Lucio Dalla in San Petronio come e perché

Articolo pubblicato da LIBERAL il 6 marzo 2012 a pagina 14 con il titolo

“Non c’è ipocrisia nell’addio a un gay”

 

Ad ampliare la generosità delle “esequie” nelle chiese c’era stato, nel luglio del 1997, il funerale di Gianni Versace nel Duomo di Milano e nel settembre del 2007 quello di Luciano Pavarotti nel Duomo di Modena. Ma credo che la messa di addio dell’altro ieri per Lucio Dalla in San Petronio, a Bologna, sia stato un fatto di maggiore peso e non solo un’altra eccezione riconosciuta a un personaggio troppo amato da tutti per poterlo salutare con discrezione.

Dalla era un omosessuale come Versace ed era un cattolico praticante – e trasgressivo – come Luciano Pavarotti, che non era omosessuale ma divorziato e risposato. La gran fama popolare e la condizione di cristiani marginali unisce i tre casi. Ma in Dalla c’è di più.

Due sono le novità venute da San Petronio: quella messa di addio non è stata solo un “atto dovuto”, di carattere cittadino più che ecclesiale, come – più o meno – nei due casi precedenti, ma essa si è svolta come un esplicito riconoscimento comunitario del “credente e praticante” Lucio Dalla; ad essa era presente e al termine di essa ha parlato – commuovendo tutti – quel Marco Alemanno che da otto anni era il “compagno” inseparabile di Lucio, il quale era ben noto come omosessuale, anche se non ostentava né rivendicava, anzi viveva con domande e con qualche disagio quella sua condizione.

Per capire quello che è successo in San Petronio occorre qualche minimo richiamo al cristiano Dalla. Abbiamo visto il teologo Vito Mancuso leggere la prima lettura, il padre domenicano Bernardo Boschi tenere l’omelia, Enzo Bianchi formulare le intenzioni della “preghiera dei fedeli”, il francescano Enzo Fortunato dare voce a un saluto venuto dal Sacro Convento di Assisi: sono le persone e gli ambienti con i quali Lucio conduceva la sua combattuta ricerca di Dio. E bisognerebbe aggiungere i benedettini del monastero di Santo Stefano in Bologna, nonché il prete della parrocchia vicina a casa, in piazza dei Celestini, dove Lucio era stato battezzato e dove andava a messa la domenica e qualche volta leggeva all’ambone.

Stregato fin dai tempi di “Gesù bambino” (titolo originale della canzone “4 marzo 1943” di Sanremo 1971) dalla dolcezza creativa del suo canto, dei suoi testi, dei gorgheggi, delle “clownerie”, degli istrionismi leggeri che lo caratterizzavano, ho sempre considerato Lucio Dalla un menestrello cristiano che riusciva a dire a suo modo la fede evangelica all’umanità di oggi.

Il 9 luglio 1999 aveva avuto la laurea ad honorem in Lettere e Filosofia (Discipline di arte musica e spettacolo) dall’Università di Bologna. Ecco: per me quella messa di addio è l’equivalente per la Chiesa di ciò che quella laurea era stata per l’Università. L’Università di Bologna l’aveva riconosciuto come un maestro della comunicazione, la Chiesa di Bologna l’ha riconosciuto come un suo figlio.

Aveva musicato i Salmi, aveva compsto il testo della canzone Caro amico ti scrivo in conversazione con il padre Michele Casali, in uno dei chiostri dello storico convento domenicano di Bologna. «La fede cristiana è il mio unico punto fermo, è l’unica certezza che ho», aveva detto all’Osservatore Romano nel settembre del 1997: «Sono credente. Credo in Dio perché è il mio Dio. Lo riconosco negli uomini, nei poveri soprattutto, in tutti coloro che hanno bisogno di aiuto. Mi ha sempre colpito la decisione di Cristo di nascere povero. Lui, povero, è il futuro. Gesù capiva la gente, i suoi amici erano pescatori, prostitute, persone semplici e povere».

