Susanna Bo: “La gioia che ho provato al tuo funerale”

“Quello che sto provando adesso, mentre celebriamo il tuo funerale, è qualcosa di molto simile a una risurrezione. Non so come poterlo dire: sono felice. E’ veramente difficile descrivere la gioia pura. Ecco perché, probabilmente, mi sto sentendo così. Perché non potendo descrivermi il Paradiso hai deciso di darmene un assaggio. E l’aria è più densa qui in basilica, più spessa, quasi. E mi viene in mente quella canzone di Gino Paoli ‘Il cielo in una stanza’ perché è come se ci fosse il Cielo in questa chiesa. E’ un genere di sensazione che definirei ‘di cielo aperto’, e non è solo un’impressione ambientale. E’ come se tutto quello che sono, tutto quello che ho fatto nella mia vita fino ad ora, fosse servito per arrivare a oggi. E forse anche molti altri, intorno a me, lo stanno provando. Perché alla fine della celebrazione c’è un’intera chiesa in piedi, che canta, battendo le mani. E siamo sempre a un funerale”: parole di Susanna Bo, giovane mamma di Sestri Levante, che così narra il funerale del marito Luigi nel libro “La buona battaglia”.
Susanna è neocatecumenale e con questa sua “storia vera” i funerali celebrati come feste, uno dei segni della primavera cristiana che sta gemmando in mezzo a noi, entrano nella letteratura italiana. Susanna infatti è una vera scrittrice, capace di guardare alla vita con la furia amorosa di una donna che sposa un uomo “che stava per fare la quinta operazione al cervello” e lo perde dopo la dodicesima operazione, ma capace anche di guardare a quella vita così avventata con la tenerezza di una donna che da quell’uomo ha avuto due bambine che si chiamano Rachele e Anna, e di guardarla – quella vita – con il dono intrecciato del pianto e del riso che l’aiutano a dire come la fede possa mirabilmente condurci a vivere “afflitti ma sempre lieti”.
Ecco un altro brano del volume nel quale Susanna torna sul tema della gioia nel dolore che è parte fondante della vocazione cristiana: “Ti immagino pescare nei fiumi del Paradiso, e magari hai ritrovato quella famiglia di cinghiali che avevi visto una volta vicino al fiume Vara. Anna l’altro giorno mi ha chiesto se in Paradiso c’è l’altalena. Le ho detto di sì e sono sicura di non averle mentito, anche se non glielo potrò mai dimostrare. Ma credo che, se dove sei adesso c’è anche solo la metà della gioia che ho provato al tuo funerale, allora c’è anche la gioia che lei prova andando in altalena. E quindi c’è l’altalena”.
Lo humor e l’autoironia lievitano la scrittura della nostra autrice che quasi sempre riesce a mantenere la narrazione in un sorprendente equilibrio tra la percezione del dramma e l’attesa del suo riscatto: “Per un po’ di tempo non sono riuscita a piangere. Avevo ancora troppo spirito, troppa grazia e anche troppa adrenalina per poter sentire il bisogno di piangere. Ma poi un giorno è successo guardando il film Le parole che non ti ho detto, dove c’è quella scena in cui il personaggio di Kevin Kostner legge la lettera che la moglie aveva scritto prima di morire e da lì mi si è aperto un rubinetto, per due mesi. Solo alla sera, però. Di giorno stavo bene, ero tranquilla, andavo al mare con le bambine e poi, dopo averle messe a letto, sembravo un idrante impazzito”.
L’ironia tocca con delicatezza il grande tema della preghiera: “Prego molto insieme alle bambine. La sera ci mettiamo in sala davanti al crocifisso e loro gli parlano. Una sera Anna mi ha chiesto se in Cielo sei vestito o se sei in mutande come Gesù. Ammetto che di fronte a certe domande non mi sento preparata”. Vi sono pagine – pienamente godibili – di ironia su di sé: “C’è un gruppeto di signore alla messa delle 9 in parrocchia che mi ha, in un certo senso, adottato. Fra loro ce n’è una che si chiama Gertrude, ed è quella che legge sempre la prima lettura. Ma un giorno le sue amiche hanno fatto leggere me, solo che a lei non l’hanno detto e al momento della lettura ci siamo trovate tutte e due davanti all’ambone. Sembrava la scena del duello finale ne ‘Il buono il brutto il cattivo’ fra Clint Eastwood e Lee Van Cleef. Nessuna delle due aveva intenzione di tornare indietro. Io a dire la verità lo avrei fatto, se non altro per rispetto all’anzianità della Gertrude, ma le altre mi avevano detto che quella mattina dovevo assolutamente leggere io. Così ci siamo trovate ferme, una di fronte all’altra. La faccia del prete era imperlata di sudore. E proprio nel momento in cui la Gertrude si stava girando forse per chiedere alla sua vicina di posto: ‘Ma questa chi diavolo è??’, la sua vicina di posto si è alzata e le ha detto una cosa all’orecchio. E lì ho capito una cosa; non sarà una fortuna, ma un fatto è certo: la vedovanza precoce ti rende socialmente inattaccabile. E la Gertrude si è fatta più in là“.
Susanna afferma con sicurezza di essere vissuta accanto a un santo che ha saputo “morire a 33 anni di tumore senza maledire Dio, la vita o il destino infausto, ma riuscendo sempre, e nonostante tutto, a guardare oltre alla Speranza che non delude”. Narra che quando entrano all’hospice per l’ultimo ricovero, avendo chiaro che cosa l’attende, Luigi dice: “Bene, togliete la televisione e al suo posto metteteci un crocifisso. Grazie”.
Subito dopo la morte del marito lei trova nell’agenda di lui un foglietto sul quale aveva appuntato il proposito scaturito da una confessione generale: “Incontro con don Fabio – Roma. E’ arrivato il tempo per me di amare donando la mia vita, senza alcuna barriera. Se Dio mi chiama a questo significa che dei miei peccati se ne frega, Lui mi ama”. Ho chiesto a Susanna se quelle parole erano di Luigi per intero, o se le avesse scritte lei a interpretazione del sentimento di lui e questa è stata la risposta: “Sono scritte da lui: tutto quello che c’è nel libro ha un riscontro nella realtà. E se pensi che le aveva scritte ben 10 anni prima di morire, puoi renderti conto di quanto avesse già avuto l’intuizione di una chiamata particolare, che Dio gli faceva attraverso la croce della malattia. Credo di aver vissuto 10 anni accanto a un vero santo (di quelli da altare), ma mio padre dice sempre che per essere sposato con me doveva essere per forza un sant’uomo”.
Susanna Bo, La buona battaglia. Una storia (vera) da raccontare, Chirico editore, 2012, pp. 285, 10.00 euro. Le citazioni del volume sono prese – nell’ordine – dalle pagine 269, 276, 274, 277. L’appunto di Luigi sulla propria confessione è riportato alla pagina 262. Il titolo del volume è preso dall’apostolo Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia”, 2 Timoteo 4. Il volume mi è stato regalato dal collega Paolo Smeraldi in occasione di una mia conferenza a Sestri Levante. Sempre Paolo mi ha messo in contatto con Susanna e mi ha fatto conoscere il blog di lei: www.susannabo.it. Susanna oggi è risposata e nel giugno del 2012 ha avuto un terzo figlio, Pietro, dal nuovo marito che si chiama Gianni.
[Settembre 2012]

Commento

Lascia un commento