Paola Olzer: “A volte non capisco né l’uomo né Dio”

La prova e la risorsa della piccolezza – che è insieme umana ed evangelica – caratterizzano Paola Olzer fin dal suo primo giorno sulla terra: appena nata [a Pergine Valsugana, nel 1949] pesa meno di un chilo. Dopo la nascita la sua fragilità sembra accentuarsi invece di ridursi ed infine si scopre che è la tetraparesi spastica ad averla afferrata e a tenerla stretta fin da quando vide la luce [la costringerà a quattordici operazioni e all’uso della carrozzina].

Paola ci mostra con il suo faticoso diario – per lei scrivere è vera fatica – che accettando la piccolezza “si può essere d’aiuto agli altri per ritrovare la luce”. La sua parola si fa toccante quando ringrazia per il poco che ha avuto: “Dico grazie al Signore per la mia piccolissima vita”.

In quella vita non manca il momento del buio: “A volte non capisco né l’uomo né Dio”. Ella del resto sa bene, guardando alle vicende umane, che “sono i piccoli che pagano il prezzo più caro alla vita”. Ma costantemente vince in lei la fiducia nella predilezione di Gesù per i piccoli e i piangenti: “Spero che, come un seme gettato nella terra, un piccolo dolore come il mio possa diventare un grande albero di bene per il mondo”.

Stupisce che una creatura costretta in tanta ristrettezza del corpo e dei movimenti non chieda il miracolo per sé, “ma “semmai per gli altri”. Per sé attende il Paradiso dove si aspetta di poter “correre come tutti, con la mia salute, la mia libertà, il mio voler bene”. E intanto coltiva con il suo piccolo corpo e con il suo grande cuore quel “pezzettino di cielo” che sente di aver avuto in dono. Le sue non sono grandi parole ma hanno una buona copertura aurea, come si diceva un tempo della nostra lira. Confida di sentirsi piccola dentro, nonostante l’età: “Sono diventata una donna vera, anche se dentro di me stessa rimane la creatura bambina che vorrebbe un attimo di libertà”.

Le persone che portano e sopportano grandi menomazioni dovrebbero essere i nostri portavoce presso il Signore, con la loro sofferenza esse costituiscono la nostra prima invocazione. Dovrebbe stabilirsi qualcosa come una divisione di compiti: noi li portiamo sulle spalle e loro gridano a Dio.

Paola è pronta per questo ruolo di portavoce: “Quanto dolore, Signore, intorno a me. E’ la domanda che noi creature ci facciamo continuamente: perché, Signore?” Vai, Paola, dal Signore a nome di tutti, non avere timore di scuoterlo dal sonno. Tu hai mostrato confidenza con lui: “Abbraccio la mia croce un po’ per tutti e il Signore conosce il mio povero sacrificio”.

Nella primavera del 2011 Paola Olzer ha pubblicato da Ancora con l’aiuto di Diego Andreatta un diario  intitolato “Il mio pezzettino di cielo”. Il testo riportato qui sopra fa parte della mia prefazione al volumetto che il 22 settembre 2011 ho presentato a Trento e in quell’occasione ho conosciuto Paola e a tavola ho apprezzato il suo buonumore.

[Settembre 2011]

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