Gli 85 anni del Papa solista


Articolo pubblicato da LIBERAL del 17 aprile 2012 nel paginone centrale con il titolo “Vi racconto Benedetto il solista”

Benedetto non è un Papa solo come tanti sospettano, circondato da una Curia ostile. Non è neanche un Papa solitario per indole: è un Papa solista per scelta e come metodo di governo. Questo Papa solista ha compiuto ieri 85 anni che per essere tanti li porta bene. L’abbiamo visto muoversi agilmente, con qualche piccolo aiuto dei cerimonieri, nelle lunghe dirette delle celebrazioni di Pasqua: l’occhio pensoso e trepido, i passi rapidi ma ora più guardinghi, la parola viva come sempre.

Ha un indebolimento dell’anca destra, dallo scorso ottobre usa in Basilica la pedana mobile che fu di Papa Wojtyla, in quest’ultimo Venerdì Santo non ha fatto la prostrazione prevista dal rituale e si è solo inginocchiato. Ma tutto questo dice solo che ha quell’età: è stato eletto a 78 anni e giovedì entrerà nell’ottavo anno del Pontificato. Nessun Papa dell’ultimo secolo era arrivato a 85 anni. Pio X visse 79 anni, Benedetto XV 67, Pio XI 81, Pio XII 82, Giovanni XXIII 81, Paolo VI 80, Papa Luciani 65, Papa Wojtyla 84.

La buona tenuta fisica di Benedetto XVI è dimostrata dai viaggi e dai tanti impegni pubblici. Ha retto bene al viaggio in Messico e a Cuba del 23-28 marzo. A Pasqua l’abbiamo visto celebrare la notte e poi la mattina per un totale di sei ore nell’arco di quattordici. Sarà a Milano per l’incontro mondiale delle famiglie i primi tre giorni di giugno, dal 14 al 16 settembre sarà in Libano. In Libano andrà per “consegnare” ai vescovi della regione l’esortazione apostolica nella quale raccoglierà le conclusioni del Sinodo sul Medio Oriente che si tenne in Vaticano nell’ottobre del 2010.

Le visite in Messico nello tsunami del narcotraffico, a Cuba nel tramonto dei fratelli Castro e nel Medio Oriente delle “primavere arabe” sono imprese straordinarie, ma i prossimi mesi porteranno a maturazione altri impegni di rilievo dell’agenda papale: dallo svolgimento – in ottobre – di un Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione all’avvio, sempre in autunno, dell’Anno della Fede nel cinquantesimo del Vaticano II. Anno che potrebbe portare con sé la pubblicazione di un’enciclica sulla Fede a completamento della trilogia sulle virtù cardinali che ha già visto l’apparizione dell’enciclica sulla Carità (Deus Caritas Est, 2006) e di quella sulla Speranza (Spe Salvi, 2007).

Entro l’anno 2012 dovremmo anche avere la pubblicazione di un terzo volume su “Gesù di Nazaret” firmato Joseph Ratzinger-Benedetto XVI dopo quelli apparsi nel 2007 e nel 2011. “Da alcuni giorni il Santo Padre ha cominciato a preparare il terzo volume della sua grande opera su Gesù”, aveva detto il padre Lombardi ragionando delle vacanze del Papa nel luglio del 2010. Avremo dunque un “Gesù di Nazaret 3” dedicato alla nascita e all’infanzia del Nazzareno, dopo i primi due che hanno trattato l’uno della Vita pubblica e l’altro della Passione e della Risurrezione.

Questa trilogia su Gesù è un lavoro di grande rilievo al quale – tirate le somme – prima il cardinale e poi il Papa Ratzinger avranno lavorato per quasi un decennio. Nella prefazione al primo volume Ratzinger-Benedetto raccontava di aver avviato il lavoro “durante le vacanze estive” del 2003-2004 e di averlo completato, dopo l’elezione a Papa, “usando tutti i momenti liberi”. Siamo di fronte al fatto inedito, in epoca moderna, di un Papa che pubblica un lavoro teologico dopo l’elezione.

Ed è un fatto rilevante per la riconduzione della figura papale alla dimensione apostolica e di predicazione, alleggeriti i panni del governo della Curia e degli episcopati: uno spostamento dal governo alla missione che ha già visto impegnati tutti i Papi dell’epoca contemporanea a partire da Pio IX e che ha fatto grandi progressi con i Papi del Concilio e del dopo-Concilio.

E’ rilevante anche – questa concentrazione su Gesù – in ordine al gradimento della figura di Papa Benedetto all’interno della Cattolicità, dove l’apprezzamento per la sua predicazione è vasto mentre perdura una qualche prevenzione verso la sua opera di governo, nonostante i punti di consenso guadagnati negli ultimi anni con le ottime decisioni sullo scandalo della pedofilia e con la riforma del comparto finanziario della Santa Sede. A chi incontra qualche difficoltà ad amare Benedetto XVI – a motivo dell’immagine di severo custode della Fede che i media davano del cardinale Ratzinger già vent’anni prima dell’elezione – va rivolto l’invito a leggere i suoi volumi su Gesù: che possiamo attenderci di meglio da un Papa, se non che parli del Nazareno?

