Viganò Fellay e le spine di Benedetto

Articolo pubblicato da LIBERAL alle pagine 12 e 13 il 7 febbraio

Povero Papa: egli è tutto concentrato sulla “crisi della fede” e deve invece occuparsi in queste settimane di questioni di governo grandi e piccole che sono per lui vere spine nella carne. Due in particolare: quella grande della trattativa per il rientro dei lefebvriani, che rischia di fallire; e quella piccola della lotta interna al Vaticano sulla gestione del denaro e degli appalti. Su questa seconda abbiamo avuto sabato 4 febbraio un comunicato che sconfessa duramente l’arcivescovo Viganò. Sulla prima c’era stato un rilancio da parte lefebvriana due giorni prima, in occasione della Candelora.

Partiamo dalla questione piccola riguardante l’iniquo mammona. I fari dei media tornano a esplorare la selva oscura delle finanze vaticane, stavolta quelle del Governatorato, il 25 gennaio con la trasmissione “Gli intoccabili” di Gianluigi Nuzzi su La7, che dà conto di due lettere – ovviamente riservate – del nunzio a Washington Carlo Maria Viganò che l’anno scorso si appellava al Papa (il 27 marzo) e al Segretario di Stato Bertone (8 maggio) contro il suo “passaggio” da segretariato del Governatorato a nunzio negli Usa, affermando di essere vittima di una congiura che voleva allontanarlo da quell’incarico avendo egli contrastato una gestione con caratteristiche clientelari e omertose, responsabile di gravi abusi.

Nonostante quei ricorsi al Papa e al cardinale Bertone l’ottobre scorso Viganò viene mandato nunzio a Washington. La sua presenza al Governatorato era durata due anni ed era stata caratterizzata da un drastico riordino di procedure e competenze con forte taglio di spese e rapido miglioramento del bilancio. Non conviene addentrarsi nelle accuse mosse da Viganò e nelle contestazioni a esse che sono venute dal comunicato di sabato. Teniamoci alla sostanza della vicenda.

In risposta al clamore sollevato dalla trasmissione, il 26 gennaio il portavoce vaticano Lombardi aveva riconosciuto “aspetti molto positivi” alla gestione Viganò, pur invitando a una “valutazione più adeguata” delle circostanze che avevano favorito il “risanamento”; ma soprattutto contestava – alla trasmissione e indirettamente a Viganò – la presentazione della gestione del Governatorato come caratterizzata “in profondità da liti, divisioni e lotte di interessi”. Importante era poi la conclusione: «Va riaffermato decisamente che l’affidamento del compito di nunzio negli Stati Uniti a mons. Viganò è prova di indubitabile stima e fiducia da parte del Papa».

Il comunicato di sabato – invece – si presenta come una contestazione in sette punti delle affermazioni contenute nelle due lettere di Viganò, nulla riconosce direttamente a costui e non accenna alla “fiducia” di cui egli gode come nunzio. C’è – tra i commentatori – chi ne tira la conclusione che quella fiducia non vi sia più. Non condivido questa lettura, né l’altra – che pure è stata avanzata – di una revoca della “fiducia” attestata dal portavoce stante la maggiore autorità dei firmatari del comunicato.

Non la condivido perché il portavoce parla a nome della Santa Sede – e dunque dietro le sue parole sulla “fiducia” dobbiamo ipotizzare l’avallo del Papa – mentre i firmatari del comunicato parlano a nome proprio e dell’istituzione Governatorato di cui sono stati o sono responsabili. Si tratta infatti dei due cardinali, ex presidente e presidente, Giovanni Lajolo e Giuseppe Bertello, dell’attuale segretario Giuseppe Sciacca e dell’ex vicesegretario Giorgio Corbellini (che fu vice di Viganò, come Lajolo fu il suo superiore).

Per brevità la mia lettura degli eventi la dico in quattro punti.

Primo: è vero che nella gestione del Governatorato vi sono stati abusi e zone oscure ed è altrettanto vero che il risanamento Viganò ha pestato i piedi a molti e creato – oggettivamente – una situazione di contrasto forse insostenibile.

Secondo: lo spostamento di Viganò a Washington tendeva a rendere governabile quel contrasto, salvando il buono introdotto da Viganò (sia Lombardi sia i quattro affermano che si andrà avanti con “trasparenza e rigore”) e compensando il sacrificio di quest’ultimo con un’uscita onorevole.

Terzo: il rilancio della querelle con la divulgazione delle due lettere di Vigano non credo sia da attribuire al nunzio – si tratterebbe di un gesto suicida – ma ai suoi avversari, non soddisfatti del compromesso di cui al secondo punto e desiderosi di togliere autorevolezza all’operato del Viganò.

