Dalla Celentano e Benigni menestrelli di Dio


Celentano e Dalla sono personaggi del mio Cerco fatti di Vangelo 2 (EDB 2011) dove li chiamo “menestrelli cristiani” e lodo la loro capacità di dire la fede nella lingua di oggi. Mi è dunque dispiaciuto che Celentano sia stato solo vituperato dopo i soliloqui di Sanremo (14 e 18 febbraio), senza che quasi nessuno cogliesse la perla rara di quella parola di fede nel più mondano dei contesti. Molto invece ho apprezzato la messa di addio per Lucio Dalla in San Petronio il 4 marzo perché vi ho visto un riconoscimento della figura cristiana del caro menestrello.

Ho scritto del molleggiato e del ciuciulante nel mio blog e sul quotidiano Liberal che suona solenne e che nessuno conosce. Ridico qui i miei sentimenti con il maggior agio di questa pagina dove sono solo me stesso. Ma inverto l’ordine della trattazione rispetto alla cronologia dei fatti perché Lucio che sempre scherzava stavolta l’ha presa sul serio.

Come per Versace e Pavarotti

ma stavolta c’era di più

Due sono le novità venute da San Petronio: quella messa di addio non è stata solo un “atto dovuto”, di carattere cittadino più che ecclesiale, come – più o meno – erano state quelle per Gianni Versace nel Duomo di Milano nel luglio del 1997 e quella per Luciano Pavarotti nel Duomo di Modena nel settembre del 2007; ma essa è leggibile come un riconoscimento comunitario del “credente e praticante” Lucio Dalla; ad essa era presente e al termine di essa ha parlato – commuovendo tutti – quel Marco Alemanno che da otto anni era il “compagno” inseparabile di Lucio, il quale era ben noto come omosessuale, anche se non ostentava né rivendicava, anzi viveva con domande e con qualche disagio la sua condizione.

Per capire quello che è successo in San Petronio occorre qualche richiamo al cristiano Dalla. Abbiamo visto il teologo Vito Mancuso leggere la prima lettura, il padre domenicano Bernardo Boschi tenere l’omelia, Enzo Bianchi formulare le intenzioni della “preghiera dei fedeli”, il francescano Enzo Fortunato dare voce a un saluto venuto dal Sacro Convento di Assisi: sono le persone e gli ambienti con i quali Lucio conduceva la sua interrogazione su Dio.

Ho sempre considerato Lucio Dalla – almeno dal 1971, quando portò a Sanremo la canzone Gesù Bambino – un cristiano creativo che riusciva a dire a suo modo la fede evangelica all’umanità di oggi. Il 9 luglio 1999 aveva avuto la laurea ad honorem in Lettere e Filosofia dall’Università di Bologna: per me quella messa di addio è l’equivalente per la Chiesa di ciò che quella laurea era stata per l’Università.

Aveva musicato i Salmi, aveva composto il testo della canzone Caro amico ti scrivo in conversazione con il padre Michele Casali. «La fede cristiana è il mio unico punto fermo, è l’unica certezza che ho», aveva detto all’Osservatore Romano nel settembre del 1997: «Sono credente. Credo in Dio perché è il mio Dio. Lo riconosco negli uomini, nei poveri soprattutto, in tutti coloro che hanno bisogno di aiuto. Mi ha sempre colpito la decisione di Cristo di nascere povero. Lui, povero, è il futuro».

Io credo che la morte sia solo la fine del primo tempo (…). Ci ho sempre creduto. È stato uno sviluppo continuo, ed è sempre rimasto intatto questo stupore davanti al mistero. Credo più nelle cose che non si vedono che in quelle che si vedono” (intervista a Io donna del 5 novembre 2011).

L’omosessuale e la fede

e le parole per dirla

Possiamo salutare con favore quanto è avvenuto in San Petronio. Ci è arduo ma dobbiamo prendere atto che ci sono in mezzo a noi tanti omosessuali cristiani benché la cristianità non li sappia riconoscere. Ogni cristiano e ogni cristiana sanno che il fratello o la sorella, il figlio o la figlia, l’amico o l’amica omosessuale è capace di amare e di ricevere amore. E sanno che è questo che conta di fronte a Dio. L’insieme dei cristiani – cioè la Chiesa – sa che gli omosessuali non sono estranei all’azione della Grazia e, se sono credenti, avvertono il bisogno, l’ansia, di sentirsi dire che la loro vita di fronte a Dio non è inutile, ma è anzi preziosa.

Il cristiano e la Chiesa sanno tutto questo ma ancora non hanno le parole per dirlo. Abbiamo alle spalle una storia troppo lunga di persecuzione degli omosessuali motivata con le Scritture perché sia possibile proclamare le Scritture a loro saluto. E’ stato possibile nel caso di Lucio Dalla sia per la intensità della sua ricerca nella fede, sia a motivo del riserbo con cui egli aveva vissuto la sua condizione.

A chi protesta perché in chiesa hanno chiamato Marco Alemanno “amico e collaboratore” invece che “compagno” di Lucio, io dico che questa reticenza era un prezzo accettabile perché egli potesse parlare. A chi accusa la Chiesa di ipocrisia perché concede al Dalla discreto ciò che non concederebbe al Dalla dichiarato dico che va rispettata la fatica degli uomini di Chiesa a conciliare le condanne dei comportamenti omosessuali che sono nelle lettere di Paolo e la “comprensione” per la situazione delle persone omosessuali che è l’unica parola di cui dispongano al momento e da appena mezzo secolo.