Molti osservano che il Papa deve “comunque” governare e il Papa teologo che pubblica libri e scrive di sua mano le omelie rischia di delegare il governo alla Curia. E’ un’idea schematica, tributaria del passato. Si diceva di Papa Wojtyla che faceva il missionario del mondo, lasciando alla Curia il governo ordinario della Chiesa e ora si dice di Papa Ratzinger che scrive e si affida alla Curia, ma il parallelo non regge. E’ mia convinzione che convenga fare credito alla completa avvertenza delle questioni da parte di Papa Benedetto che passa molte ore a tavolino a studiare i dossier, per esempio in vista delle nomine dei vescovi.

E’ ormai chiaro che il chiasso dei corvi – che al momento pare acquietato – è dovuto alla riforma del comparto finanziario: c’è stato cioè perché si è avuto un atto forte di governo, e non perché non vi sia governo. Quando poi alla comunicazione da tecnico della materia trovo una sola specificità di questo pontificato rispetto al precedente, che però non è detto che vada sempre letta negativamente: abbiamo – come dicevo – un papa solista che ha pur sempre una Curia, nella sostanza la stessa Curia di prima, ma non ha più quella specie di corte che avevano i papi precedenti e che intralciava e condizionava, ma anche aiutava a prevedere, predisporre e accompagnare gli atti papali. Direi che lo sbocco a delta della comunicazione mediatica che si attuava con papa Wojtyla aiutava a predisporre il terreno per una ricezione articolata e relativamente flessibile delle grandi iniziative da parte degli operatori dei media, mentre lo sbocco a estuario che è proprio di papa Ratzinger predispone a esiti senza rete: o va molto bene grazie agli effetti sorpresa e univocità, o va molto male perché la mancanza di concertazione impedisce di tener conto di eventuali controindicazioni.

Sul fatto che abbiamo un Papa solista e non con un Papa solo si può citare una sua battuta rivolta ai giornalisti in aereo, nel marzo del 2009, mentre volava verso il Camerun: “In nessun modo mi sento solo. Ogni giorno ricevo nelle visite di tabella i collaboratori più stretti (…), vedo tutti i Capi Dicastero regolarmente, ogni giorno ricevo Vescovi in visita ad Limina (… ), le Plenarie dei dicasteri (…). Sono realmente circondato da amici in una splendida collaborazione con vescovi, con collaboratori, con laici e sono grato per questo”. Egli ascolta tanti e tutti ma poi decide da solo: in questo senso è un Papa solista.

C’è anche chi afferma che non abbia una percezione adeguata della crisi in cui verserebbe la Chiesa Cattolica, ma anche questo è falso. Abbiamo la curiosa situazione di un Papa che dice di più in negativo sulla Chiesa con le sue omelie di quanto non dicano i suoi critici con i loro pamphlet. Questi critici – poniamo un Hans Kueng, o il movimento internazionale Noi siamo Chiesa, o i parroci austriaci che hanno lanciato un “appello alla disobbedienza” – affermano che le cose non andrebbero poi così male se solo si avesse il coraggio di fare alcune riforme: per una maggiore democrazia nelle decisioni, un più attivo ruolo dei laici e delle donne, una tonalità più positiva della predicazione, una minore preoccupazione per la nuova cultura sessuale e bioetica.

Papa Benedetto invece ritiene che la crisi sia molto più profonda e che a nulla rimedierebbero quegli aggiornamenti dell’organizzazione e della predicazione se non si realizza una ripresa della fede. Ne ha parlato con le parole più forti il 22 dicembre scorso alla Curia, già allora tutta in febbre per le questioni interne che sarebbero poi venute alla luce con le tante fughe di documenti riservati. Parlò di “crisi della Chiesa in Europa” che viene da una “crisi della fede” e la descrisse con le parole “stanchezza” e “tedio dell’essere cristiani”: sono espressioni drammatiche, altro che inadeguata percezione. Il 5 aprile, Giovedì Santo, con la stessa drammaticità ha parlato – a proposito dei parroci austriaci – di “spinta disperata a fare qualcosa”.  

Il povero Papa da una parte ha questi “disobbedienti” e dall’altra ha i lefebvriani che – fino a questo momento – paiono rifiutare la sua mano tesa. Ma il dramma non lo vede in queste tensioni e fratture, bensì nell’abbandono della fede da parte di tanti e nella “sporcizia” di altri che deturpa il volto della Chiesa. E la chiama a penitenza e vorrebbe che si riformi per purificazione. Da questa veduta drammatica dello stato della fede egli trae un atteggiamento di radicale affidamento a Dio, che ha espresso nel modo più esplicito con un’invocazione pronunciata la notte dell’ultimo Natale, forse la più bella tra le preghiere che ha proposto da quando è Papa. L’ha sviluppata partendo da una citazione del profeta Isaia che annuncia la nascita di un “figlio” che libererà il Popolo dagli stivali, dai mantelli e dai bastoni degli oppressori: «In questo momento, in cui il mondo è continuamente minacciato dalla violenza in molti luoghi e in molteplici modi, gridiamo al Signore: Tu, il Dio potente, sei apparso come bambino, Ti sei mostrato a noi come Colui che ci ama e mediante il quale l’amore vincerà. Amiamo il Tuo essere bambino, la Tua non violenza, ma soffriamo per il fatto che la violenza perdura nel mondo, e così Ti preghiamo anche: dimostra la Tua potenza, o Dio. In questo nostro tempo, in questo nostro mondo, fa’ che i bastoni dell’aguzzino, i mantelli intrisi di sangue e gli stivali rimbombanti dei soldati vengano bruciati, così che la Tua pace vinca in questo nostro mondo»

Luigi Accattoli

www.luigiaccattoli.it

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