi vedono, i muti parlano, i sordi odono, gli storpi camminano, ogni uomo diventa mio prossimo”. L’anziano mantiene una piena comunicazione, il disabile può acquisire facoltà di cui era privo. Nella mia ricerca di storie di vita ho trovato persone che scrivono azionando tastiere con i piedi, o con uno stecco tenuto tra i denti, o con il battito delle ciglia; e muti che parlano attraverso un sintetizzatore vocale e analoghi mirabili aiuti a chi non vede o non sente. C’è poi il dono di una prossimità illimitata, a superamento di ogni lontananza e barriera. Il digitale allarga ogni frontiera dell’umano.
  2. Seguire i figli nell’avventura. Suggerisco di seguire – o inseguire, se un poco ci siamo attardati – i figli nell’avventura digitale in modo da non lasciarli soli davanti al computer quando sono piccoli e al fine di ridurre quel gap generazionale che si diceva. Anche noi, per sapere quello che fanno i giovani e per restare giovani con loro, useremo la posta elettronica, frequenteremo la blogsfera, entreremo in Facebook. Esattamente come siamo abituati a tenerli d’occhio andando a vedere i film che ci suggeriscono o leggendo anche noi Il Signore degli anelli di Tolkien. Avendo figli e nipoti, mi diverto in questa impresa. Tengo a bada la gelosia e i rimpianti dell’invecchiamento sognando le meraviglie di cui loro disporranno, in aiuto al loro essere uomini e donne, quando io più non ci sarò a consigliare o a chiedere aiuto.
  3. Uso familiare dei media digitali. Per non fare una corsa parallela alla loro ma staccata, useremo questi strumenti per comunicare con i figli. La posta elettronica può aiutare ad ampliare e prolungare la comunicazione scritta che è importante – e per qualche aspetto insostituibile – anche con le persone che abitano nella stessa casa. Meglio degli sms che ormai tutti usiamo per tenerci in contatto con i figli, la posta elettronica può fornire l’opportunità di proporre un testo da leggere, di suggerire una preghiera, di ricordare una scadenza, un compleanno, un impegno. Nella mia famiglia, con due figli che vivono a Parigi e una figlia sposata con bambini e un altro figlio che è spesso in viaggio, ci teniamo in contatto con una “family news” inviata a tutti avendo predisposto un “gruppo di indirizzi” e con la quale ognuno può rivolgersi a ognuno con la funzione “rispondi a tutti”. E’ una facilissima applicazione familiare del sistema della mailing-list che facilita il contatto, l’aggiornamento, l’aiuto informativo.
  4. Porre i figli a nostri tutor. Il vantaggio digitale che i nostri figli hanno su di noi li pone con naturalezza a nostri tutor. Potrebbe essere questo anche il loro primo lavoro domestico retribuito, se abbiamo un’attività commerciale, un ufficio, impegni di scrittura o una qualsiasi occupazione che richieda una presenza continuata nella Rete. “Mio figlio resta ozioso e non so che fargli fare”: lo farai navigare. Dovremmo ingegnarci – con l’aiuto della loro fantasia – a proporgli l’universo digitale come l’area dove cercare il primo lavoro. Incoraggiandoli a leggere, studiare e sperimentare le vie per passare dal gioco al lavoro: il digitale come laboratorio dell’avviamento al lavoro. Pensiamo alle possibilità offerte dai giornali scolastici e associativi online, e ancor più dai siti interattivi dei gruppi amicali, parrocchiali e simili.
  5. Nella Rete con nome e cognome. Le identità fittizie sono la grande tentazione della Rete, irresistibile per i giovanissimi. In un blog io non mi chiamerò Alberto ma Batman e sarò alto due metri invece che un metro e mezzo, racconterò che le donne mi inseguono e non dirò che ho dei problemi a trattare con i barboni ma che bisogna dargli fuoco… Questo mascheramento è generalmente innocuo ma può anche risultare pericoloso, come nel caso del fuoco ai barboni o degli appuntamenti con sconosciuti. Farà dunque parte della nostra pedagogia verso i più giovani l’invito a riflettere sul rischio delle identità fittizie e multiple: perchè nella Rete posso essere maschio e femmina e gay, ricco e povero, di destra e di sinistra. Se andiamo insieme nella Rete il nativo digitale mi aiuterà a navigare e ad avvistare nuove terre, io che appartengo alla stirpe meticcia – perché nato “no digital” e approdato al digitale da adulto – lo provocherò a tener conto del principio di realtà.
