Ero in attesa di trapianto e mi avete donato il vostro corpo

La Parabola del Giudizio nell’era globale

L’idea di riscrivere la Paragola del Giudizio di Matteo 25 mi è venuta dal racconto di una rifugiata etiope: “Arrivai a Lampedusa e riaprii gli occhi. Li avevo chiusi all’inizio della traversata due giorni prima. Vidi una donna che mi porgeva una coperta. Avevo una profonda ferita alla gamba che mi ero procurata in carcere, mi medicavano, mi disinfettavano, mi davano da bere, mi parlavano dolcemente e anche se non capivo nulla di ciò che mi dicevano, pensai: questo è il paradiso” (Centro Astalli,  Terre senza promesse, Avagliano Editore 2011).
L’idea era questa: di aggiornare all’era globale la parabola delle pecore e delle capre: “Ero un rifugiato senza documenti e mi avete accolto”. Di applicare – intendo – quelle parole di Gesù a ciò che avviene ai nostri giorni. Mi è parso un buon esercizio perché quelle sono parole straordinarie, tra le più efficaci che siano risuonate sulla terra e perché ciò che ne è venuto è il meglio della nostra umanità, che non avremmo conosciuto senza di esse.

Ero zingaro
e avete firmato per me
Dice dunque Gesù: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”.
Sono sei beatitudini – quell’elencazione è preceduta dalle parole “Venite benedetti del Padre mio” – che proverò a tradurre nella lingua e nella vita dei nostri giorni perché nuovi in parte sono oggi i bisogni ai quali deve rispondere il genio della carità. Oggi come ieri ci sono gli affamati e gli assetati, i malati, i forestieri e i carcerati; ma oggi in più di ieri abbiamo l’Haids e la droga, la solitudine dei piccoli e dei vecchi, i perseguitati dai regimi politici (c’erano già ieri ma oggi sono legione), la possibilità dei trapianti e del riscatto dall’handicap.
Mettiamo insieme la fame e la sete: “Ero con tanti altri su un barcone alla deriva e mi avete calato da un elicottero l’acqua e il pane”. Oggi è con il Sud del mondo che si identifica il Gesù dei bisogni primari. Tra i “beati” vi sono dunque i volontari che partono per aiutare sul posto, come chi raccoglie qui gli aiuti da inviare.
Può anche capitare che occasionalmente la fame, la sete e il freddo, la nudità e le ferite e la paura tormentino tutti insieme anche l’umanità della nostra Italia, per esempio in occasione di un terremoto, o di un nubifragio.
I forestieri, gli stranieri, i nomadi. Straordinaria modernità di quella parola di Gesù che sembra detta per noi. Mai l’umanità aveva avuto un problema di accoglienza dello straniero come oggi. E se i cristiani sono in prima linea, su questo fronte, è perché a ciò li ha preparati quel versetto di Matteo.
Insieme agli immigrati, i rifugiati. Sia per l’immigrato, sia per il rifugiato ci sono mense e dispensari nelle nostre città, dove i volontari danno il loro apporto di calore umano prima che di aiuto materiale. “Non conoscevo la lingua e mi hai fatto da interprete”.
Ero zingaro e avete firmato per me quando mi fu assegnato un alloggio dal comune ed era richiesta una garanzia”. “Ero uno studente straniero e avete garantito per me come è richiesto dal contratto in vigore nella Municipalità di Parigi”.
La protezione del perseguitato: io credo che vedremo molti sviluppi su questa frontiera. Una volta vigeva il criterio della non ingerenza, oggi ci dovremmo far guidare dal principio dell’ingerenza umanitaria.
Ero ebreo e mi avete nascosto”. Che emozione a scrivere – in nome di Gesù – “Ero ebreo e mi avete procurato documenti falsi”. Che bello fare carte false per il Regno.

L’impresa di far togliere
il cappotto a un barbone
Nudo e mi avete vestito: i barboni, i senza tetto. Nella mia parrocchia romana c’è un “servizio docce” gestito da un gruppo giovanile: lì i senza fissa dimora possono lavarsi, trovare dei vestiti puliti, farsi la barba. Molti non sono in grado di compiere questi esercizi e i volontari li aiutano a spogliarsi e rivestirsi. “Far togliere il cappotto a un barbone per la cura del proprio corpo è già un’apertura al mondo” dice il responsabile di Sos (Fondazione Exodus), Maurizio Rotaris. Sia a Milano sia a Roma ci si adopera per aiutare i barboni a spogliarsi.
Ero pazza e mi spogliavo e buttavo via i vestiti e voi dieci volte e più mi avete portato dei capi in buono stato e mi avete aiutato a indossarli”.
Ero malato e mi avete visitato – sia in ospedale sia in casa. Il volontariato ospedaliero, la visita ai malati a domicilio, l’assistenza volontaria ai malati terminali.
Già molto si fa ma molto di più si dovrà fare e inventare. “Ero colpito da Alzheimer e connettevo solo un’ora al giorno e voi siete restati con me per ore e ore ad ascoltare il mio vaneggiamento in attesa dell’ora buona per potermi parlare”.
Trapianti e donazioni – una nuova “compassione”. Se Gesù pronunciasse oggi la parabola del Giudizio, immagino che aggiungerebbe alla beatitudine della visita ai malati questa nuova a essa imparentata: “Ero in attesa di un trapianto e mi avete donato il vostro corpo”.
“Un samaritano che passava di là lo vide e ne ebbe compassione”: il donatore di organi non vede e anticipa la sua compassione. Mi pare di sentire la voce di Gesù: beati quelli che non hanno visto e hanno avuto compassione.

