Dodici certosini fucilati a Farneta nel 1944

Testo sui certosini di Farneta uccisi dai tedeschi nel 1944 quale è pubblicato nel volume di Luigi Accattoli, Nuovi Martiri. 393 storie cristiane nell’Italia di oggi (San Paolo 2000). La numerazione progressiva indica la collocazione dei dodici certosini nell’insieme del volume

153. Martino Binz

sacerdote della Certosa di Farneta (Lucca),svizzero d’origine e priore della comunità

154. Bernardo Montes de Oca

già vescovo di Valencia (Venezuela),novizio

155. Gabriele Maria Costa

sacerdote della Certosa di Farneta, procuratore

156. Pio Egger

sacerdote della Certosa di Farneta, svizzero d’origine e maestro dei novizi

157. Adriano Clerc

fratello laico della Certosa di Farneta

158. Adriano Compagnon

fratello laico della Certosa di Farneta, francese d’origine e professore di teologia

159. Giorgio Maritano

fratello laico della Certosa di Farneta

160. Michele Nota

fratello laico della Certosa di Farneta

161. Raffaele Cantero

fratello laico della Certosa di Farneta

162. Bruno D’Amico

fratello laico della Certosa di Farneta

163. Benedetto Lapuente

sacerdote della Certosa di Farneta, spagnolo d’origine e sacrista

164. Alberto Rosbach

fratello laico della Certosa di Farneta

ecco il fatto cristianamente forse più significativo tra quelli della resistenza italiana all’occupazione tedesca: sono dodici monaci della Certosa di Farneta che vengono fucilati dai tedeschi nel settembre del 1944, perché nascondono nel monastero e nelle sue dipendenze un centinaio di perseguitati e ricercati dai nazifascisti, compresi partigiani ed ebrei. Li abbiamo elencati nell’ordine in cui vennero fucilati, a piccoli gruppi e in diversi luoghi, insieme a circa 300 altri rastrellati, lungo la strada che da Camaiore porta a Massa e sulla riva sinistra del torrente Frigido, due il 7 settembre e gli altri il 10 settembre.

Il vescovo Bernardo era entrato nella Certosa dopo aver rinunciato al Vescovado di Valencia (Venezuela). Raffaele è spagnolo, Adriano Clerc è svizzero e Adriano Compagnon è francese. Il vero bersaglio dei tedeschi è il “procuratore”, cioè l’economo della Certosa, Gabriele Maria Costa, l’unico a godere – in quanto responsabile dei lavori agricoli e artigianali del monastero – di una relativa libertà di movimento e l’unico in contatto con gli ambienti partigiani: è a lui che spetta organizzare l’ospitalità decisa dal priore.

Il padre Costa ha una vasta esperienza culturale: 46 anni, ex impiegato di banca, entrato alla Certosa di Vedana a 24 anni, è passato per la Grande Certosa di Francia, per quelle di Firenze e di Trisulti. Durante il periodo trascorso nella Certosa di Firenze (1929-1933) ha conosciuto Giorgio La Pira, di cui è confessore e che nel 1942 ha scritto la prefazione della biografia di san Bruno (fondatore dei certosini), pubblicata dal padre Costa con lo pseudonimo di A. Mariani. In quella prefazione La Pira sintetizza così lo spirito con cui lui e il padre Costa avevano riflettuto sulla tradizione certosina e la storia d’Europa nei primi anni della guerra: “Solo una vasta ripresa di valori contemplativi, accompagnata da una vasta donazione di valori temporali, potrà ridare volto cristiano e pace cristiana a questa desolata e lagrimante e già cristiana Europa”.

Il numero dei rifugiati alla Certosa varia di continuo, ma tende sempre ad avvicinarsi al centinaio. Giovani in fuga dalla leva, meridionali restati isolati dall’avanzata del fronte, antifascisti d’ogni tendenza, ebrei e partigiani braccati sono ospitati nella foresteria e d’estate nella grande loggia sopra il chiostro, ma anche in ambienti più riservati, come le stanzette del “definitorio” e qualche cella monastica senza occupanti. Alcuni gruppi vengono messi al sicuro nei casolari contadini dipendenti dalla Certosa: una colonia di ebrei livornesi per esempio è ospitata nelle casette di Formentale, ma altri ebrei – tutti uomini – sono nella Certosa, vestiti da monaci.

Il padre Costa “ogni tanto portava un ebreo, qualche volta due, sempre camuffati, a visitare le propri mogli che erano rifugiate dalle suore zitine e – racconta una suora – faceva un certo effetto vedere in parlatorio dei monaci abbracciare e baciare delle monache” ( A. Andreini, La verità rende liberi, Lucca, 1998, p. 50).