A tutti quelli che si sono interessati ai fatti di San Petronio, dedico le parole della canzone di Lucio “Amore disperato” che dice molto sulla condizione in cui è vissuto e sulla domanda che si poneva: “Che cosa vuoi sapere, è meglio non sapere / L’amore che mi chiedi non può finire bene / Non può finire bene / Il cielo non lo vuole (…) Amore disperato / Amore mai amato / Amore messo in croce / Amore che resiste / E se Dio esiste / Voi, voi / Vi ritroverete là, là”.

Il molleggiato a Sanremo

indifendibile e prezioso

E ora vengo al Celentano di Sanremo indifendibile e prezioso. Una parte di quello che ha detto sul palco dell’Ariston è rara a udirsi sulla scena pubblica italiana ed è unica nella grande audience televisiva. Quella parte è la sua professione di fede cristiana. Solo Benigni e Lucio Dalla – tra gli uomini di spettacolo – gli si sono avvicinati, ma lui ha detto di più.

Sono un giornalista e ritengo inaccettabile che uno che ha la fortuna di parlare in pubblico voglia cacciare altri da questa possibilità, o possa bollare come indegno di essa un qualunque altro comunicatore. Celentano ha insultato il collega del Corriere della Sera Aldo Grasso – qualificandolo come “imbecille” – e ha detto che Avvenire e Famiglia Cristiana andrebbero chiusi. Ha parlato così perché Grasso, Avvenire e Famiglia l’avevano criticato. Su questo non lo difendo. Ma ha pure detto che i cristiani dovrebbero proclamare innanzitutto la incomparabile felicità che si attendono dalla vita futura: e questo era giusto.

Ha detto anche che le due testate e i preti e i frati “non parlano mai del Paradiso”: e questo non è vero. Ma dico il mio apprezzamento per il cristiano Celentano che si è espresso all’incirca in un terzo delle parole che ha detto nelle due serate. Ecco quelle che ho trovato più significative e che le cronache generalmente hanno omesso per concentrarsi sui passaggi polemici:

Ma questa vita

è soltanto la prima

I preti, i frati non parlano mai del Paradiso. Perché? Quasi come a dare l’impressione che l’uomo sia nato soltanto per morire. Ma le cose non stanno così. Noi non siamo nati per morire. Noi siamo nati per vivere” (…).Voi preti siete obbligati a parlare del Paradiso, altrimenti la gente pensa che la vita sia quella che stiamo vivendo adesso. Ma che cazzo di vita è questa qua? (…). Questa, di vita, è soltanto la prima… la prossima approderemo in un mondo che neanche lontanamente possiamo immaginare quanto è meraviglioso. Lì non ci saranno distinzioni di popoli: neri, bianchi; saremo tutti uguali. Eternamente giovani e belli, in compagnia di cristiani e musulmani, mentre ballano il tango della felicità, in un abbraccio d’amore senza fine.

Era scontato che il paradiso di Celentano somigliasse a un samba o a una cumbia. La cumbia di chi cambia è stato il bel canto con cui sabato 18 febbraio ha risposto ai fischi che gli arrivavano dalla platea. Ma non è qui il punto. Il punto è nell’attesa della “meraviglia” inimmaginabile annunciata dalla fede cristiana. A suo modo Celentano l’ha detta: “Io sono venuto qui per parlare del significato della vita, della morte, ma soprattutto per quello che viene dopo. E quindi per parlare della straripante fortuna, che voi, noi, tutti quanti insieme abbiamo avuto per essere nati. E dunque divertirci a fantasticare sul dove e come sarà il paradiso. E’ chiaro che per quanto possa essere elevata la nostra fantasia non riusciremo mai ad immaginare la grandiosità di ciò che ci aspetta. Tutto quello che desideriamo, qui sulla terra, non è che una misera microscopica particella in confronto a ciò che il Padre nostro ci ha preparato.

Dagli artisti un aiuto

a parlare del mistero

Facevo sopra il paragone con Benigni e con Dalla. Il 5 settembre 2007 in morte di Luciano Pavarotti così Lucio Dalla aveva parlato in una conferenza stampa: «La sua sarà una momentanea assenza perchè considero la morte come la fine del primo tempo della vita di un individuo». Gli aveva fatto eco – si direbbe – proprio Celentano due anni dopo, in morte di Mike Buongiorno, salutando così il vecchio amico l’8 settembre 2009: “La tua allegria, quella vera, è appena cominciata. E non avrà fine”.

Gli artisti hanno il dono di trovare parole nuove per dire la fede cristiana nella vita che ci viene mutata ma non ci viene tolta. Più di recente una parola simile era venuta anche da Benigni, che l’8 novembre 2010 commentava così le minacce di morte a Roberto Saviano durante la trasmissione Vieni via con me: “E’ stata una sorpresa la vita, lo sarà anche la morte”.

Io dico: facciamo tesoro delle parole di Celentano e di Benigni finché sono qua e di quelle di Dalla almeno ora che è passato all’altra riva.

Luigi Accattoli

Da Il Regno 6/2010

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