Giovanna Vicenzi e Gian Battista Melini: “Enrico è per noi un angelo con una sua missione”

 

Giovanna Vicenzi e Gian Battista Melini già da fidanzati decidono di farsi genitori adottivi di Enrico, un bimbo affetto da tetraplegia mista cerebropatica; confermano quella decisione da sposi e la rinnovano con entusiasmo nel luglio del 2012 con questa conversazione al compimento del trentesimo anniversario di quello che chiamano “un provvidenziale incontro”.

Io, Giovanna, ero maestra di scuola materna e mi trovavo in servizio estivo, nel luglio del 1982, qui a Verona, quando il Direttore Didattico mi chiese di accogliere per qualche settimana un bambino spastico, il nostro Enrico, che allora aveva quattro anni e oggi ne ha trentaquattro. Era in condizioni gravi, gracilissimo, poco sviluppato, occhi sempre chiusi. Sembrava stanco di vivere. Restò con me 25 giorni, abbastanza perché nascesse un primo affetto. Fu poi accolto nella struttura dell’Ipai (Istituto Provinciale per l’Assistenza all’Infanzia, oggi C.E.R.R.I.S.) e io chiesi ed ottenni l’affidamento durante i fine settimana e le ferie per la durata di due anni. Al compimento del sesto anno di età, cessato il sostegno dell’Ipai, si presenta l’urgenza di trovare una sistemazione definitiva per lui. Dopo varie vicissitudini la “provvidenza” mi fece conoscere una Comunità Famiglia disposta ad accogliere Enrico, ma con il supporto della mia presenza per un periodo (questo ha richiesto però l’aspettativa dal lavoro di un anno). In questa opportunità c’è stato il vero cambiamento della mia vita. In quel periodo, insieme a Gian Battista stavo concretizzando un’esperienza di volontariato in Africa: ma l’incontro con Hélder Câmara, Vescovo brasiliano, mi ha fatto capire che l’Africa è qui! Il “povero” da accogliere non era oltreoceano ma aveva già un nome e un cognome: si chiamava Enrico… ma, come coinvolgere Gian Battista, che era il mio fidanzato?

Io, Gian Battista, accettai di impegnarmi con Giovanna in un percorso di discernimento che si concretò in quaranta giorni di riflessione e di preghiera, al termine del quale ci trovammo confermati nell’intenzione di accogliere Enrico chiedendo l’affidamento. A partire da quel momento ogni inquietudine è venuta meno: c’era in noi una sicurezza nuova anche se i problemi veri erano solo all’inizio. Ci siamo sposati nel 1986 e l’abbiamo portato con noi in viaggio di nozze. All’inizio anche i nostri amici più intimi erano scettici sulla nostra scelta, mentre oggi, dal momento che raramente possiamo muoverci, la nostra casa è divenuta un punto d’incontro. La presenza prima di un bambino e poi di un ragazzo e oggi di un uomo che non può parlare e muoversi come gli altri è un motivo di riflessione per tutti, una provocazione a guardare con occhi nuovi il dono della vita. Intanto Enrico, riscaldato dalla nostra e da altre vicinanze, ha acquistato peso e voglia di vivere e una sua serenità che segnala con il suo sorriso.

In principio credevamo che fosse Enrico che aveva bisogno di noi, ma poi lentamente abbiamo capito che nel nostro incontro con lui c’è molto di più. Ci siamo resi conto che egli è per noi un angelo che ha una sua missione ed è nella nostra casa solo momentaneamente. Imparando a guardarlo così ci è divenuto chiaro che non potremmo vivere senza di lui per il tempo nel quale egli ci è donato. Osiamo dire che Enrico è per noi un “segno” e come un “sacramento” del mistero dell’Incarnazione: un segno che ci richiama a Gesù figlio di Dio che si è fatto uomo. Sperimentiamo ogni giorno i doni che il Signore ci ha dato invitandoci a vederlo in Enrico: la pace profonda dei cuori, la serenità della sua Provvidenza, la letizia vera della condivisione e della solidarietà. Consolante è stata anche l’accoglienza di Enrico da parte di parenti ed amici e del nostro unico figlio naturale Alberto, che così si è espresso un giorno dicendo: “Ringrazio il Signore perché grazie alla presenza di Enrico ho scoperto il valore di essere pazienti e di saper aspettare, l’importanza del silenzio e la bellezza di mettersi in ascolto ed in particolare ho scoperto che un sorriso può voler dire più di mille parole”. Tutto questo – e cioè la presenza stessa di Gesù nella nostra casa – è venuto a noi attraverso il dono di questo figlio speciale, nell’apparente insignificanza dei trent’anni che abbiamo vissuto e continuiamo a vivere con lui.

A Giovanna e Gian Battista nel 1989 viene assegnato il “Premio della bontà don Adolfo Bassi” con una motivazione che dice tra l’altro: “Giovanna non ha dubbi: l’impegno è grave e pesante ma la sfida è accolta con grande fede e con grande coscienza di sé. Enrico è accolto nella sua nuova casa come un figlio, più che un figlio. Poi Giovanna si sposa. A Gian Battista porta come un aureo dono di nozze questo misero corpo, porta Enrico con la sua durissima vita che cresce. Così Enrico è stato il loro primo figlio ed ha da tempo riaperto gli occhi alla speranza”. Ho conosciuto Giovanna, Gian Battista ed Enrico nella loro casa di Verona, condotto in visita dai comuni amici Adriana e Dino Serpelloni.

[Agosto 2012]

 

Commento

  1. […] Giovanna Vicenzi e Gian Battista Melini già da fidanzati decidono di farsi genitori adottivi di Enrico, un bimbo affetto da tetraplegia mista cerebropatica; confermano quella decisione da sposi e la rinnovano con entusiasmo nel luglio del 2012 con questa conversazione al compimento del trentesimo anniversario di quello che chiamano “un provvidenziale incontro”. E’ il promozionale cappello di una forte storia che ho appena inserito nella pagina CERCO FATTI DI VANGELO, capitolo 12 “Madri e padri di vocazione”, con il titolo Enrico è per noi un angelo con una sua missione. […]

    21 Agosto, 2012 - 9:20

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