Edith Stein

Una lettera che riconcilia le memorie
Sono felice di essere stato tra i primi a leggere – dopo settant’anni di chiusura negli archivi vaticani – la lettera di Edith Stein a Pio XI, scritta il 12 aprile 1933 per chiedergli di intervenire a difesa degli ebrei. Il 15 febbraio aprivano quel settore degli archivi, e io ero là a cercarla.
Considero fortunato il lungo nascondimento di quella lettera, perché oggi siamo preparati a capirla nel profondo: la disputa su Chiesa e Shoah è ormai consegnata agli storici, Edith dal 1998 è santa, Giovanni Paolo II nel 2000 ha chiesto perdono agli ebrei.
Oggi quella lettera ci aiuta alla riconciliazione delle memorie: la questione del «silenzio» della Chiesa davanti alla persecuzione già la poneva, prima di ogni polemica, questa nostra sorella Edith. Oggi ognuno può porre quella domanda con le sue parole.

Amo da uomo il suo volto di donna
Io sono innamorato di Edith Stein da quando lessi Storia del mio primo semestre a Gottinga (Morcelliana, Brescia 1982), che mi fece conoscere una santa attraente e viva, come una compagna incontrata all’università: «Avevo allora 21 anni ed ero piena di attesa».
Amo da uomo il suo volto di donna. «Raissa e io non abbiamo mai dimenticato l’ardore, l’intelligenza, la purezza che illuminavano il volto di Edith Stein», ha scritto Jacques Maritain.
Infine è la Storia di una famiglia ebrea (Città nuova, Roma 1992) che me l’ha resa pienamente familiare, e qualche volta mi scopro a indovinare quale poteva essere la sua reazione di fronte a questo o quel fatto della sua epoca, o della sua condizione di ebrea cristiana, che mi azzardo a invidiare. Anche a motivo di questa condizione Edith mi appare come la più moderna figura di santa della Chiesa cattolica. Ecco perché aspettavo di leggere quella supplica al papa.
Colpisce il piglio diretto della lettera. Edith non è ancora carmelitana (entrerà nel Carmelo di Colonia nell’ottobre di quell’anno decisivo della sua vita) e si firma «dott.a Edith Stein»:
«Padre santo! Come figlia del popolo ebraico, che per grazia di Dio è da undici anni figlia della Chiesa cattolica, mi azzardo a esprimere al padre della cristianità ciò che preoccupa milioni di tedeschi.
Da settimane siamo spettatori, in Germania, di avvenimenti che comportano un totale disprezzo della giustizia e dell’umanità, per non parlare dell’amore del prossimo.
Per anni i capi del nazionalsocialismo hanno predicato l’odio contro gli ebrei. Ora che hanno ottenuto il potere e hanno armato i loro seguaci – tra i quali ci sono dei noti elementi criminali – raccolgono il frutto dell’odio che hanno seminato (…)».
Nell’aprile del 1933 la persecuzione nazista è appena avviata, ma Edith già tutto prevede: «Con la sua dichiarazione di boicottaggio – che toglie alle persone l’esistenza economica, l’onore civile e la patria – il governo spinge molti alla disperazione: da informazioni private sono venuta a conoscenza di ben cinque casi di suicidio, che nelle ultime settimane sono stati provocati da tale persecuzione.
Sono convinta che si tratta di un fenomeno generale che provocherà molte altre vittime. Si può ritenere che quegli infelici non avessero sufficiente forza morale per sopportare il loro destino. Ma se la responsabilità in gran parte ricade su coloro che li hanno spinti a tale gesto, essa ricade anche su coloro che di ciò tacciono».

«Se il silenzio durerà ancora»
Che forza acquista post factum – cioè dopo la Shoahe dopo il martirio, vissuto da Edith ad Auschwitz nel 1942 e riconosciuto dalla Chiesa 45 anni più tardi – l’accenno alle «molte vittime»e il richiamo alla responsabilità di «coloro che di ciò tacciono»! Oggi possiamo intendere come mai questo primo grido all’autorità della Chiesa sia venuto da una figlia del popolo ebraico, educato dai salmi e dai secoli a gridare al Signore, perché «non resti in silenzio».
«Tutto ciò che è accaduto e ciò che accade quotidianamente viene da un governo che si definisce “cristiano”. Non solo gli ebrei ma anche migliaia di fedeli cattolici della Germania e, ritengo, di tutto il mondo, da settimane aspettano e sperano che la Chiesa di Cristo faccia udire la sua voce, per fermare un tale abuso del nome di Cristo.
L’ idolatria della razza e del potere dello stato, con la quale la radio martella quotidianamente la masse, non è un’aperta eresia? Questa guerra di sterminio contro il sangue ebraico non è un oltraggio alla sacrosanta umanità del nostro Salvatore, alla beatissima Vergine e agli apostoli?(…).
Noi tutti, che guardiamo all’attuale situazione tedesca come figli fedeli della Chiesa, temiamo il peggio per l’immagine mondiale della Chiesa stessa, se il silenzio durerà ancora. Siamo anche convinti che questo silenzio non riuscirà, dopo tutto, a ottenere la pace dall’attuale governo tedesco».
Quattro sono le parole di Edith che ci confortano con il loro fuoco, conservato intatto dal silenzio degli archivi:
– la responsabilità di «coloro che di ciò tacciono»,
– la speranza che la Chiesa «faccia udire la sua voce»,
– il danno che può venire dal silenzio, se «durerà ancora»,
– l’inefficacia di quel silenzio ai fini della pace con il regime nazista.