Quarto: la fiducia del Papa verso il nunzio Viganò può permanere nonostante il comunicato dei quattro perché costoro non hanno autorità su di lui, ma egli dovrà accettare il compromesso di cui al secondo punto che inizialmente aveva rifiutato, dando magari un segno pubblico di tale accettazione.

Aggiungo due annotazioni. Una riguarda il “chi è” della fuga documentale: dico che non può essere Viganò perché sui fogli c’è il timbro con data “ricevuto il” della Segreteria di Stato: dunque non è il mittente che li fa fuggire, ma qualcuno dei riceventi. L’altra attiene al comunicato dei quattro: esso non aveva la finalità di determinare la sorte del nunzio Viganò, che ormai appartiene ad altra “amministrazione”, ma quella di ristabilire l’onorabilità dei vecchi e nuovi gestori del Governatorato.

E ora passiamo ai lefebvriani. Sapevamo già da interviste del “presidente della Fraternità San Pio X” e da indiscrezioni giornalistiche che il preambolo dottrinale che era stato consegnato loro dai rappresentanti della Congregazione per la dottrina della fede il 14 settembre scorso non aveva la loro “approvazione”: lo diceva con chiarezza il superiore della Fraternità, il vescovo Bernard Fellay, in un’intervista pubblicata il 27 novembre dal bollettino ufficiale online (www.laportelatine.org) del distretto francese della Fraternità.

Ciò che apprendiamo di nuovo dall’omelia dello stesso Fellay nel giorno della Candelora è una sua diretta formulazione dell’impossibilità di accettare i due punti riguardanti la libertà religiosa e l’ecumenismo, segnalati dal preambolo come decisivi: “I nostri interlocutori danno un altro significato [rispetto a noi] alla parola ‘tradizione’ ed è per questo che siamo stati costretti a dire di no. Non firmeremo quel documento (…). Il problema è che in questo testo danno due esempi di cosa e come dobbiamo capire questi principi. Questi due esempi che ci forniscono sono l’ecumenismo e la libertà religiosa, come sono descritti nel nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, che sono esattamente i punti per i quali critichiamo il Concilio”.

Che dobbiamo cavarne? Se non possono accettare quanto dice il Catechismo – che è stato elaborato sotto la direzione del cardinale Ratzinger e il cui Compendio è stato promulgato da Benedetto XVI poco dopo l’elezione – certo non potranno attendersi che venga accettata, da Papa Benedetto, la loro controproposta, così formulata da Fellay nell’omelia: “Se ci accettate così come siamo, senza cambiamenti, senza obbligarci ad accettare queste cose, allora siamo pronti.  Ma se volete farci accettare queste cose, non lo siamo”. “Così come sono” Roma non li può accettare – ciò è stato affermato da Paolo VI, da Giovanni Paolo II, da Benedetto XVI – e dunque dobbiamo cavare da quell’omelia un’ulteriore argomento a favore di chi prevede che la riconciliazione non si avrà, almeno sotto questo Papa e con questa leadership della Fraternità.

Ma sappiamo la pazienza e la prudenza del Papa. Io credo che non taglierà i ponti con il drammatizzante Viganò (credo cioè che favorirà, per quanto lo riguarda, la sua permanenza alla nunziatura di Washington) e credo che cercherà ancora una via d’uscita dall’impasse che si sta delineando con i lefebvriani. Ma non tanto per una sua fiducia nella soluzione in positivo delle due questioni ma per l’avvertenza che la vera questione è quella della fede: della possibilità o meno di credere oggi nel Dio di Gesù Cristo, a petto alla quale la disputa sul governo delle finanze e persino quella sull’interpretazione del Vaticano II sono decisamente secondarie.

Luigi Accattoli

Commento

  1. […] Povero Papa: egli è tutto concentrato sulla “crisi della fede” e deve invece occuparsi in queste settimane di questioni di governo grandi e piccole che sono per lui vere spine nella carne. Due in particolare: quella grande della trattativa per il rientro dei lefebvriani, che rischia di fallire; e quella piccola della lotta interna al Vaticano sulla gestione del denaro e degli appalti. Su questa seconda abbiamo avuto sabato 4 febbraio un comunicato che sconfessa duramente l’arcivescovo Viganò. Sulla prima c’era stato un rilancio da parte lefebvriana due giorni prima, in occasione della Candelora. – E’ il promettente avvio di un mio cavilloso articolo pubblicato oggi da LIBERAL che puoi leggere qui. […]

    7 Febbraio, 2012 - 20:30

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