Ero in carcere a Singapore
per spaccio di droga
Ero in carcere: com’è difficile questa misericordia. Anche qui non possiamo non ammirare l’attualità delle parole evangeliche. Quanto abbiamo da fare su questo: oggi non è neanche previsto che si vada in carcere a trovare qualcuno. Devi avere titolo per poterlo fare: avvocato, parente, cappellano, assistente sociale.
Dobbiamo impegnarci civilmente per conquistare la condizione legale e logistica indispensabile per l’esercizio di quest’opera di misericordia. E oggi ci sono carcerazioni planetarie che chiedono una misericordia più mossa: “Ero in carcere a Singapore per spaccio di droga e mia moglie – che nulla sapeva di quella mia attività – è venuta da Milano con i due bambini per assistermi e portarmi un avvocato”.
Ero senza famiglia e mi avete adottato”. Le adozioni e gli affidi, le famiglie allargate e le case famiglia, le case per ragazze madri: vasta è oggi l’opera di aiuto ai bambini abbandonati e alle madri sole. Chi si avvedesse che da lui non c’è, invece di fare il saccente a contraddirmi si adoperi perchè vi sia.
Dovremmo farci ancora e ancora sensibili all’adozione, a considerare nostri – divenendo adulti – i figli di tutti. Egli ci dice che quanto faremo a un bambino l’avremo fatto a lui.
Ero vecchio e solo e mi avete fatto compagnia”. Un tempo c’erano il parentado e il vicinato che costituivano una rete di protezione per le persone sole. Oggi la solitudine è un destino assicurato per i bambini senza genitori e per gli anziani senza parenti, o che i parenti hanno abbandonato.
I vecchietti in abbandono saranno numerosi nel nostro futuro. E magari non saranno sempre necessità straordinarie: “Avevo bisogno di compagnia e sei venuta a pranzo da me”. “Ero un ospite dell’Ostello della Caritas e avete ascoltato i miei racconti sconnessi”.
Ero una donna molestata per via nella notte e mi avete soccorso mettendo in fuga il molestatore”. “Ero a terra dopo uno scippo e voi vi siete fermati, mi avete procurato un bicchiere d’acqua e mi avete accompagnato a fare la denuncia e poi fino a casa”.

Ero un handicappato
e avete spinto la mia carrozzella
Ero un tossico, un alcolista, un travestito e mi siete restati vicini, mi avete parlato. “Ero uno zingaro ubriacone e non vi siete vergognati di fermarvi a parlare con me”.
Ero una prostituta costretta al marciapiede e voi un cliente spensierato e io piangevo e voi avete avuto compassione e mi avete accompagnato dalla polizia a denunciare gli sfruttatori e poi da una comunità che mi ha preso in custodia”.
Ero un malato di Aids e non vi siete vergognati di tenermi la pano e non avete avuto paura di ferirvi con l’ago della flebo che mi alimentava”. Vi sono iniziative cristiane di soccorso, anche nella mia Roma, promosse con coraggio fin dalle prime manifestazioni di questo male da don Luigi Di Liegro che è stato un autentico genio della carità per questa città.
Francesco che serviva i lebbrosi, o Luigi Gonzaga gli appestati potrebbero essere le icone di questa misericordia.
Ero un handicappato e avete spinto la mia carrozzella” – anzi: avete lottato con me perché io fossi accettato a scuola, nelle associazioni, nei luoghi del lavoro e del divertimento. “Ero su una sedia a rotelle e vi siete battuti per togliere le barriere architettoniche”.
Nel giorno del Giudizio farà la differenza avere spinto la carrozzella ma sarà ancora più importante esserci adoperati per l’inserimento – come si dice – dei portatori di handicap nei luoghi della vita associata.
Alcune di queste solidarietà evangeliche nel passato non erano possibili, o non erano frequenti come oggi. L’accettazione del bambino menomato, la scelta del bambino menomato per l’adozione, l’aiuto alle ragazze madri, il sostegno agli handicappati per il loro riscatto sono doni dello Spirito alla nostra epoca.

Non avevo l’uso delle mani
e mi avete procurato un nuovo computer

Non tutto è negativo in questo tempo. Dobbiamo discernere: cioè vedere bene e scegliere. Resistere agli appiattimenti ma anche approfittare delle nuove sfide e dei nuovi spazi che oggi si offrono al genio della carità.
Non avevo l’uso delle mani e avete studiato per me un adattamento della tastiera del computer in modo che io potessi muovere i tasti con un’asticciola fissata alla fronte per mezzo di una cuffia di gomma”.
Siccome è sempre bene sentire l’altra campana, tornerò sulla parabola del Giudizio il prossimo mese, occupandomi stavolta delle capre: “Lontano da me, maledetti”.
Luigi Accattoli

Da Il Regno 20/2011

Commento

  1. […] “Ero in attesa di trapianto e mi avete donato il vostro corpo – ero un rifugiato senza documenti e mi avete accolto – ero zingaro e avete firmato per me”: ho provato ad aggiornare all’era globale la Parabola del Giudizio delle pecore e delle capre. Per vedere l’effetto che fa leggi qui. […]

    2 Febbraio, 2012 - 10:20

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