Serve una banca vaticana?

 Non è la pedofilia ma anche per lo IOR

ci vorrebbe un poco di penitenza

 

Questa è una puntata penitenziale e – insieme – una richiesta di aiuto. Penitenza per gli scandali in re oeconomica che travagliano la Chiesa e richiesta di aiuto a chi ne sa di più per riaffrontare domani l’argomento. Ma intanto l’affronto come posso, perché altrimenti – aspettando i saggi e i competenti – finisce che nessuno si muove.

Ho sempre evitato, per quanto potevo, di occuparmi di finanze della Santa Sede a motivo del pregiudizio dei laici e dell’ipocrisia dei chierici che sequestrano a doppia mandata l’intera materia. Essendoci tanto da raccontare sulla Chiesa, occuparsi del denaro mi è sempre parsa una scelta al ribasso, come se uno potendo accostare i dodici che vanno di villaggio in villaggio scegliesse di conversare con Giuda sulle spese di una giornata in Samaria.

 

Le porte agli immigrati

le apra il Vaticano”

Ho cambiato idea per tre circostanze concomitanti la più importante delle quali è la promulgazione delle leggi vaticane sull’antiriciclaggio et similia avvenuta il 30 dicembre 2010. Le altre circostanze sono una mia occasionale partecipazione a un’assemblea studentesca e la lettura del libro Vaticano S.p.A. di Gianluigi Nuzzi (Chiarelettere 2009).

Ma già lungo il 2009 avevo avuto l’occasione di interrogarmi a ruota libera – nel mio blog – sull’opportunità che nel terzo millennio si prolunghi quella specie di gioco allo stato-bonsai che caratterizza ancora la vita della cittadella vaticana. “Che le porte le apra il Vaticano” ha detto una volta – agosto 2009 – il ministro Bossi a proposito degli immigrati: una tipica boutade bossiana che segnala l’inopportunità, nel mondo globale, che il Vaticano continui a giocare al piccolo stato che ha leggi proprie su ogni questione, oggi come nel 1929, quando tornò a godere di riconoscimento internazionale a seguito dei Patti Lateranensi e ritenne di dover riportare in vigore – anche per ragioni ideologiche e di “riparazione” storica – le leggi e le istituzioni che tutti gli avevano riconosciuto fino al 1870. Un gioco non più necessario e aperto a ogni equivoco, se l’interlocutore ha bisogno di un argomento polemico.

E’ tempo di riflettere sull’opportunità di protrarre le finzioni legislative e istituzionali (moneta e francobolli, carceri e tribunali…) che parvero necessarie ottant’anni addietro per vedersi riconosciuta una piena sovranità statuale in faccia al mondo. Oggi quasi nessuno più la contesta – quella sovranità – e a nessuno verrebbe in mente di legarla alla presenza o meno di proprie leggi e corrispondenti istituzioni.

 

Se la Santa Sede

rinunciasse alla sua banca?

Le nuove norme “per la prevenzione e il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario” mi hanno indotto a chiedermi – sempre nel blog, dove uno è libero come il vento – che ne sarebbe “se il Vaticano rinunciasse alla sua banca” (post del 30 dicembre).

Ma molto di più mi sono risultate provocanti le tre ore che ho passato il 30 novembre in dialogo con un’assemblea autogestita del Liceo scientifico Cavour – a Roma – sul tema Chiesa-Stato, con Stefano Rodotà e il parroco romano don Paolo Tammi: la metà delle obiezioni mosse dai ragazzi alla Chiesa riguardavano l’uso del denaro, gli scandali dello IOR, i sospetti su sue attività recenti che sono ancora sotto l’indagine della magistratura italiana. In quei ragazzi che mi facevano domande rivedevo i miei figli e i loro sfottò lungo gli anni: “Bada papà che per la maggior parte della gente il Vaticano non è quello che dici tu, ma un posto dove si va a fare la spesa sottocosto”.

A nome di quei ragazzi mi sono dunque chiesto: perché portarsi dietro questo peso? Nel mondo globale di oggi le esigenze di indipendenza dalle politiche economiche degli Stati – che furono all’origine dell’Istituto – possono benissimo essere soddisfatte, come fa il CEC di Ginevra, con delle convenzioni con le maggiori banche dei maggiori paesi: distribuendo depositi e investimenti in una molteplicità di istituti ci si garantirebbe dai rischi di crisi o manovre ostili da parte di malintenzionati. Certo si pagherebbe un pedaggio in termini economici, come ognuno di noi paga i servizi bancari di cui si avvale, ma quel costo sarebbe ripagato dal vantaggio di immagine che verrebbe alla Chiesa da un gesto forte di distacco dal mondo – reale o presunto – del mercimonio.

Scansata – si fa per dire – l’obiezione sull’indipendenza, mi è arrivata quella sul “vantaggio” economico che l’IOR garantisce ai titolari dei depositi e al papa: paga infatti un interesse più alto – perché esentasse – rispetto a quello delle banche della zona euro e consegna annualmente al papa il proprio “utile”. La cifra non viene pubblicata: il bilancio dello IOR non entra nel Bilancio della Santa Sede di cui viene dato ai media un resoconto annuale. Ma essa è alta, paragonabile a quella dell’Obolo di San Pietro e – si dice – generalmente a essa maggiore. Le cifre certe – consegnate dallo IOR al papa – che si conoscono fino a oggi, fornite dal citato volume Vaticano S.p.A., sono di 20 miliardi di lire italiane nel 1989; 60,7 nel 1992; 72,5 nel 1994; 78,3 nel 1995; 78,3 nel 1996 [vedi il volume citato, alle pagine 195-199].

