Altri sei trapiantati raccontano

Egidio Nericcio

“Porto fiori alla tomba di quel ragazzo”

Mi stavo congedando dalla vita e invece eccomi qua, a 61 anni, più vivo che mai. In questa mia nuova vita vuole che non c’entri quel giovane morto di ictus a 21 anni e la sua famiglia che ora, ne sono felice, è anche un po’ mia? Non potrei mai non vederli o non sentirli. E difatti ci telefoniamo, da Milano a Brognera, in provincia di Pordenone, tutte le domeniche. E almeno una volta all’anno mia moglie ed io andiamo a portare un mazzo di fiori e a dire una preghiera sulla tomba di quel ragazzo. Quel gesto ci ha insegnato a dare il giusto valore alle cose, a vedere quelle che veramente sono importanti”: così Egidio Terriccio, trapiantato di fegato, intervistato da Famiglia cristiana 8/1996, p. 66.

 

Ugo Riccarelli

“Le scarpe appese al cuore”

Ugo Ricciarelli, classe 1954, vive l’esperienza del trapianto cuore-polmoni e la racconta in un libro che si conclude con oltre una pagina di ringraziamenti a quanti l’hanno aiutato, ai quali dedica questa lirica: “Dal buio / non ho saputo nulla. / La conoscenza / come sempre, / sarà anche ora / un pesante passo dopo l’altro”. Da Ugo Riccarelli, Le scarpe appese al cuore. Storia di un trapianto, Universale economica Feltrinelli, Milano 1996.

 

Silvano Colagrande

“Il mio lavoro è il miglior grazie a don Gnocchi”

Alla domanda perché don Carlo Gnocchi abbia scelto proprio lui per il dono delle cornee, Silvano Colagrande, divenuto direttore di uno dei Centri creati dal santo, così risponde 43 anni dopo: “Non mi chiedo nulla, non ci sono risposte. Cerco soltanto di lavorare nella sua fondazione con tenacia e di mantenere nel miglior modo possibile coerenza e fedeltà all’educazione che lui dava ai suoi ragazzi. E’ il miglior grazie per la sua generosità”. Da Avvenire del 24 febbraio 1999.

 

Carlo Maffeo

“Gratitudine per il meraviglioso dono di una seconda vita”

Carlo Maffeo, presidente dell’Associazione italiana trapiantati di fegato, vince a 79 anni quattro medaglie ai XVII campionati mondiali di atletica dei trapiantati d’organo, organizzati dalla Wtgf (Word Transplant Games Federation) e così commenta la sua impresa: “Manifestazioni come queste sono un modo per esprimere gratitudine alla scienza, ai medici e alle istituzioni per il meraviglioso dono di una seconda vita che ci è stato fatto. Esprimono anche la riconoscenza che sentiamo per le famiglie dei donatori. Occorre creare nel nostro Paese le condizioni perché la cultura della donazione si diffonda”. Da Avvenire del 17 settembre 2009.

 

Gaetano Cappelli

“Parlo al mio donatore come si parla ai propri morti”

«In Italia, per legge, non puoi sapere il nome del donatore. Alla fine, però, qualcuno lo scopre. Là per là ho pensato di mettermi a indagare anche io, ma sarebbe stato troppo macchinoso e chi ce la faceva. Ho deciso che mi basta sapere che c’era questo povero ragazzo di vent’anni che è morto e io ora ho il suo cuore grazie alla generosità dei genitori. Gente buona e intelligente perché per decidere questa cosa, di donare il cuore di un figlio, di una figlia, non basta essere buoni. Ogni tanto parlo al mio donatore, come si parla ai propri morti»: Gaetano Cappelli, scrittore, al Corriere della Sera del 24 agosto 2010.

 

Riccardo Venezia

“A Paolo serve sangue”

Paolo Venezia, che solo cento giorni fa pesava venti chili di più, per sopravvivere ha avuto bisogno di 44 trasfusioni. Un giorno sembrava che il sangue non fosse sufficiente. Allora suo fratello Riccardo, 17 anni, ha scritto un annuncio su Facebook: ‘A Paolo serve sangue’. Nel giro di una settimana si sono presentati in 700 al Policlinico di Bari e in 170 al San Paolo”: così Giusi Fasano sul Corriere della Sera del 16 settembre 2010 in un articolo intitolato Paolo e la gamba perduta, che narra la vicenda di Paolo Venezia a cui un’auto pirata trancia una gamba mentre percorre in moto una via di Bari.

 

[Settembre 2010]

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