Stefano, Laura, don Matteo e altri innamorati dell’Africa

Può capitare che un manager barbuto e sportivo, tifoso del Siena, capiti in Africa per il finanziamento di un progetto di aiuti e non riesca più a dimenticare quei bambini neri che gli saltavano al collo e torni laggiù più volte e prenda la malaria e di essa muoia, improvvisamente, a 48 anni: è capitato a Stefano Bellaveglia, già vicepresidente del Monte dei Paschi di Siena e da aprile presidente di Hopa, la finanziaria bresciana già presieduta da Emilio Gnutti. Da tre anni dedicava all’Africa gran parte del suo tempo libero. Era appena rientrato da un viaggio nella Repubblica democratica del Congo ed è morto a 48 anni, a Siena, il 3 giugno.
Ma perché queste persone generose, che meriterebbero la nostra amicizia, le scopriamo solo quando muoiono? Il lettore continui a leggermi e gli prometto la conoscenza di altri innamorati dell’Africa, ancora vivi e operanti, che Stefano aiutava e dei quali – volendo – anche noi potremmo diventare amici.
Uno è don Matteo Galloni, figlio del politico Giovanni Galloni, fondatore della comunità Amore e libertà, che ha case di accoglienza a Firenze e a Matera e un orfanotrofio a Kinshasa (capitale della Repubblica democratica del Congo): intitolerà a Stefano Bellaveglia l’opera che stava realizzando con l’aiuto dell’amico: “Appena 15 giorni prima della morte era tornato dal Congo, dove mi aveva assistito nell’acquisto dei terreni per la realizzazione di un’azienda agricola che darà da vivere a molte famiglie”. “I suoi viaggi – racconta don Matteo – erano brevi a motivo dei tanti impegni come finanziere, ma quando veniva si metteva a servizio dei bambini come un qualsiasi volontario”.
Un’altra innamorata dell’Africa e vera testimone della carità è Laura Perna, combattiva dottoressa di Siena, minuta ed energica, degna concittadina di Santa Caterina, che appena andata in pensione come medico ospedaliero senza starci a pensare un solo giorno si è stabilita a Kimbondo (sempre Repubblica democratica del Congo), dove ora dirige un ospedale – l’unico gratuito di tutto il paese – realizzato in parte con il proprio patrimonio e sostenuto oggi dalla Caritas di Siena e dalla Fondazione Monte dei Paschi.
Per spiegare che cosa significhi “ospedale gratuito” in Congo, conviene raccontare la “liberazione” dei bambini dall’ospedale pubblico di Kinshasa, alla quale si dedicava anche Stefano Bellaveglia in occasione delle sue visite. Il novembre scorso Stefano era laggiù con varie persone dell’associazione Il fuoco del futuro (di cui era promotore e consigliere) e laggiù si incontrò con Gerry, un imprenditore bolognese del comparto della moda, finanziatore anch’egli di progetti di aiuto all’Africa. Insieme fecero una puntata all’ospedale pubblico per “liberare” una ventina di bambini lì trattenuti – dopo le cure – perché le famiglie non erano in grado di saldare il conto.
Questo è il racconto di quella liberazione fatto da Enrico Cecchetti, presente al fatto: “Erano lì con le mamme e qualche fratellino anche da qualche mese, mangiando quel poco che i parenti erano in grado di portare. Dopo una lunghissima trattativa, con circa tremila dollari Gerry riesce a liberarli tutti. Siamo contenti anche se pensiamo che domani ce ne saranno altri!”
Il racconto di quella spedizione si può leggere nel sito dell’associazione www.ilfuocodelfuturo.it, alla pagina “appunti”, mentre tra le “foto” se ne trovano sette – intitolate “Ricordo di Stefano Bellaveglia” – che lo ritraggono nelle sue imprese africane. Il nome dell’associazione viene così spiegato da padre Hugo Rios, una bella figura di prete cileno, medico, da 26 anni in Congo, collaboratore di Laura Perna nella gestione dell’ospedale “gratuito”: “Ogni volta che si accende un fuoco sulle colline attorno all’ospedale i bambini che vivono qua dentro credono che qualcuno, in qualche luogo, sta pensando a loro. Non possiamo deludere la vita quando si veste coi panni del futuro”.
Stefano era diessino e alla messa di addio, che si è tenuta nella Chiesa dell’Annunziata, a Siena, era presente Piero Fassino, che ne ha ricordato la “straordinaria generosità” e il “bellissimo sorriso”. Il prete e amico Giuseppe Acampa nell’omelia parla della “logica dell’amore, della donazione, del servizio con la quale ti sei confrontato quotidianamente da amministratore e da politico e ultimamente da missionario!”
Il prete ricorda le discussioni sul “tema della fede” che aveva avuto con Stefano e così conclude, con riferimento al fatto che egli non era un praticante abituale, ma che era “in ricerca”: “Credo e spero davvero che, come mi hanno detto tanti amici, Dio Padre abbia incrociato il suo sguardo con il tuo attraverso gli occhi di quei bimbi che volevi aiutare. Sì, caro Stefano, è questa la risposta alla questione della fede! Nella tua risposta d’amore c’è la tua risposta di fede. E saranno le persone a cui hai donato qualcosa di tuo, di te stesso, che ti accompagneranno davanti a Dio Onnipotente”.
In effetti l’incontro con gli ultimi dell’Africa lo aveva profondamente cambiato. “Agli amici aveva più volte confidato che non si può vivere più come prima se si è stati in mezzo a tanti bambini sofferenti”, ha detto il sindaco di Siena Maurizio Cenni. Sul modo di starci di Stefano abbiamo già sentito l’impressione di don Matteo. L’amico Cecchetti che l’aveva accompagnato nel viaggio di novembre, citato sopra, ce lo descrive circondato da frotte di ragazzi e di bambini che gli facevano una festa interminata ogni volta che tornava laggiù.
Stefano era così contento delle sue trasferte africane, che pensava a qualche iniziativa che potesse aiutare altri a compiere quell’esperienza. Raccontano gli amici che coltivava il progetto di realizzare “una residenza per quello che chiamava turismo missionario, ossia per ospitare persone che decidono di andare in Congo per brevi periodi a dare una mano a chi opera laggiù”.
Stefano Bellaveglia è morto probabilmente per un’imprudenza nella prevenzione della malaria. Pare fosse un uomo pieno di passioni, esponente di “poteri forti” come si dice e non aveva una famiglia regolare. Ma aveva visto i bambini africani e ne aveva avuto compassione, proprio come il samaritano della parabola evangelica.

Luigi Accattoli
Da La Voce di Padre Pio 11/2006

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