“Siamo molti e rappresentiamo tutti”


Benedetto XVI sulla formula della consacrazione. Articolo pubblicato da LIBERAL l’8 maggio 2012 alle pagine 14 e 15 con il titolo “La Cena di Benedetto”

“Questo è il mio sangue versato per voi e per molti”: parole dei Vangeli che nelle traduzioni in alcune lingue moderne – compresa la nostra – del Messale di Paolo VI sono diventate “per voi e per tutti”, che è una traduzione interpretativa che ebbe l’approvazione dei Papi Montini e Wojtyla. Ora Papa Ratzinger vuole che si torni al “per molti” dei Vangeli. Ai più stava bene la novità e ora sta bene il ritorno all’antico, ma ad altri no e ne viene – ancora una volta – una fiera guerra di parole, come sono quasi sempre qui da noi le guerre di religione

La questione è stata riproposta da Papa Benedetto con una lettera ai vescovi della Germania che ha la data del 14 aprile, ma non è una questione nuova: il Papa teologo l’aveva fatta proporre già nel 2006 con una lettera circolare a firma del cardinale Francis Arinze, allora prefetto della Congregazione per il Culto, alle Conferenze episcopali dei Paesi dov’era stata adottata la nuova traduzione, per invitarle a rimediare e a preparare i fedeli al cambiamento. L’impresa è tuttavia risultata più ardua del previsto.

Arinze chiedeva agli episcopati interessati di «intraprendere la necessaria catechesi dei fedeli», cioè di preparare il popolo alla modifica e di farlo «nei prossimi due anni», specificando che l’innovazione era da realizzare in un secondo momento, cioè con la «prossima traduzione del Messale Romano» che sarebbe stata approvata in tempi differenziati per i vari paesi e che avrebbe avuto questa e altre variazioni. Per l’Italia si prevedeva che a quell’approvazione si potesse arrivare nel giro di tre o quattro anni: ma ne sono passati più di cinque e mezzo e ancora nulla si è fatto.

Per intendere la resistenza di tanti alla sollecitazione papale – che fa parte del suo mini-programma di “riforma della riforma liturgica”, com’è stato chiamato dal alcuni osservatori – occorre una premessa filologica. Questa era la formula latina tradizionale: «Accipite et bibite ex eo omnes: hic est enim Calix Sanguinis mei Novi et Aeterni Testamenti: qui pro vobis et pro multis effundetur in remissionem peccatorum». Che in italiano è stata così tradotta: «Prendete, e bevetene tutti: questo è il Calice del mio Sangue per la Nuova ed Eterna Alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati».

Il «per tutti» dell’italiano corrisponde al tedesco «für allen», all’inglese «for all», allo spagnolo «por todos los hombres». Non in tutte le lingue c’era stata quella variazione. In francese per esempio si dice «pour la multitude».

Il cardinale Arinze nella circolare del 2006 riconosceva che la formula «per tutti» corrisponde «senza dubbio» a una «corretta interpretazione dell’intenzione del Signore», in quanto Cristo muore «per tutti gli uomini e le donne». Elenca poi le ragioni a favore di una «resa più precisa della tradizionale formula “pro multis”»: uniformità al testo biblico (cioè a come i Vangeli riferiscono le parole di Gesù: il greco «polloi» divenuto in latino «multis»), ininterrotta tradizione, rispondenza a quanto praticato nella liturgia delle altre Chiese e, soprattutto, intenzione di chiarire che «la salvezza non arriva in modo meccanico, senza la volontà o la partecipazione di ciascuno».

La lettera era del cardinale nigeriano ma l’iniziativa era partita da papa Benedetto XVI, che già nel luglio del 2005 (tre mesi dopo l’elezione) aveva fatto consultare sulla questione le Conferenze episcopali di tutto il mondo e che dopo quella consultazione aveva tirato la conclusione della necessità del cambiamento. Chi si era opposto da subito alla decisione papale aveva espresso il timore che i fedeli non capissero il nuovo testo o lo interpretassero nel senso di una «restrizione» del numero dei salvati.

Portavoce di quel timore si era fatto in Italia il teologo fiorentino Enrico Chiavacci, che aveva inviato una lettera aperta al cardinale Arinze per chiedere un «ripensamento». Egli entrava nella questione linguistica: «In greco (lingua dei Vangeli) il termine “molti” ha anche un significato inclusivo (come in “oi polloi” = la gente in genere). Mentre in latino e in italiano il termine “molti” ha di norma un significato esclusivo: per molti ma non per tutti». Chiavacci prevedeva che l’innovazione chiesta dal Papa avrebbe provocato il commento: «La Chiesa ha fatto marcia indietro. Non per tutti è morto Gesù, ma solo per alcuni, sia pur molti».

La questione era nota agli addetti ai lavori. Quel «per tutti» era tra le spine che gli amanti della tradizione avevano dovuto sopportare al momento della traduzione del messale di Paolo VI nelle lingue moderne. Se ne trova traccia tra i più colti come tra gli orecchianti. La discute il coltissimo Romano Amerio nell’opera maestra «Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX» (Ricciardi editore 1985, p. 523) e la orecchia Mel Gibson che fa dire a Gesù, in «The Passion» (2004), «per molti» in aramaico. Per Amerio l’innovazione «improvvisa e vistosa» arrivata con la riforma liturgica montiniana è dovuta alla volontà di affermare «la universalità di fatto della salvezza» e di «rifuggire da ogni idea di discriminazione».