“Io credo che la morte sia solo la fine del primo tempo (…). Ci ho sempre creduto. È stato uno sviluppo continuo, ed è sempre rimasto intatto questo stupore davanti al mistero. Credo più nelle cose che non si vedono che in quelle che si vedono. Quello che non vediamo c’è di più” (intervista a Io donna del 5 novembre 2011).

Possiamo salutare con favore quanto è avvenuto in San Petronio. Ci è arduo ma dobbiamo prendere atto che ci sono in mezzo a noi tanti omosessuali cristiani, benchè la cristianità non li sappia riconoscere. Ogni cristiano e ogni cristiana sanno che il fratello o la sorella, il figlio o la figlia, l’amico o l’amica omosessuale è capace di amare e di ricevere amore. E sanno che è questo che conta di fronte a Dio. L’insieme dei cristiani – cioè la Chiesa – sa che gli omosessuali non sono estranei all’azione della Grazia e, se sono credenti, avvertono il bisogno, l’ansia, di sentirsi dire che la loro vita di fronte a Dio non è inutile, ma è anzi preziosa.

Il cristiano e la Chiesa sanno tutto questo ma ancora non hanno le parole per dirlo. Abbiamo alle spalle una storia troppo lunga di persecuzione degli omosessuali motivata con le Scritture perché sia possibile proclamare le Scritture a loro saluto. E’ stato possibile – ed è avvenuto in maniera credibile – nel caso di Lucio Dalla sia per la intensità della sua ricerca nella fede, sia a motivo della discrezione e del riserbo con cui egli aveva vissuto la sua condizione.

A chi protesta perché in chiesa hanno chiamato Marco Alemanno “amico e collaboratore”, invece che “compagno” di Lucio, io dico che questa reticenza era un prezzo accettabile perché egli potesse parlare. A chi accusa la Chiesa di ipocrisia perché concede al Dalla discreto ciò che non concederebbe al Dalla dichiarato dico che va rispettata la fatica degli uomini di Chiesa a conciliare le condanne dell’omosessualità che sono nelle lettere dell’apostolo Paolo e la “comprensione” per la situazione delle persone omosessuali che è l’unica parola di cui dispongano al momento e da appena mezzo secolo.

A tutti quelli che si sono interessati ai fatti di San Petronio, dedico le parole della canzone di Lucio “Amore disperato” che dice tutto sulla condizione in cui è vissuto e sulla domanda che si poneva: “Che cosa vuoi sapere, è meglio non sapere / L’amore che mi chiedi non può finire bene / Non può finire bene / Il cielo non lo vuole (…) Amore disperato / Amore mai amato / Amore messo in croce / Amore che resiste / E se Dio esiste / Voi, voi / Vi ritroverete là, là”.

Luigi Accattoli

www.luigiaccattoli.it

2 Comments

  1. […] Ad ampliare la generosità delle “esequie” nelle chiese c’era stato, nel luglio del 1997, il funerale di Gianni Versace nel Duomo di Milano e nel settembre del 2007 quello di Luciano Pavarotti nel Duomo di Modena. Ma credo che la messa di addio dell’altro ieri per Lucio Dalla in San Petronio, a Bologna, sia stato un fatto di maggiore peso e non solo un’altra eccezione riconosciuta a un personaggio troppo amato da tutti per poterlo salutare con discrezione. Dalla era un omosessuale come Versace ed era un cattolico praticante – e trasgressivo – come Luciano Pavarotti, che non era omosessuale ma divorziato e risposato. La gran fama popolare e la condizione di cristiani marginali unisce i tre casi. Ma in Dalla c’è di più. – E’ il guardingo attacco di un mio articolo per il quale già sento la grandine, pubblicato oggi da LIBERAL con il titolo Non c’è ipocrisia nell’addio a un gay. […]

    6 Marzo, 2012 - 13:30

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