Nella notte tra il 1° e il 2 settembre 1944 le SS fanno irruzione nella Certosa e i monaci vengono sorpresi nel coro della chiesa, mentre stanno per cantare mattutino. Un sergente con i calzoni corti della divisa estiva, mitra a tracolla e fanalino sul petto, intima: “Mani in alto! Chi parla, grida, o fa segni, è fucilato immediatamente!” Hanno piazzato una mitragliatrice pesante nel cortile d’onore, dove vengono ammassati, faccia al muro, i rifugiati, mentre i monaci vengono raccolti in portineria.

I certosini sono costretti a vestirsi in borghese e vengono a più riprese divisi e suddivisi tra i “validi al lavoro”, da deportare in Germania e gli invalidi da eliminare. Gli invalidi vengono tenuti prigionieri prima in un frantoio di Nocchi eppoi al Forte di Malaspina. I primi due del nostro elenco vengono uccisi durante un trasferimento a piedi, perché incapaci di camminare. Gli altri nel mezzo della grande uccisione di domenica 10 ottobre, conosciuta come “strage del torrente Frigido”: a due e tre per volta, una camionetta che li preleva dal Forte e torna scarica.

I certosini presenti a Farneta al momento dell’irruzione tedesca sono 28. I monaco validi al lavoro sono sedici e vengono avviati al campo di concentramento di Fossoli, in vista della deportazione in Germania. Ma il vescovo di Carpi ottiene dal comando tedesco che partano per la Germania (lavoreranno in una fabbrica di Berlino e rientreranno tutti in Italia dopo la guerra) solo i dieci “fratelli laici”, pratici del lavoro manuale, mentre gli altri, sacerdoti o studenti, gli vengono affidati in custodia.

Uno dei sopravvissuti, Astorre Baglioni – che è tra i “deportati” a Fossoli e che sarà tra coloro che faranno rivivere la Certosa dopo la guerra – racconterà il clima di meditazione biblica e di affidamento a Dio in cui i monaci destinati alla morte o alla deportazione vivono i nove giorni di prigionia, nella lettura integrale – proposta in quei giorni dall’Officio certosino – del libro di Giobbe, che conducevano “adagiati sul pavimento e sul fieno” (Lazzarini).

Il più consapevole e mite tra i monaci si rivela il maestro dei novizi Pio Egger, di lingua tedesca, che fa da interprete con i carcerieri. Racconterà un prigioniero che riuscirà a fuggire: “Fu a tutti di conforto con le sue parole, o per meglio dire col suo cuore, con l’ardore della sua fede e persino col suo canto. Ero pronto a morire anch’io”.

Secondo il monaco Baglioni furono “giorni memorabili soprattutto perché ai certosini, e di riflesso anche agli altri, fu dato viverli con una serenità superiore, per qualcuno addirittura in una grande pace e intima felicità (…) le radicate abitudini certosine di vita regolare, e soprattutto di vita spirituale, animarono e dettero un po’ d’ordine a quelle giornate, che sembravano dover trascorrere nell’inerzia e nello sconforto: meditazione mattutina, confessioni e specialmente – ci eravamo dati premura di portar con noi qualche Diurnale e Breviario – l’Officio divino, che recitavamo insieme, a voce sommessa, come una salmodia. Da un altro lato dello stanzone, i fratelli laici con i civili recitavano il rosario. La sera, prima di provare se ci riusciva di dormire, il padre maestro rivolgeva a quest’unica, benché eterogenea famiglia, una parola di cristiana speranza, di esortazione alla fiducia e alla calma e ci dava una commovente benedizione” (Lazzarini).

Il particolare valore dei fatti della Certosa in ordine alla riscoperta cristiana dell’ebraismo è così attestato da Giorgio La Pira in un telegramma per il trentesimo anniversario della strage: “Sacerdoti et religiosi specie certosini testimoniarono come Maccabei con loro sangue et con loro Resistenza et a servizio degli uomini l’amore et la fedeltà a Dio et al popolo d’Abramo di Isacco et Giacobbe. Mentre tutto crollava essi videro sperando contro ogni speranza la genesi di una città nuova attorno alla fontana antica” (Dizionario storico del movimento cattolico, III/1, pp.262s, alla voce Gabriele Costa).

 

Martirologio del clero italiano, pp. 45, 56, 61, 75, 76, 78, 84, 97, 132, 145, 162, 194.

P. Lazzarini, La Certosa di Farneta, Lucca 1975 (pp. 80-88 e 171-187).

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