  6. No alla violenza verbale. Nella Rete c’è più violenza che nella realtà. Già da sola l’identità fittizia è un potenziale presupposto di relazioni accese se non violente. Ma poi arriva la violenza vera e propria, che è ovviamente verbale, ma la violenza delle parole a volta tocca l’anima più di quella fisica. Velocemente nascono e muoiono – o vengono chiusi dalla Polizia postale – siti intitolati “A morte il Papa”, “Sopprimiamo Franceschini”, “Uccidiamo Alfano”, “A morte Marco Travaglio”, “Uccidiamo la Moratti”; e naturalmente quello che tira di più è “Uccidete Berlusconi”. Non esisterebbero tali scatenamenti se ci fosse un impegno ad apparire con la propria reale identità. Occorre aiutare i giovani a intendere che la Rete fa parte della realtà e che non esiste – se non concettualmente, ovvero conoscitivamente – un mondo virtuale staccato dal mondo reale.
  7. La Rete come “portale” sul mondo. In famiglia e nella scuola e in parrocchia dovremmo stimolare i ragazzi a usare questi strumenti come vie di accesso alla conoscenza del mondo reale. Guardando al virtuale come a una simulazione del reale che di questo ci può facilitare la conoscenza e a questo ci può approssimare. Stimolarli dunque a passare dalle aree di gioco della Rete a quelle conoscitive e informative. Non leggono i giornali che costano e richiedono tempo, ma possono ogni tanto visitare i siti dei quotidiani on line e vedere i titoli dei telegiornali. Provocarli infine all’esperienza del giornale stampato, più completo e più adatto all’approfondimento e alla memorizzazione.
  8. Suscitare il desiderio di relazioni reali. Tra i miraggi del digitale c’è anche una specie di stordimento che tende a imprigionare i più giovani in un cerchio di relazioni virtuali. Il richiamo al principio di realtà dovrà innanzitutto comportare una spinta a fuoriuscire da quel cerchio. La chiusura in esso è anche una scelta di comodo: i ragazzi tendono a stabilire contatti via internet – piuttosto che a intrecciarli nella realtà – perché il contatto a distanza è meno coinvolgente e non genera responsabilità. “Papà, la notte di Capodanno voglio andare a servire in una mensa dei poveri”, mia ha detto una volta uno dei figli. E io entusiasta a proporgli Sant’Egidio, l’Ostello della Caritas, il Centro di accoglienza delle Suore di Madre Teresa… e lui: “Calma papà, lo cerco in internet”. Cercando in internet mantieni la tua autonomia, il contatto lo stabilisci se vuoi e quando vuoi; andando nei luoghi attivi invece delle relazioni reali che potrebbero portarti più lontano di quanto vorresti.
  9. Tutor nella Rete e tutor nella realtà. Ai ragazzi che crescono e si muovono nella Rete come ragni nella ragnatela possiamo proporre qualche impegno di tutor in Rete – poniamo nei confronti di ragazzi immigrati, loro compagni di scuola – che li prepari a svolgere un analogo impegno nella realtà. Si cresce davvero quando si impara a occuparsi del prossimo. “Perché non dai una mano alla nostra cugina che sta iniziando a usare il computer per l’inventario (o il bilancio, o le prenotazioni…) del negozio (o dell’ufficio, o del Bed and breakfast…)?” Quello che fanno volentieri con il computer può essere – dicevamo sopra – avviamento al lavoro, ma può svolgere anche la funzione di approccio a realtà verso le quali adempiere ad analoghe funzioni reali di tutoraggio, o di servizio.
  10. Dal fare Rete al fare associazione. La cultura digitale necessariamente modifica il rapporto dei nostri ragazzi con l’associazionismo: esso diventerà più leggero, meno vincolante, meglio sostituibile. Avranno meno bisogno di andare in biblioteca, all’oratorio, al circolo ricreativo di ogni tipo; potranno procurarsi in Rete il compagno che manca per la gita in cui bisogna essere in sei; sempre in Rete troveranno il libro che non è più in commercio, chi gli faccia ripetizioni o a chi fare ripetizioni. Crescerà la tendenza dei giovanissimi a tenere lontane da sé le responsabilità associative. Avvicinarli a esse dovrà dunque essere, più che mai, il primo compito degli educatori. Molto lavoro di preparazione a ciò potrà essere svolto già in Rete: si può partire dal coinvolgimento dei ragazzi nella gestione comunitaria del sito della parrocchia, del gruppo giovani, del gruppo biblico di cui eventualmente facciano parte. “Come mai il vostro sito non è interattivo?” vado chiedendo per l’Italia ai tanti – tutte le diocesi, quasi tutte le parrocchie, quasi tutti i gruppi associativi – che hanno un sito che puoi visitare ma con il quale non puoi interagire. “Non abbiamo chi se ne occupi” è quasi sempre la risposta. Vanno coinvolti i ragazzi. Ciò che l’associazionismo e le attività sociali – nell’era digitale – perdono in strutturazione e densità, lo possono compensare con quanto guadagnano in ampiezza di comunicazione, divulgazione, irradiazione.

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