Carlo Urbani il buon samaritano del terzo millennio

“Ha sollevato lentamente la sua mano e ha preso la mia, poi se l’è appoggiata sul cuore e mi ha guardata negli occhi. L’ho aiutato, interpretando il suo pensiero: ‘Mi vuoi bene, vero?’, lui con la testa ha fatto segno di sì, gli ho stretto di più la mano e ho annuito: ‘Lo so, lo so bene’”.
Così Giuliana Urbani racconta l’ultimo saluto ricevuto dal marito Carlo, il 27 marzo 2003, in un ospedale di Bangkok, due giorni prima che Carlo morisse di Sars, la malattia che aveva scoperto e dalla quale era stato contagiato. Carlo era nato 46 anni prima a Castelplanio (Ancona) e si era dedicato anima e corpo al soccorso dei derelitti del mondo, girando l’Africa e l’Asia per conto dell’Organizzazione mondiale della sanità, di cui era diventato consulente nel 1993 e dedicando il meglio delle sue energie alle iniziative dell’associazione Medici senza frontiere.
Era un cristiano consapevole e fattivo. Consapevolmente aveva corso il rischio del contagio. Della sua qualità di cristiano il mondo ebbe notizia pochi giorni dopo la morte, quando il Papa invitò Giuliana e il figlio Tommaso a portare la croce, il Venerdì Santo, al Colosseo. Ma a un anno dalla morte ne abbiamo una notizia intera anche quanti non lo conoscemmo in vita: sono stati pubblicati tre volumi con i suoi scritti e la sua storia e in essi egli appare non solo cristiano, ma un grande cristiano, nel segno di Madre Teresa, di Albert Schweitzer, di Raul Folleraul e – ultimamente – anche di Annalena Tonelli.
Tra le lettere, ho scelto questa, come meglio riassuntiva della partecipazione di Carlo Urbani all’avventura cristiana:
Cosa sto facendo della mia fede? Beh, qualche volta, magari incollati ad un ventilatore per il caldo torrido che c’è anche di notte, diciamo insieme qualche preghiera, ed ogni 15 giorni partecipiamo alla messa per la comunità francofona nella missione francese. La messa è molto piacevole, semplice, sentita, ed è bello scoprire come quella famiglia di figli di Dio alla quale diciamo di appartenere, ma che in realtà immaginiamo sempre come un concetto astratto, in realtà esiste in carne ed ossa, ed è pronta ad accoglierti tra le sue braccia anche in posti lontani come questo.
Ma poi soprattutto nella Fede cerco in questo tempo la luce per rispondere ad angoscianti interrogativi che mi tengono sveglio. Il primo è la fatidica questione sulla vera natura dell’uomo. Quanto vedo qui, quanto sento nei racconti dei miei colleghi provenienti dalle mille ferite di questa terra, campi di battaglia, campi profughi, la profonda povertà delle bidonvilles, le assurde lotte fratricide, e le carceri grondanti sangue di tutti i regimi dittatoriali del mondo… tutto questo scoraggia un po’, e a volte vedere qualche cosa di buono nell’altro, in chi ti è «prossimo», diventa veramente difficile ed invita a chiudersi in se stessi. Ma i piccoli lumi che brillano nei cuori di quanti si prodigano in questo magma di dolore lasciano sperare, ed il ricordo di chi ha deciso di scendere in questo scenario di continui soprusi e guerre, per morire poi su una croce, mi fa credere che una luce di pace sarà pure nascosta dietro qualche orizzonte.
Vi so vicini, ed a volte vorrei che vedeste con i miei occhi, per fissarvi su quegli sguardi di chi ha perso tutto, la famiglia nella guerra, il raccolto nell’alluvione, il figlio per la diarrea, i risparmi per un ladro, o per scaldarvi il cuore alla vista di una donna che partorisce sola, in una palafitta in un remoto villaggio, lontano da tutto e da tutti, con il marito inginocchiato al fianco, un legno che arde in un braciere per scaldarla… non credo che in altre scene avreste potuto vedere meglio rappresentato il mistero della Natività, di questa che ho visto a Sdau, piccolo villaggio su nel nord, due settimane fa.

(a don Mariano Piccotti e suor Anna Maria Vissani, da Phom Penh, Cambogia, 11 febbraio 1997)
Egli vede realizzata la sua vocazione nella “prossimità alle vittime” e ne loda Dio: “Ho raggiunto la mia leggenda personale”. Come dirigente dell’Organizzazione mondiale della sanità, si trova a girare tra Cina, Thainlandia, Laos, Cambogia e Filippine: “Lì trovo l’essenza del mio lavoro, sento l’odore della povertà e della privazione che alimenta come benzina il fuoco che anima la mia passione”. E’ felice che la famiglia lo segua nell’impresa: “Godevo al vedere i miei figli dentro capanne affumicate, a curiosare tra il nulla che costituisce la vita dei poveri”. E ancora: “Ringrazio Dio per tanta generosità nei miei confronti”.
Di figli Carlo ne ha tre, Tommaso, Luca e Maddalena, che hanno dai quindici ai tre anni, quando Giuliana li mette su un aereo e li fa tornare in Italia da soli, per restare con lui. Aveva voluto la famiglia con sé, quando aveva lasciato definitivamente l’Italia, nell’aprile del 2000, accettando la nomina ad esperto delle malattie parassitarie per il Pacifico occidentale, da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità.
“In quei problemi – dice dei più poveri con cui viene a contatto – crescerò i miei figli, sperando di vederli consapevoli dei grandi orizzonti che li circondano”.
Vive come un privilegio, un dono, un vanto, la possibilità di svolgere – quasi per professione – il ruolo del buon samaritano. Di questa vocazione così aveva scritto nel Natale del 1999 a Riccardo Grifoni, collega medico – impegnato anche lui in Medici senza frontiere – in missione in Afghanistan: “Caro Riccardo, in questi giorni ho ripetuto fino alla nausea che noi medici siamo privilegiati per l’opportunità che abbiamo di guardare e di toccare le persone… e sederci in quella posizione che è ‘accanto alle vittime’”.

Luigi Accattoli
Da La Voce di Padre Pio 5/2004

L’ultimo saluto di Carlo a Giuliana e la lettera da Phom Penh sono presi dal volume della giornalista di Avvenire Lucia Bellaspiga, pubblicato da Ancora: Carlo Urbani. Il primo medico contro la Sars. Simile è il volume di Jenner Meletti, giornalista della Repubblica, pubblicato dal Saggiatore e dal quale ho preso le altre citazioni: Il medico del mondo. Vita e morte di Carlo Urbani. Un terzo volume, sempre a un anno dalla morte, è stato pubblicato da Feltrinelli, curato da Marco Albonico, collega e amico del nostro: Carlo Urbani: le malattie dimenticate. Poesia e lavoro di un medico in prima linea.

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