Bibbia, Giovani e famiglia

Diocesi di Piazza Armerina
Convegno “La Parola di Dio, parola per l’uomo”
Relazione di Luigi Accattoli
Venerdì 18 settembre 2008

Affronto l’argomento con il racconto di un’esperienza: una lettura familiare del Vangelo di Luca, proposta ai figli e ai loro amici, come via privilegiata per una ripresentazione della figura di Gesù Cristo, nel deserto del dopo-cresima.
Narro la proposta, le modalità di questa lectio familiaris che abbiamo chiamato “Pizza e Vangelo”, le obiezioni alla fede e al suo annuncio che vengono dai nostri figli. Figli già catechizzati, frequentatori di Bose e delle giornate mondiali della gioventù, ma approdati alla non pratica e persino all’affermazione della non credenza verso i vent’anni.

Un’occhiata al contesto
La “città mondiale” in cui viviamo tende a porsi come una città “secolare”: i valori condivisi sono quasi sempre riconducibili all’eredità cristiana, ma le leggi, la scuola, i media non li presentano più come tali. Lo stesso si può dire per gran parte del costume familiare e sociale. Non sono più a dominante cristiana il linguaggio – specie quello giovanile – e i sentimenti che esso veicola.
In questa città mondiale a dominante secolare – e in ciascuna ormai delle nostre città – viene in questione la fede: la possibilità stessa di dire “io credo in Dio” senza provocare meraviglia.
Ebbene, in questo contesto umano, l’unica reale possibilità di comunicare il Vangelo – da parte del singolo, nella vita ordinaria – è data dalla capacità di giungere, nel dialogo da uomo a uomo, all’affermazione: io credo in Gesù, io credo nel Dio di Gesù Cristo!
L’interlocutore – si tratti di un collega di lavoro o di un figlio secolarizzato – deve avvertire che gli stiamo comunicando non un’idea, o un programma, ma un’esperienza e quasi un segreto.
Compiuta l’affermazione “io sono cristiano”, resta il problema di presentare e giustificare la fede attestata e questo passo ulteriore non potrà essere compiuto che attraverso la narrazione – ormai sconosciuta ai più – della storia di Gesù: cioè attraverso una comunicazione del Vangelo che per molti sarà un primo approccio.

Da cinque anni propongo ai figli un viaggio nei Vangeli
In applicazione a questi convincimenti, mi sono chiesto che cosa potevo fare per ripresentare la figura di Gesù ai miei figli e in accordo con mia moglie ho proposto loro – già nella primavera del 2003 – un viaggio nei Vangeli. Si tratta dunque di un’esperienza che dura da oltre cinque anni.
“Vi faccio questa proposta – ho detto – perché io credo in Dio e in Gesù Cristo e sono felice per il dono di questa fede e vorrei parlarvene lietamente e confidenzialmente, affinchè possiate averne una ‘buona notizia’ e non quella notizia mesta e autoritaria che credete di averne avuto, e che via ha lasciati insoddisfatti, o indifferenti.
“Il Vangelo è la notizia di una resurrezione: in questo senso è una buona notizia. E credo vi interessi. Racconta che Gesù è tornato dai morti e ha promesso ai discepoli la resurrezione dai morti. Non c’è nulla di più interessante.
“Io sono sicuro che il Vangelo vi attirerà, perché non c’è nulla di più giovane del Vangelo sulla terra. Un Padre nei cieli che ci attende, un fratello maggiore che ce ne parla, il suo Spirito che a lui ci guida e ci aiuta a vedere ogni uomo come un fratello. Dopo duemila anni, il Vangelo è un libro che l’umanità ha appena aperto”.

Perché abbiamo scelto il Vangelo di Luca
Ho fatto quella proposta e i ragazzi l’hanno accettata. Tra i Vangeli abbiamo scelto quello di Luca: perché fu scritto per i greci, che erano lontani dal mondo ebraico e perciò esso è più vicino alla nostra condizione, che è ormai lontana dalla tradizione religiosa.
Ma l’abbiamo scelto anche perché Luca è l’evangelista della “mansuetudine di Cristo” e questo è un altro elemento che lo avvicina a noi. E’ l’unico evangelista che racconta che Gesù nasce in una stalla e viene visitato da pastori. L’unico che riporta le parabole del figlio prodigo e del buon Samaritano. L’unico che racconta l’episodio della “peccatrice” che si rannicchia ai piedi di Gesù e li bacia e li profuma, l’unico che narra la promessa del Regno al buon ladrone.
Ultimo motivo della scelta: Luca è il migliore – dal punto di vista letterario – tra gli scrittori del Nuovo Testamento. E anche questo può aiutare i nostri ragazzi a intenderlo.
La proposta l’ho fatta ai miei cinque figli, ai loro fidanzati e fidanzate (quattro sono maggiorenni), a due nipoti loro coetanei e ai loro amici. Ci riuniamo nella nostra casa e facciamo una lettura continuata, non saltiamo nulla e in cinque anni abbiamo di poco superato la metà del Vangelo di Luca.
La partecipazione è sulle dieci-quindici persone a sera. Ci si riunisce a cadenza quindicinale. Si fa l’incontro anche se qualcuno, o più di uno, non possono esserci. Agli assenti si invia per e-mail una sintesi della serata. All’inizio della riunione seguente, si ricapitola il tutto.
Non ci sono vincoli di presenza, né ritualità particolari. La lettura è intesa come primo approccio, fatta in modo che sia accessibile anche a chi non si professa credente: una metà dei ragazzi è dubbiosa, l’altra metà teme di essere atea.
Si legge e si discute dopo la cena, fatta con pizze ordinate in pizzeria. Fino a oggi i ragazzi sono contenti dell’esperimento e nessuno se ne è allontanato e tutti dicono che lo continueremo. Lo considero un buon risultato.