La futura martire a futura memoria
Si direbbe che Edith abbia vissuto in anticipo e a nome di tutti il tormento che affliggerà generazioni di credenti, fino alla nostra e oltre. È per ciò che considero riconciliante questo testamento della futura martire, a futura memoria. Esso ci ha misteriosamente aiutati a mantenere la fede in quel silenzio che si prolungò, in quella pace che non ottenne, nel risentimento che provocò e che portò ad accuse ingiuste, oltre che a giuste proteste.
Ci resta da ascoltare l’ultimo paragrafo, forse il più profondo di questa lettera che vorremmo più lunga, tanto l’avvertiamo consolante: «La guerra contro il cattolicesimo si svolge in sordina e con sistemi meno brutali che contro l’ebraismo, ma non meno sistematicamente. Non passerà molto tempo perché nessun cattolico possa più avere un impiego a meno che non si sottometta senza condizioni al nuovo corso».
Edith aveva tutto previsto ma certo non previde bene – ho sentito obiettare – lo sviluppo della «guerra» al cattolicesimo: perché il Concordato – firmato il 20 luglio di quel cruciale 1933 – l’arginerà, persino negli anni dell’avversione più scatenata, che porterà a Dachau 2.579 sacerdoti cattolici.
No, invece! Edith previde la guerra al cattolicesimo e l’acquiescenza che ne sarebbe seguita. Certo ci furono i martiri di Dachau e tanti altri, ma l’insieme dei cattolici – come dei protestanti – ebbe vita civile solo sottomettendosi al nazismo!
La lettera ha la data del 12 aprile. Il 23 marzo Hitler ottiene i pieni poteri, il 1° aprile si tiene la «giornata antisemita», che avvia il boicottaggio dei negozi ebraici. Il 7 aprile il «paragrafo ariano» esclude gli ebrei dagli uffici pubblici. Sarà in base a quella norma che Edith a fine aprile sarà privata della cattedra di pedagogia presso il Collegium marianum di Münster.

Tre giorni prima di Dietrich Bonhoeffer
Boicottaggio dei negozi e «paragrafo ariano» sono all’origine della conferenza di Dietrich Bonhoeffer su «La Chiesa di fronte alla questione ebraica», che ha la data del 15 aprile, cioè tre giorni dopo la lettera della Stein! I due cristiani più svegli della Germania colgono immediatamente la sfida che la persecuzione degli ebrei poneva alle Chiese.
Mossa dall’ansia di «fare qualcosa», Edith immagina di venire a Roma, per «ottenere un’udienza privata e chiedere al santo padre un’enciclica in proposito»:così racconterà in uno scritto del 1938, Come giunsi al Carmelo di Colonia.
Si consiglia con l’amico benedettino Raphael Walzer, «arciabate» di Beuron, che la sconsiglia dal venire a Roma, ben immaginando che non riuscirebbe neanche a parlare al papa. Forse la sconsiglia anche dall’inviare suggerimenti troppo determinati: Edith aveva pensato a un’enciclica, ma nella lettera chiede solo che la Chiesa parli.
Nello scritto autobiografico del 1938, così riepiloga la vicenda dell’appello al papa: «Rinunciai al viaggio e presentai la mia domanda per iscritto. So che la lettera venne rimessa sigillata al santo padre, del quale ricevetti poco dopo la benedizione per me e i miei congiunti. Null’altro. In seguito, ho pensato spesso se quella lettera gli fosse ritornata qualche volta in mente, giacché negli anni successivi si verificò passo per passo quanto avevo previsto per l’avvenire dei cattolici in Germania».

Guardare alla Shoah con gli occhi di Edith
Giovanni Paolo II, cultore della Stein filosofa, che cita nella Fides et ratio, pronuncia infine alcune delle parole che Edith attendeva dal 1933.
Da Berlino, il 23 giugno 1996, riconosce che «furono troppo pochi» i cattolici che si opposero al nazismo. Parlando a un Colloquio sull’antigiudaismo, il 31 ottobre 1997, afferma che «la resistenza spirituale di molti (alla persecuzione degli ebrei, ndr) non è stata quella che l’umanità era in diritto di aspettarsi dai discepoli di Cristo».Il 1° settembre 1999 specifica che «la richiesta di perdono vale per quanto è stato omesso o taciuto per debolezza o errata valutazione, per ciò che è stato fatto o detto in modo indeciso o poco idoneo».
Tra i meriti di Giovanni Paolo II c’è quello d’aver ripreso – con generosa intenzione – alcune delle parole proibite della polemica anticattolica. Ma che in origine erano risuonate nell’anima della nostra Edith.
Egli ha stabilito infine che «celebrando la memoria» di Edith Stein «si ricordi di anno in anno la Shoah»: come a dire che la Chiesa sceglie di guardare a quel mistero con gli occhi di lei, che lo vide per prima.

Luigi Accattoli
da Il Regno 6/2003

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