La lettera del Papa da cui siamo partiti è indirizzata ai vescovi della Germania ma vale per l’intera area di lingua tedesca, che comprende l’Austria, una metà della Svizzera, il Tirolo italiano. Sta capitando infatti che in Germania, dopo un aspro confronto, la Conferenza episcopale ha optato per la nuova traduzione “für viele” (per molti), mentre in Austria essa è stata respinta e resistenze analoghe ci sono in Svizzera. Incontrando in marzo il Papa, il presidente della Conferenza tedesca l’ha informato di tale dissenso e della conseguente opportunità che la nuova edizione del messale avesse a prevedere la doppia formula, sia cioè “für alle”, sia “für viele”. Da qui l’intervento scritto del Papa, deciso – chiarisce nella premessa – “per prevenire una divisione nel luogo più intimo della nostra preghiera”.

Il Papa nella lettera rifà la storia della traduzione “per tutti”, che in tedesco risale agli anni Sessanta del secolo scorso, si appella alla più recente traduzione “unificata tedesca” della Bibbia – cioè condivisa da cattolici e protestanti – che è tornata al “per molti” e conclude: «La traduzione di “pro multis” con “per tutti” non è stata una traduzione pura, bensì un’interpretazione, che era, e tuttora è, ben motivata, ma è una spiegazione e dunque qualcosa di più di una traduzione».

Benedetto da professore e da teologo così argomenta la sua scelta: “Questa fusione fra traduzione e interpretazione per certi versi fa parte dei principi che, subito dopo il Concilio, guidarono la traduzione dei testi liturgici nelle lingue moderne. Si era ben consapevoli di quanto la Bibbia e i testi liturgici fossero distanti dal linguaggio e del pensiero attuale della gente, per cui anche tradotti avrebbero continuato a essere incomprensibili per quanti partecipavano alle funzioni. Un rischio nuovo era il fatto che, attraverso la traduzione, i testi sacri sarebbero stati aperti, lì, davanti a quanti partecipavano alla messa, e tuttavia sarebbero rimasti molto distanti dal loro mondo, ed anzi questa distanza sarebbe diventata più che mai visibile. Quindi non ci si sentì solo autorizzati, ma addirittura obbligati a immettere l’interpretazione nella traduzione”.

Il Papa fa anche riferimento al fatto che di persona e in più lingue si trova a dire il “per tutti” e a dare voce ad altri adattamenti liturgici che oggi diversificano l’unica messa sul pianeta: “Poiché pronuncio spesso le preghiere liturgiche nelle varie lingue, noto che talvolta tra le diverse traduzioni quasi non si riscontrano somiglianze e che il testo comune sulle quali si basano spesso è solo lontanamente riconoscibile. Allo stesso tempo si sono verificate delle banalizzazioni che costituiscono vere perdite. Così, nel corso degli anni, io stesso ho compreso sempre più chiaramente che, come orientamento per la traduzione, il principio della corrispondenza non letterale, bensì strutturale, ha i suoi limiti”.

Dopo tanto flessibile argomentare, la conclusione è comunque tassativa: «In tale contesto, la Santa Sede ha deciso che nella nuova traduzione del messale l’espressione “pro multis” debba essere tradotta come tale, senza essere già interpretata. La traduzione interpretativa “per tutti” dev’essere sostituita dalla semplice traduzione “per molti”. Vorrei ricordare che sia in Matteo sia in Marco non c’è l’articolo, quindi non “per i molti”, bensì “per molti”».

In un successivo passaggio il Papa teologo dice con felice efficacia: «Siamo molti e rappresentiamo tutti. Quindi le parole “molti” e “tutti” vanno insieme e fanno riferimento l’una all’altra nella responsabilità e nella promessa».

E in Italia? Che ne sarà della nostra messa? Dovrà adottare anch’essa il “per molti”, non c’è dubbio. Siamo in ritardo sui tempi immaginati nel 2006, perché i nostri vescovi restano affezionati al “per tutti”, se non altro al fine di risparmiarsi le obiezioni dei partecipanti alle celebrazioni, che direbbero: “Si cambia di nuovo?” Nel novembre del 2010, in una votazione su questa richiesta del Papa, 187 vescovi votarono “no” e solo 11 “sì”. La lettera di Benedetto ai tedeschi ovviamente vale anche per i nostri e per tutti. Un poco ovunque nel mondo ci sono resistenze ed è facile intenderlo, se è vero come è vero che gli italiani sono generalmente tra i più docili alle indicazioni vaticane e invece stavolta hanno difficoltà ad accettarle.

Insieme a questa vicenda si viene dipanando l’altra del rientro dei lefebvriani nella “comunione con Roma”, che oggi è data per probabile mentre solo un mese addietro pareva impossibile. Il rientro dei lefebvriani “moderati” – perseguito con decisione da Papa Ratzinger – è ovviamente auspicabile ma è anche ovvio che esso inasprirà il dibattito sugli aggiustamenti benedettiani dell’eredità conciliare. A cinquant’anni dall’avvio del Vaticano II il conflitto sulla sua interpretazione è più acceso che mai.

Luigi Accattoli

www.luigiaccattoli.it

Commento

  1. […] Nella società attuale abbiamo la sensazione di non essere affatto “molti”, bensì molto pochi, una piccola massa che continua a diminuire. E invece no, siamo “molti”: “Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua” (Ap 7, 9). Siamo molti e rappresentiamo tutti. Quindi le parole “molti” e “tutti” vanno insieme e fanno riferimento l’una all’altra nella responsabilità e nella promessa. – E’ un passaggio sensibile e denso della lettera del papa ai vescovi tedeschi che chiede il ritorno alla formula liturgica del sangue “sparso per voi e per molti” invece che “per tutti”. Gli dedico una mia combattiva divagazione – che la percorre in lungo, in largo e per traverso – in un articolo pubblicato oggi da Liberal alle pagine 14 e 15 con il titolo La Cena di Benedetto. […]

    8 Maggio, 2012 - 15:25

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