Altre 14 preghiere trovate nei giornali

Carlo Dionedi

che era a tre metri dalla bomba di Bologna

«Ogni volta che vado a Bologna, mi fermo per una preghiera davanti alla lapide con i nomi dei caduti e penso che ci sarebbe potuto essere il mio. Perché gli altri sono stati presi e io lasciato? Me lo sono chiesto a lungo. Quel che è certo, è che Dio non spara nel mucchio come fanno i terroristi: c’è una logica che Lui solo conosce. Quando capisci che la vita ti è donata, non puoi che iniziare a prenderla sul serio e donarla a tua volta»: parole di Carlo Dionedi ad Avvenire del 31 luglio a p. 13: “Tra quelle macerie ho ritrovato la fede”. Al tempo della bomba Carlo, piacentino, aveva 21 anni. Nel 1988 ha sposato Lorena e oggi è papà di otto figli naturali e di uno in affido. Fa parte del Cammino neocatecumenale. La sua storia  si può leggere qui: http://www.avvenire.it/Cronaca/Testimonianza_strage_bologna_201007311703073070000.htm.

 

Achille Da Ros

“Getta in Lui il tuo affanno perché ci ama da matti”

«Tutti, o quasi, i grandi amici missionari se ne sono andati e mi stanno aspettando perché mi vogliono bene. Io so che tu hai la tua Croce e ringraziane il Grande Capo: getta in Lui il tuo affanno ed egli ti nutrirà. Perché Lui ci ama da matti»: è l’ultima lettera inviata dal missionario della Consolata Achille Da Ros (veneto di Montaner, Treviso, per decenni in Kenya dove ha condotto studi di etnologia sui Turkana, morto a 72 anni nel febbraio del 2010) a Giorgio Montefoschi che l’ha riportata nel ritratto che gli ha dedicato sul Corriere della Sera dell’11 luglio 2010, con il titolo: Da Ros: l’angelo travestito da missionario scorbutico [http://www.corriere.it/cultura/10_luglio_12/montefoschi-da-ros-angelo-travestito_f9b7daa4-8da1-11df-a602-00144f02aabe.shtml].  In esso Montefoschi riporta anche questa risposta del Da Ros alla domanda “che ci stai a fare in questo posto che sembra la luna”, che gli aveva fatto nel corso dell’intervista per un documentario televisivo dalla quale si era avviata la loro amicizia: «Io qui ci sto a predicare il Vangelo. È chiaro? Se so che nel mondo ci sono anche quattro persone che non conoscono il Vangelo io vado lì. E adesso non farmi perdere tempo che devo andare a pregare».

 

Paolo Brosio

“Nel mezzo di un festino ho invocato la Madonna a voce alta”

Quando preghi e ti esce l’Ave Maria dalla bocca, cosa che non facevi più da parecchio tempo, capisci che è stata quella Donna lì a fare qualcosa nella tua vita. Sono andato a Medjugorje per ringraziare la Madonna e lei mi ha portato da Gesù. E l’approccio con il Figlio di Dio è stato devastante. Non osavo avvicinarmi a lui… avevo paura. Ho pianto come un pazzo, balbettavo, non riuscivo ad avvicinarmi. Dopo la messa, però, l’ho abbracciato e gli ho promesso di aiutare un orfanotrofio di Citluk. Cosa che ho fatto e sto seguitando a fare. Quella preghiera di sedici secondi recitata quella notte della mia più grande disperazione è stata la vera gioia della mia vita. E il fatto di sapere che in ogni mio momento difficile c’è la donna a cui aggrapparmi per risollevarmi”: Paolo Brosio così parla della sua conversione in  un’intervista alla rivista L’Eco di San Gabriele, 1/2010, pp. 12-17: Curo la mia malattia con l’Ave Maria. La sua conversione il popolare giornalista televisivo l’aveva già raccontata nel volume pubblicato da Piemme nel 2009 con il titolo A un passo dal baratro. Perché Medjugorje ha cambiato la mia vita. In esso dà conto dei “due matrimoni a rotoli” e dello smarrimento nella droga da cui si riprende “miracolosamente” a partire da un momento particolare, quando “nel mezzo di un festino” avverte di colpo il “desiderio di pregare a voce alta la Madonna”.