Attese e disagio dei ragazzi
Il mio racconto sarebbe monco se tacessi le obiezioni dei ragazzi. Non la resistenza alla proposta, che per fortuna non c’è stata, ma il vaglio delle modalità e l’assicurazione – cercata da ognuno – che non si trattasse di una via traversa per “riportarli in chiesa”.
Presento dunque l’idea e tutti accettano di tentare. Ma quasi tutti osservano che – a differenza di come la metto io – il loro distacco dalla fede cristiana non è dovuto alla disapprovazione di elementi marginali, o comunque non essenziali, quali potrebbero essere il ruolo politico della Chiesa, gli scandali del clero, la precettistica sessuale; ma è dovuto all’incapacità di accettare la resurrezione, il miracolo, il trascendente.
B chiede se sono previsti “momenti rituali”, come preghiere e partecipazioni a messe. Rispondo di no: infatti – dico – non abbiamo iniziato con una preghiera. E per la stessa ragione ho voluto che facessimo questo incontro in casa e non in parrocchia. Se un giorno saremo di più, cercheremo un luogo adatto, ma eviteremo l’ambiente della chiesa, per mantenere all’iniziativa il carattere libero e tra uguali.
Tutti trovano giusta questa partenza in campo aperto. B precisa che la proposta lo attira, ma non vuole dare per scontato nulla. Che “non si vede per niente” in una vita cristiana come è proposta dai neocatecumenali, o dai monaci di Bose, che gli sembrano mondi “troppo speciali”, ma potrebbe accettare “un modo di essere cristiano come quello degli amici di papà” (ex FUCI).
V e L sono i primi a porre la questione della fede e a chiedere se il confronto si potrà fare anche se uno, o più d’uno, tra noi, accetta il cristianesimo come amore del prossimo, ma non comprende più la fede cristiana. Dico di sì, perché il nostro viaggio nei Vangeli vuole avere carattere esplorativo. Ma preciso che a me interessa l’intero della figura di Cristo come è presentata dalla grande tradizione cristiana e dunque io ne parlerò sempre partendo da questa veduta.
A dice che la sua posizione è più radicale e lei si sente “atea del tutto”. Ma apprezza la “provocazione” che io propongo, nei termini di libertà dei singoli cui ho accennato.
I traccia la storia della sua fede, che ha avuto “il momento di Lourdes e della volontà di farsi suora, seguito da un grande rigetto”. L’attira la mia idea, di presentare la figura di Gesù per “abbondanza del cuore”, perché io “sono felice di frequentarla e vorrei offrire questa possibilità alle persone che mi sono più care”. E’ curiosa di vedere gli sviluppi di questo confronto.
Rispondendo a un’obiezione di A, sull’insufficienza del ragionamento per raggiungere la fede – “arrivo ad apprezzare il comandamento dell’amore, non ad accettare Dio e che Gesù è Dio” – accenno alla “fede come dono”, ricordo Paolo ad Atene, che neanche lui, il più trascinatore tra gli apostoli, riesce a “convincere” i greci riguardo alla resurrezione di Cristo. Infine uso un argomento che scelgo apposta per A e paragono la mia “provocazione” evangelica alla sua, quando, partente per la Puglia, mi disse: “Vai a Polignano a mare, che ti piacerà!” Così io dico: non conosco nulla di più bello della figura di Gesù e del suo Vangelo, nulla che possa dare più felicità! Proviamo a fare questo giro nei Vangeli, vedrete che vi piacerà!
Tutti dicono di trovare questa impostazione attraente. Ma anche tutti osservano che loro – grazie all’insegnamento avuto in famiglia e nelle varie esperienze fuori casa – sono “un passo, o molti passi più avanti, rispetto a tanti loro compagni e amici, che – loro sì – condannano la Chiesa perché è ricca, o considerano i preti ignoranti e imbroglioni”.
V aggiunge che “quando si discute, per esempio al lavoro, ma capitava anche a scuola, quelli che siamo qui passiamo per cristiani convinti, perché diciamo che non è vero che la Chiesa sia tutta una bottega e che ci sono anche dei credenti sinceri e preparati”. Tutti si sentono interpretati.
A mi chiede: “Se poi nessuno di noi arriva alle tue conclusioni?” Rispondo che io metto tutto nel conto e sarò comunque contento di aver potuto parlare di ciò che più amo alle persone che mi sono più care.
B si dice stupito dei comportamenti strani che hanno spesso i credenti – fa l’esempio della Giornata mondiale giovanile di Toronto, dov’è stato con M l’estate scorsa – e dice che è ben contento di poter parlare di Gesù tra persone normali e che “non ti fanno pregare a forza”. Dice la sua contrarietà ai “gruppi dove appena arrivi vieni chiamato a pregare, prima che si sappia perché si prega e se le persone vogliono pregare”.

Conclusione
I nostri ragazzi secolarizzati sono disponibili alla ripresentazione della figura di Gesù e al confronto sulla fede, purchè avvenga
– per il tramite dei Vangeli e non per altra via
– in modalità e contesto non ecclesiastico
– senza dare per scontato il “ritorno in chiesa”.
Mi vado interrogando sulle modalità che una simile iniziativa – di prima e libera proposta del Vangelo – potrebbe assumere in un contesto allargato, non più solo familiare. Credo che tutti i giovani dell’adunata di Tor Vergata accetterebbero – se li sapessimo offrire – incontri liberi sul Vangelo. Immagino che neanche uno su dieci, di quei due milioni, sia disponibile a un impegno in zona ecclesiastica.

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