 

La convenienza

attira il malaffare

Rinunciando all’Istituto si ridurrebbero i mezzi economici a disposizione della Santa Sede e della “carità del papa”, che sono già scarsi; e preti e famiglie religiose e diocesi ricaverebbero di meno dai loro “depositi”. Non sottovaluto queste obiezioni. Conosco quanto bisogna correre per sfamare cinque figli e so che la Santa Sede ne sfama di più.

Sono le stesse obiezioni nelle quali incorro quando immagino possibile che il Vaticano rinunci all’Annona e a ogni altro strumento a regime fiscale nullo, perché la vita mi ha insegnato che la convenienza attira il malaffare. E che ogni privilegio scandalizza. Non sottovaluto le obiezioni ma dico che la questione va affrontata. Qui si appunta la richiesta d’aiuto che dicevo all’inizio: c’è mai stato qualcuno, all’interno della Santa Sede, che l’abbia mai affrontata?

Le domande degli studenti in quell’assemblea al Cavour si basavano sul pamphlet – già citato – del collega Gianluigi Nuzzi. E così mi sono deciso a leggerlo ed è stato come se sognassi: documenta in maniera incontrovertibile il coinvolgimento dello IOR nel riciclaggio di denaro, nel pagamento di tangenti, nella pratica dei conti “impresentabili” coperti da prestanome. Il volume si basa su “documenti” forniti all’autore dagli esecutori testamentari di Renato Dardozzi (1922-2003), sacerdote di Parma che per più di vent’anni si è occupato dello IOR per conto della Segreteria di Stato.

Ho conosciuto Dardozzi quand’era segretario della Commissione cardinalizia per l’esame del caso Galileo. E’ lui che mi ha aiutato a ricostruirlo per il volume Quando il papa chiede perdono (Oscar Mondadori 1999). Mi dicono che negli ultimi anni fosse come spaventato, incapace di controllare le proprie emozioni e su questo non ho elementi. Prima era un uomo lucido e capace.

 

“Rendete pubblici

questi documenti”

Il suo archivio IOR raccoglie circa 4.000 documenti che mise insieme – forse in violazione dei compiti di ufficio – trovandosi a svolgere per oltre un ventennio il ruolo di consulente per i Segretari di Stato Casaroli e Sodano. Leggendoli mi sono fatto l’idea che il suo lascito testamentario – “Rendete pubblici questi documenti affinchè tutti sappiano” (vedi p. 5 del volume di Nuzzi) – non sia stato dettato da paranoia o desiderio di vendetta, come si va dicendo in vari ambienti vaticani, ma dall’idea che fosse necessario un gesto di rottura perché sullo IOR venisse detta la verità. Per quello che vale, io lo ringrazio di quella disposizione.

Con le leggi promulgate a fine 2010 si realizza quanto Dardozzi e – con lui – Casaroli , Caloia, Sodano, Nicora, Bertone, Lajolo, Gotti Tedeschi hanno cercato di fare e che in parte hanno fatto negli anni e che infine è andato “a regime” solo grazie ai vincoli venuti dall’Euro e dall’Unione Europea.

Ma se i Casaroli, i Sodano e i Bertone erano per la correttezza e la trasparenza, chi era ed è contro di loro? Si dice che resistessero alle innovazioni i Marcinkus, i De Bonis, i Castillo Lara; ma io credo che i resistenti fossero molti di più e resistesse, per così dire, lo stesso “sistema IOR”, con la sua ideologia del segreto e del “fine di religione”. Una resistenza diffusa, interna ed esterna, dettata dall’interesse e che dev’essere risultata a ogni tornante più forte della volontà di chiarezza dei vertici.

La vicenda dei fondi dell’ex ministro Gianni Prandini – per citare il caso più recente di un misterioso maneggio di denaro impropriamente destinato all’IOR – come quella del conto IOR del “gentiluomo” Angelo Balducci, nonché il sequestro ancora vigente da parte della magistratura italiana di 23 milioni di euro depositati dallo IOR presso il Credito Artigiano autorizzano ogni malo pensiero per l’oggi e non solo per il passato.

 

E’ ora di prendere atto  

di quello che è successo

Si eviteranno in futuro quegli errori che così facilmente diventano motivo di ‘scandalo’ per l’opinione pubblica e per i fedeli”: così ha puntualmente parlato il portavoce Federico Lombardi presentando il 30 dicembre le nuove leggi. Basta o non è necessario un esame di coscienza più specifico? Un coinvolgimento comunitario in una questione che pesa sulle spalle di tutti?

Io credo che sia necessario riconoscere pubblicamente quello che è avvenuto perché davvero ci si possa assicurare che l’errore non si ripeta. Credere in Gesù Cristo e seguire il papa non comporta alcuna particolare facilitazione nella resistenza alle tentazioni del potere, del sesso e del denaro, come mostrano le vicende della DC, della pedofilia e dello IOR.

Luigi Accattoli

Il Regno 2/2011

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