 

Giustino Parisse

“Sono in sciopero con Dio”

Sembra banale, ma questo sarà il Natale più brutto della mia vita. Ho continuato a chiedere perché. Perché mi sono stati strappati i miei figli, perché mio padre? E mi sono sentito come un operaio che lavora in un’azienda per tanti anni, e poi all’improvviso viene lasciato a casa, e decide di protestare, di scioperare anche, non perché voglia male al suo datore di lavoro, ma per fargli capire quanto è importante per lui lavorare, quanto si sente trattato ingiustamente. Non faccio nulla [quando sono in chiesa], non partecipo alle celebrazioni come gli altri anni. Ma devo starci, perché so che arriverà una risposta, prima o poi. So che arriverà il segnale e capirò”: così parla all’Avvenire del 24 dicembre 2009 – p. 9: Onna. Lo “Sciopero” di Giustino in attesa di una Sua risposta – il giornalista Giustino Parisse che nel terremoto dell’Aquila ha perso i figli e il padre.

 

Maria Bonino

“Mi debbo fidare che un senso ci sia”

Spero sia malaria. E se non lo è, sia fatta la volontà del buon Dio. La cosa che mi consola è che siamo rimasti ancora in tanti a fare la nostra parte”: è l’ultima e-mail inviata a un prete amico – Dante Carraro – dalla pediatra Maria Bonino volontaria in Angola morta per la febbre di Marburg il 24 marzo 2005. La e-mail è stata pubblicata da Avvenire del 25 marzo 2009 in un servizio sulla Lezione di Maria Bonino dopo che la pediatra morta quattro anni prima era stata ricordata da Papa Benedetto in visita in Angola. In occasione della morte, il Corriere della Sera del 27 marzo 2005 aveva pubblicato questo testo inviato dalla volontaria a un altro amico, Giovanni Putoto: “A volte sembra un incubo: pianti, gemiti, urla di genitori disperati… e la sensazione di essere impotenti. E’ umanamente impossibile dare un senso per tutto questo dolore innocente. L’unica è fidarsi che ci sia”.

 

Immacolata Silvestri

“Dico il rosario con tutte le mamme dei giovani in guerra”

Ogni giorno dico il rosario e prego che tutti i giovani del mondo tornino alle loro case sani, salvi e tranquilli. Lo dico come mamma, lo penso e mi sento insieme alle mamme di tutti i giovani in guerra che soffrono come me, perchè quando si è lontani si pensano mille cose”: così parla al Corriere della Sera del 22 maggio 2004 Immacolata Silvestri, napoletana trapiantata in Friuli, 68 anni, tre figli soldati in Iraq e uno in Kosovo.

 

Leonardo Mondadori

“Non si tratta di parole al vento ma di un dialogo”

Ormai io non riuscirei più a chiudere la mia giornata senza rivolgermi a Dio. Ne ricavo la certezza, sempre confermata, che non si tratta di parlare al vento ma di un dialogo, un dialogo fruttuoso con un Padre che ascolta sempre i suoi figli”: parole di Leonardo Mondadori (1946-2002) pronunciate nella conversazione con Vittorio Messori dalla quale è nato il volume Conversione (Mondadori 2002), citate dal biblista Gianfranco Ravasi a conclusione dell’omelia per la messa di addio, nella chiesa milanese di San Carlo al Corso e riportate dal Corriere della Sera del 17 dicembre 2002 a p. 17: “Leonardo, un uomo capace di parlare a Dio”.

 

Giovanni Raboni

“Se posso credere o sperare di essere cristiano”

Risurrezione significa per me soprattutto ritrovare le persone scomparse. Io non potrei vivere se non avessi questa speranza”: così il poeta Giovanni Raboni (1932-2004) parla in un’intervista televisiva per il programma Settimo Giorno del 12 gennaio 1997. In quella stessa intervista Raboni disse ancora: “Se in qualche modo posso credere – o sperare – di essere cristiano è proprio per la coscienza del peccato”. “Mi considero cristiano e cristiano cattolico” ebbe a dire in un’altra intervista, stavolta al Avvenire del 24 dicembre 1998.

 

Pier Vittorio Tondelli

“Non abbiamo capito che Dio è dalla nostra parte”

Noi siamo i vinti / che ci crogioliamo nella nostra malinconia / e ci inebriamo di dolcezze struggenti / nel pensiero del passato e del futuro. / Sì noi che ancora / non abbiamo capito che / Dio è dalla nostra parte / e non nutriamo speranza”: è una poesia scritta da Pier Vittorio Tondelli (1955-1991) a 18 anni in una pagina di una sua Bibbia, segnata con la data 19 settembre 1973 e restata inedita, ritrovata tra le carte dello scrittore e pubblicata da Antonio Spadaro sulla rivista Liberal del 29 aprile 1998, in un servizio alle pp. 84- 87, con il titolo Tondelli inedito. C’è il monaco dietro al libertino. Spadaro documenta come lo scrittore trasgressivo, morto di Aids a 36 anni, fosse tornato negli ultimi mesi ai temi biblici e religiosi della prima giovinezza, tanto da firmare l’ultima lettera all’amico Fulvio Panzeri con le parole: “Tuo fratello in Cristo, Pier”. Sempre Spadaro riporta queste due righe rintracciate negli appunti per il romanzo Sante Messe che non arrivò a scrivere: “La Preghiera continua, le suore che alle tre dicono le lodi, c’è qualcuno che prega per te”.

 

Cinzia Mazzuoli

“Quanto sia intenso il mio dialogo di sorda con Gesù”

E’ iniziato in me un dialogo con il più grande educatore di tutti i tempi, Gesù Cristo, che attraverso la sua passione mi ha fatto risorgere a nuova vita. Non è esprimibile con parole quanto sia intenso il dialogo di un sordo con Gesù; quanto la preghiera di un sordo riesca a trarlo dal suo isolamento e fargli riscoprire il senso della vita (…). Ringrazio Dio della prova che mi ha dato perché oltre la prova mi ha insegnato anche come affrontarla e superarla. Per un sordo il dialogo con Dio è l’unico non precluso e attraverso questa esperienza egli impara a dialogare con gli altri in modo non superficiale, in modo essenziale, ponendo attenzione alla sostanza e non all’apparenza”: Cinzia Mazzuoli, di Grosseto, colpita da sordità, così scrive in una lettera al Messaggero di Sant’Antonio pubblicata nel numero 2/1998 a p. 97 con il titolo Cinzia. Una voce dal silenzio.

 

Silvano Ghermati

“Caro Gesù tu sei l’unico mio sostegno”

Ti amo, caro Gesù, con tutto il mio cuore, / tu sei l’unico mio sostegno. / Ogni giorno, ogni sera / prego il tuo santo nome / perché io credo in te, / perché in te sento la mia serenità. / Tu sei la mia ragione di speranza, di fede, di vita. / Invoco la tua benedizione / per questi giorni di malinconia, / per ogni male che sento / addolorando sempre più questo / giovane cuore”: preghiera scritta da Silvano Ghermati, disabile, pochi giorni prima di morire a 43 anni, l’11 dicembre 1996. Era attivo in un Gruppo Volontari della Solidarietà di Barga, Lucca. Quattro sue poesie, compresa questa, sono state pubblicate dal settimanale Vita il 10 maggio 1997, a p. 22 con il titolo Così Silvano cantava la sua voglia di vivere.

 

Mario Torregrossa

“Perdono il mio aggressore dal profondo del cuore”

Perdono il mio aggressore dal profondo del cuore”: parole di don Mario Torregrossa, parroco alla periferia di Roma, morto nel 2008 dopo essere vissuto per dodici anni su una sedia a rotelle a seguito dell’attentato subito da parte di uno squilibrato che aveva soccorso, il quale lo cosparse di benzina e gli diede fuoco in chiesa il 24 novembre 1996. Quell’offerta di perdono si poteva leggere sulla Repubblica del 26 novembre 1996. “Ho fondato un centro per i giovani e per lungo tempo mi sono chiesto quale sarebbe stata la croce che avrei dovuto sopportare. Adesso lo so, è quello che mi è successo. Ma da questa sofferenza io sono tornato a nuova vita e la parrocchia stessa e il Centro rivivono”: altre sue parole riportate dall’Ansa il 14 settembre 1997.

 

Patrizia Valduga

“Signore prendi me che sto morendo più di lui”

Oh no, non lui, Signore, prendi me, / che sto morendo più di lui, Signore, / liberalo dal male e prendi me! / Prendi me, per giustizia, me, Signore, / per la vita morente dentro me, / per la vita che vive in lui… Signore, / sii giusto, prendi me, donna da niente, / e vissuta così, morentemente…”: versi della poetessa Patrizia Valduga facenti parte di un poemetto intitolato Requiem per mio padre morto il 2 dicembre 1991, pubblicato da Avvenimenti del 12 ottobre 1994.

 

Carla Fracci

“Danzavo e mi sono accorta che stavo pregando”

Ho capito che la danza può essere intesa come preghiera. Ne ho avuto la prova mentre ero a Chicago per danzare Giselle con Erik Bruhn. Poco prima dello spettacolo arrivò la notizia che era stato ucciso Martin Luther King. La città intorno era impazzita ma il teatro era gremito e rimase gremito. Noi danzammo. Nel secondo atto, Bruhn e io ci siamo accorti, insieme, che stavamo pregando”: Carla Fracci alla Stampa del 14 dicembre 1993, p. 17 con  il titolo Per me è una necessità persino quando ballo, in un servizio intitolato Eppur si prega.

 

[Settembre 2010]

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